Pedagogia marittima a Coccia di morto

Focene. Fossimo in una sceneggiatura ci sarebbe scritto: Focene: esterno giorno assolato, o cose simili. 
Per la precisione, tuttavia, la spiaggia era quella di Coccia di morto, un toponimo allegro e che suscita immagini del tutto gioconde alle orecchie di chi lo ascolta per la prima volta. 
La spiaggia è affollata e l’ora, circa mezzogiorno, è quella della ressa anche al chiosco della spiaggia libera attrezzata, così si dice. La fila per un ghiacciolo, un caffè, una birra, un gelato e altri generi di questo tipo è del tutto insostenibile: sembra d’essere in fila sul raccordo, un tristo presagio per il pomeriggio quando si dovrà tornare indietro e si dovrà affrontare il lungo serpentone di macchine vòlte a tornare a casa dopo la giornata di mare.
Ce ne stiamo pazientemente in coda aspettando il nostro turno, mentre la musica reggae/raggamuffin e cose affini è sparata dagli altoparlanti ad un volume eccessivo. Il ritmo in levare dopo un po’ inizia ad essere ripetitivo, così come i bassi che sovrastano in maniera spropositata la linea melodica delle canzoni. Sotto una pioggia di Babylon, Eeeeh, raaaassstaman madre e figlia intrattengono una conversazione interessantissima.
Una donna e una ragazza sono dietro di noi, madre e figlia. La genitrice è tatuata e del tutto super abbronzata, avrà avuto una quarantacinquina d’anni; la figlia è una tipica adolescente romana ‘in fieri’ di periferia con un piercing sulle gengive, anche se non saprei dire a quale lembo di pelle si attaccasse il pezzo di metallo dal momento che la posizione dell’orecchino non lasciava tradire alcun appiglio.
Figlia: «Me vojo tatuà qualcosa su a spalla, mà», la madre, pur consapevole delle nuove epifaniche esigenze dei giovani, risponde: «e che te voresti tatuà, sentimo».
La figlia, entusiasta del potenziale spiraglio assertivo concessole dalla madre nel corso della conversazione, le risponde entusiasta: «qualcosa n spagnolo, tipo ‘nada se olvida’».
«E che vordì?», le risponde giustamente la madre, ribadendo una distanza concettual-linguistica tutta a suo vantaggio.
«Vordì ‘niente se dimentica’», le risponde fiera la figlia.
«Niente se dimentica?», «Sì!».
«Ma che te voi dimentica che c’hai quindic’anni, ma falla finita».
Applausi.