Fitto c’è, Meloni esulta. Ma il paese reale langue

Una vittoria. O, almeno, per i canoni dell’esecutivo Meloni una netta vittoria. E no, non stiamo parlando della contrarietà della Presidente del Consiglio dei ministri all’utilizzo di missili a lungo raggio contro la Russia, cui pure la dichiarazione condita da avverbi e da intercalari (“chiaramente”, “ovviamente”, “semplicemente”), farebbe presagire ad un prendere tempo rispetto alla reale posizione che dovrà assumere il governo italiano.
Stiamo parlando della nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione Europea: all’italiano andrà il compito di «gestire i fondi del Pnrr insieme a Valdis Dombrovskis». Mancava l’ultimo nome e nella calcistica zona cesarini c’è stato l’accordo che ha sancito l’ingresso dell’unico componente Ecr (Conservatori e riformisti europei, gruppo a cui appartiene Fratelli d’Italia) nella Commissione. Il ministro italiano avrà anche la delega ai fondi di coesione e alle riforme. La lunga fase dialettica tra le due presidenti, Ursula Von der Leyen e Giorgia Meloni, si è conclusa con l’accoglimento da parte della prima al nome di Raffaele Fitto.

In questi giorni politica e stampa sembrano aver archiviato il caso Boccia-Sangiuliano proiettandosi sulla questione della composizione della nuova Commissione Europea, nuovamente a guida Von der Leyen (Partito popolare europeo). La maggioranza esulta e il governo plaude alla vittoria nettissima che sarebbe stata percepita come tale da tutta l’Italia, tuttavia il sistema-Paese (come si sarebbe detto un decennio fa) non beneficerà effettivamente della nomina di Fitto a Bruxelles/Strasburgo.
«Andiamo al dunque: al di là delle funzioni di coordinamento dei vicepresidenti che, per l’esperienza che ho io, sono chiacchiere e distintivo. Senza chiacchiere e distintivo avevamo Gentiloni all’economia. Adesso con chiacchiere e distintivo abbiamo “coesione e riforme”», a dichiararlo è stato Pier Luigi Bersani, componente della direzione nazionale del Partito democratico, nel corso della serata di ieri [17 settembre 2024], durante la trasmissione DiMartedì, condotta da Giovanni Floris. Chiacchiere e distintivo. E ora il dibattito – o quel che potrebbe definirsi tale – si è avviluppato sulla questione delle votazioni conseguenti: «Su Gentiloni cinque anni fa esprimemmo parere favorevole anche su indicazione dell’allora presidente di Ecr [Raffaele] Fitto. Confidiamo in un atteggiamento responsabile da parte della sinistra. Poi sta a loro. Certo, risponderanno del loro voto davanti al popolo italiano», tuona Nicola Procaccini al Corriere della Sera di ieri, 18 settembre [2024]. Come se il popolo italiano fosse davvero realmente consapevolmente informato su quanto accade a Bruxelles/Strasburgo, una delle istituzioni più blindate al mondo (con tanti saluti alla trasparenza e all’accessibilità pubblica). Ma le dichiarazioni roboanti sulla stampa lasciano il tempo che trovano, Italia od Europa che sia. Nel Belpaese i quotidiani ne sono la testimonianza concreta: non c’è una dichiarazione che sia di lungo respiro o che porti con sé un poco di dibattito che vada oltre l’immanenza di questo o quel fatto. Solo due giorni fa [16 settembre 2024], a proposito di gruppi e composizioni parlamentari, La Verità, attraverso la penna di Federico Novella, pubblicava un’intervista a tutta pagina ad Enrico Costa (deputato, già ministro negli esecutivi Renzi e Gentiloni). L’ex ministro ribadiva di aver lasciato Azione ma di non aver intenzione di ritornare in Forza Italia: «Non c’è nulla di ufficiale, farò le mie riflessioni. Ma con Forza Italia ho sempre avuto un confronto costruttivo». Neanche 48 ore dopo ed Enrico Costa effettua ufficialmente il ritorno nella formazione fondata da Silvio Berlusconi.

Nonostante la conquista ottenuta a Bruxelles/Strasburgo, il paese (quello vero, non quello dei comunicati stampa) langue. Non bastano gli annunci roboanti della Presidente Meloni all’assemblea di Confindustria riguardo l’occupazione («mai così tanti italiani avevano lavorato dall’Unità d’Italia oggi») talmente alti da non avere un termine di paragone: un esercito di decine di migliaia di insegnanti precari vincitori di concorso, abilitati e in attesa di abilitarsi (ovvero idonei dei nuovi concorsi Pnrr) sono in attesa di una cattedra e un’altra morte sul lavoro si aggiunge al già imponente numero di decessi. Stavolta si è trattato di un operaio di 34 anni che ha perso la vita schiacciato da una pressa in una fabbrica del varesotto, assunto non direttamente dall’azienda ma da «una cooperativa». Ma forse per il governo non conta: l’operaio era “solo” un uomo nato in Marocco. Non era mica italiano.