L'esodo dal Venezuela e l'esodo dall'Italia: il secondo è decisamente maggiore

È ricominciato il cortocircuito mediatico sul Venezuela, certamente più silenzioso di mesi e anni fa in cui si mostravano foto false, si millantavano scontri pacifici e si attribuivano morti a una sola parte politica vittimizzata rispetto a quella statale. Più silenzioso ma non meno grave. In questi giorni si parla moltissimo di esodo dal Paese: le fonti giornalistiche indicano a 870mila il numero di residenti venezuelani in Colombia (circa tremila al giorno), numero buttato un po’ a caso dato che non si spiega in quanto tempo siano migrati questi nuovi residenti, ma certamente ne si conosce la provenienza, come ha spiegato il Vescovo della diocesi di Trujillo, dallo stato del Tàchira, confinante con la Bolivia. (In ogni caso, la Mision Verdad smonta pezzo per pezzo i numeri della crisi venezuelana: qui: http://misionverdad.com/la-guerra-en-venezuela/cifras-de-acnur-y-la-oim-desmontan-la-crisis-de-refugiados-venezolanos.)

L’altissima emigrazione: Italia batte Venezuela
C’è un Paese che produce più emigrati del Venezuela, contando determinati fattori e parametri di pensatori e giornalisti  legati all’economia di mercato: l’Italia.
«Nel 2016 – scriveva Balduzzi su Linkiesta riportando i dati dell’Istat – sono stati 114.512 gli italiani che si sono trasferiti all’estero. Erano 84.560 nel 2015, 73.415 nel 2014, e solo 37.129 nel 2009. Una crescita di 3 volte, dunque, accelerata nell’ultimo anno. Attenzione, si tratta qui solo degli italiani nati in Italia, non sono inclusi gli stranieri». Una crescita che sta aumentando a dismisura se si calcola il 2017: oltre 250.000.

Un paese in salute, verrebbe da ironizzare, ma certamente i luminari dell’economia di mercato sentenzieranno che un conto sono le emigrazioni dei giovani che si spostano in cerca di opportunità e un altro conto sono quei giovani che lasciano il proprio Paese per mancanza di lavoro, mancanza di generi alimentari e compagnia cantante. Non si negano degli errori al socialismo del XXI secolo, tuttavia i numeri parlano molto chiaro: l’Italia, certamente, non sta meglio di paesi considerati “arretrati” non più di 3 decenni fa. Tutt’altro.
Quando si citano i dati sul Venezuela si omettono, completamente, i dati dell’emigrazione italiana (soprattutto giovanile): alla pubblicistica del Bel Paese piace molto fare paragoni e analisi spicciole (leggi: superficiali) di quel che accade nel mondo per raffrontarlo con quanto accade in Patria. Ma in questo caso meglio non dire nulla. Anche perché se i numeri riferiti all’Italia servono a qualcosa, evidentemente c’è qualcosa che non va tanto nell’economia, quanto nello Stato, e lo stato di salute della democrazia italiana ne è la prova.

La gente se ne va? È colpa della mancanza del libero mercato
Venezuela, come si distrugge un paese, questo il titolo della [fantamirabolante] intervista di Panorama a Ricardo Hausmann, venezuelano di nascita, statunitense d’adozione, «che dal 2005 dirige il Centro per lo Sviluppo Internazionale dell’Università di Harvard». Il già ministro per la Pianificazione (1992), ha dichiarato, rispondendo ad una questione posta dal giornalista di Panorama: «Entrambi i modelli economici, quello di Chávez prima, e dal 2013 quello di Maduro, sono antitetici al mercato dunque…», risposta di Hausmann: «L’economia di mercato è per definizione quella in cui si possono esercitare attività commerciali e industriali private senza dovere dipendere esclusivamente dal potere del governo-Stato e dove, soprattutto, il diritto di proprietà è tutelato. In Venezuela, invece, oggi l’unico in grado di esercitare il diritto di proprietà sembra essere il governo che a poco a poco si è impossessato di ogni aspetto della vita economica, diventando proprietario di tutto».
Il problema è sempre quello: l’economia di mercato. Il capitale non ammette nulla che sia al di fuori del capitalismo stesso e se qualcosa dovesse andare storto (leggi: il socialismo del XXI secolo in un paese ricco di risorse naturali) e certamente colpa del qualcosa-andato-storto.

La colpa è dei «due dittatori comunisti»
Opposizione in esilio, carcerata, estromessa dalla vita politica venezuelana: questo tipo di accuse arrivano dall’Italia, nientepopodimenoche dall’area liberal cattolica, liberal radicale (di nuovo? sì, di nuovo) e della cosiddetta sinistra italiana (eh già!), nelle persone di PierFerdinando Casini, Maurizio Lupi, Maurizio Turco e di svariati dirigenti della cosiddetta sinistra italiana.
Prima ancora di citare una trasmissione a tema di Radio Radicale, però, è bene che si ascoltino le parole di Eliana Loza Schiano, giornalista dell’opposizione la quale, lo scorso anno, durante gli scontri più duri, ebbe il coraggio di dire ai microfoni di radioRaiTre: «[…] Non si può parlare di guerra civile: guerra è quando si contrappongono due eserciti, qui ci sono tre reparti di polizia, i gruppi paramilitari clandestini e dall’altra delle pietre e qualche moltov».
Alla faccia delle molotov:

@GNB_Lara seguiremos trabajando y luchando en contra de quienes quieran perturbar la Paz de nuestro Estado @GNBoficial @S_RiveroM pic.twitter.com/x3fUk0RiN4

— GNBlara (@GNB_Lara) 25 luglio 2017

Sui gruppi militari clandestini la Schiano non ha fornito informazioni, tuttavia sarebbe stato molto interessante ascoltare le sue considerazioni a riguardo, soprattutto per conoscere su quali fonti si basava per la propria analisi.

Tornando all’attualità, nel corso di “Spazio transnazionale”, rubrica di Francesco de Leo per Radio Radicale, in cui oltre al coordinatore della presidenza del Prntt Maurizio Turco era presente anche la giornalista anticomunista Marynellis Tremamunno, spesso tornava il mantra dei due dittatori: Chavez e Maduro. [Ometto, in questa sede, di citare il vergognoso “servizio” delle Iene riguardo il Venezuela].

L’europarlamentare Javier Couso rispose molto fermamente a queste accuse e, tanto vale, riportare le sue parole: «Curiosa dittatura, quella del Venezuela, in cui si può entrare ed uscire liberamente dal Paese per criticare il Governo. Mi ricordo del franchismo, sono nato ai tempi della dittatura fascista spagnola e gli oppositori quando uscivano dal Paese venivano carcerati, fucilati e torturati. A migliaia. Curiosa dittatura, quella del Venezuela, in cui si sono tenute 20 elezioni nel corso di 18 anni (2 perse dal Governo). Curiosa dittatura, quella del Venezuela, in cui ci sono partiti legali». Il discorso di Couso continua, si può vedere cliccando qui: https://www.youtube.com/watch?v=FH16XAKRBzo.

Noiosa conclusione

Quando si parla di socialismo, inevitabilmente, si fa riferimento ad un sistema economico, sociale e politico completamente diverso da quello in cui viviamo ora, tuttavia lo si fa con una buona dose di pregiudizi e luoghi comuni. Soprattutto in questo caso: il Venezuela, tecnicamente, non è retto da economia pianificata, anzi, si tratta di uno Stato che ha introdotto elementi di socialismo all’interno di uno stato liberale non toccandone “l’architrave”, fino al luglio scorso. Un socialismo diverso da quello sovietico, certamente, di matrice “umanista”, come si è definito da più parti: in un’espressione, il “Socialismo del XXI secolo”.
Generalmente, comunque, quando si parla di socialismo lo si fa (spesso senza alcun fondamento) di violenze, di nefandezze e di un sistema imperfetto per natura che non avrebbe potuto essere altrimenti, come se per un qualche assurdo motivo il socialismo dovesse essere il paradiso in terra contrapposto all’inferno del capitalismo. O, per essere più chiari, che il socialismo debba esserlo (o debba esserlo stato) a prescindere, data la pervicacia dei suoi sostenitori. Ma (come direbbe mia madre) «l’uomo è sempre l’uomo», dunque il sistema politico può aver avuto delle storture, anche giganti, ma ciò non toglie che il socialismo ha rappresentato, realmente, un’alternativa tangibile al capitalismo e ai suoi sfaceli in nome del mercato e del profitto, dello sfruttamento dell’uomo nei confronti di un altro uomo.
Il socialismo bolivariano, il chavismo, prende le mosse da  questo: creare un’alternativa tangibile a quella che era  la realtà del capitalismo e dello sfruttamento delle aziende del liberismo transnazionale nel Paese.
Ciò non toglie, come ho scritto già precedentemente per quel che riguardava le connessioni fra i liberali/radicali italiani e Victor Orban, che la destrutturazione liberale e capitalista spesso si serve di meccanismi -come abbiamo visto a più riprese- non sempre ortodossi e neanche troppo “visibili”. Le guerre economico/finanziarie ne sono un esempio, il mancato approvvigionamento del Venezuela anche, dato che la filiera della distribuzione alimentare è in mano private. Potrei continuare (date le dichiarazioni di Hausmann) ma credo sia meglio finire qui e tacere.