Alfredo di Lelio: Roma, le fettuccine, l’occupazione nazifascista, gli Usa

Lo spunto da cui sono partito per la scrittura di questo articolo è stata la diffusione dell’ormai tradizionale festa annuale al ristorante “Il vero Alfredo” di Piazza Augusto Imperatore. Il 7 febbraio negli Usa è il “National Fettuccine Alfredo day“, cercare per credere, e i discendenti di Alfredo di Lelio celebrano ogni anno la fama internazionale delle ormai celeberrime fettuccine. Abbiamo toccato il 114° anniversario.

Alzi la mano chi non ne ha mai sentito parlare. Per un motivo o per un altro, ma praticamente grazie al vettore internet che lo ha reso noto al mondo, buona parte degli abitanti dello Stivale è venuta a conoscenza  che negli Stati uniti d’America uno dei piatti maggiormente considerati italiani sono le “fettuccine Alfredo”. Panna, formaggio, burro: stop. Questi gli ingredienti. Gli Usa, da parte loro, hanno condito – metaforicamente e non – il piatto con verdure e carni d’ogni tipo ma comunque considerando sempre che l’origine del piatto fosse tipicamente italiana. 

Una vulgata diffusa grazie alla rete ha fatto sì che venisse dichiarato quel piatto del tutto americano, completamente statunitense, frutto di travisamenti della cucina italiana. 

Non è così. La realtà è stata presto ristabilita e articoli, post, pubblicazioni d’ogni genere hanno riportato la bollicina della livella “in paro”. Squilibri evitati: le fettuccine Alfredo erano e sono tipicamente italiane. Anzi, romane: nate dall’intuizione del ristoratore Alfredo di Lelio nel 1908. Al 104 Via della scrofa il nostro aveva aperto una piccolissima trattoria. Mantecate a dovere, le fettuccine divennero il piatto forte del locale. Prima di essere servite, così vuole la – ormai – leggenda, di Lelio le propose (non prima di rivolgere una preghiera a Sant’Anna, protettrice delle partorienti) alla moglie che soffriva d’inappetenza a seguito della nascita del figlio (Armando, ma per tutti Alfredo II). Ines, moglie del ristoratore, ne rimase estasiata e suggerì al baffuto marito di inserirle nel menù.

Nel 1937 anche il quotidiano di Milano per eccellenza, il «Corriere della sera» [1], dava conto ai suoi lettori della riapertura al pubblico del locale:

«Il re delle fettuccine, Alfredo alla Scrofa, Roma, annunzia alla sua eletta clientela milanese che oggi 5 sett. [1937] riapre il suo ristorante con le sempre maestose fettuccine al doppio burro e i suoi insuperabili filetti di tacchino all’Alfredo».

In ventinove anni la fama della trattoria al 104 di Via della Scrofa era già andata ben oltre la Capitale, pare evidente di capire. 

La chiusura durante l’occupazione nazista
La Prima era stata superata, la Seconda, invece, entra nel vivo del Paese: l’Italia è in guerra da quattro anni e sebbene Roma sia stata dichiarata “città aperta” i nazisti la utilizzano e ne sfruttano le sue consolari come se nessun accordo fosse mai stato siglato. La guerra a Roma era già ben presente e dopo l’8 settembre viene resa più che manifesta: i combattimenti alla Piramide Cestia fanno emergere che si poteva stare dall’una o dall’altra parte. Non esistevano le zone d’ombra o “di mezzo”. Nel ’44, insomma, Roma era una città incandescente: quella che doveva essere la Capitale delle retrovie in cui mandare l’esercito occupante a riposo (i fronti erano quelli di Cassino e Anzio) era costantemente in ebollizione. Roma era la città in cui il 24 marzo del ’44 un pugno di soldati dei Gap attaccheranno il battaglione dell’esercito nazista “Bozen” a Via Rasella, da cui poi scaturirà la rappresaglia dei “10 italiani per un tedesco”, cioè le Fosse Ardeatine.

Sì, okay, ma le fettuccine?
Tra le pagine di “Morte a Roma” di Robert Katz viene riportato che i componenti del Gap, il giorno precedente l’attacco di Via Rasella, erano andati a rifocillarsi alla trattoria Dreher in Piazza Santi Apostoli. C’era il razionamento ma quel giorno [23 febbraio] si era sparsa la voce che sul menù era presente la carne:

«Poteva essere di cavallo o di cane; ma era carne, e nessuno si poneva questo problema. La razione normale era poco più dii un boccone al mese. C’era, però, anche il mercato nero, dove si trovava la carne a mille lire al kg.; prezzo che soltanto i “pariolini” potevano permettersi. I ristoranti […] talvolta violavano le norme del razionamento […] Quando venivano sorpresi andavano incontro a delle sanzioni. Quel giorno la polizia di Caruso [il questore fascista di Roma] aveva chiuso parecchie trattorie per infrazioni al razionamento; fra questi, Alfredo alla Scrofa».

La fonte di Katz è il fascista «Giornale d’Italia»: 

«È stata disposta la chiusura per mesi tre dei sottonotati esercizi di trattoria, sorpresi a somministrare pietanze prelibate, in contrasto con le vigenti norme di disciplina annonaria. Ristorante Alfredo, in Via della Scrofa, gestito da Mozzetti Giuseppe». 

L’articolo è del 25 marzo 1944 e l’elenco prosegue coi nomi dei vari ristoratori sanzionati con la chiusura. Nessuna menzione, ovviamente, sul giornale fascista dell’attacco a Via Rasella. Sarà poi «Il Messaggero» a dare la notizia dell’eccidio conseguente la cui chiusura del comunicato trasmesso è diventata tristemente nota: «L’ordine è già stato eseguito».
Più recentemente
Un articolo di Filippo Ceccarelli, pubblicato il 4 febbraio del 2019 da «Repubblica» rintraccia una citazione del piatto nel “Ghiottone errante” (Paolo Monelli) datato 1935: 

«”Compare il trattore, baffi e pancetta da domatore, impugnando posate d’oro; e si avvicina al piatto delle fettuccine.
La musica tace, dopo un rullio ammonitore che ha fatto ammutolire anche i clienti in giro. Il trattore sente intorno a sé un’aureola di sguardi. Alza la forchetta e cucchiaio in cielo, come per propiziarselo; poi li tuffa nelle paste, le sommuove con un moto rapido, matematico, il capo inclinato, il respiro trattenuto, il mignolo sospeso. Due camerieri, impalati, assistono al soglio. Pesa intorno il silenzio. Finché la musica scoppia in allegro brio, il trattore ripartisce le porzioni, poi va a riporre le posate d’oro e scompare”. Riaccese le luci, Alfredo ricompariva tra gli applausi. Gli americani letteralmente impazzivano».

Da perdere così tanto la testa che ogni 7 febbraio celebrano il “National Fettuccine Alfredo day“, cercare per credere.

A proposito di Stati uniti: «Allora non eravamo a conoscenza del colesterolo»
Nel 1981 il «New York Times» [4] pubblica un delizioso articolo a riguardo: 

«Gli stranieri che visitano Roma continuano a chiedere le “fettuccine Alfredo” e alcuni ristoranti molto frequentati dai turisti continuano a indicare il piatto in questo modo, ma la gente del posto preferisce chiamarlo con il vecchio nome di “fettuccine alla romana”. È una delle specialità di pasta più allettanti e allo stesso tempo più semplici.

Ciò che Alfredo ha fatto alle tagliatelle all’uovo è stato renderle più ricche, ricoprendole con una salsa a base di panna e burro [5]. Negli anni di magra subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Alfredo era all’apice della sua fama, una tale profusione di calorie sembrava sensazionale, quasi peccaminosa.

Ricordo di aver portato un amico britannico da “Alfredo” a metà degli anni ’40, quando a Londra il cibo era ancora scarso e scialbo e tutti in Europa sembravano piuttosto magri. [Egli] Si tuffò con stupore nelle fettuccine e dopo le prime cucchiaiate mi chiese con un’espressione sconcertata: “Senti, vecchio mio, chi ha davvero vinto la guerra?”. Le tagliatelle gialle grondanti di burro erano diventate un simbolo invidiato del “miracolo italiano” della rapida ripresa postbellica. Allora non eravamo a conoscenza del colesterolo».

L’articolo prosegue: 

«Le fettuccine cremose ci erano state servite con un tocco di classe da Alfredo di Lelio in persona [6], il geniale proprietario della “Trattoria Alfredo” al 104 di Via della Scrofa, vicino al fiume Tevere. I rigogliosi baffi rossicci di Alfredo erano da tempo un piccolo punto di riferimento romano. Presto sarebbe andato in pensione, ma non per molto. L’Anno Santo del 1950 si avvicinava e il giubileo della Chiesa cattolica romana prometteva di portare nella Città Eterna pellegrini e turisti desiderosi non solo di elevazione spirituale ma anche di cibo, possibilmente fettuccine.

I promotori convinsero il signor Di Lelio a tornare dalla pensione e a contribuire con il suo nome, le sue ricette e la sua presenza ispiratrice a un ristorante. Dopo aver venduto il vecchio locale di Via della Scrofa, con tanto di foto di ospiti famosi appese alle pareti, fu aperto un nuovo “Alfredo” in un edificio moderno e mussoliniano al numero 30 di Piazza Augusto Imperatore, di fronte alle rovine del mausoleo dell’imperatore Augusto.

Il locale divenne subito un successo per l’Anno Santo. Alfredo, ormai settantenne, si comportava da “imperatore delle tagliatelle”, si rivolgeva agli ospiti americani con una delle poche frasi in inglese che conosceva: “verrry good!”. – e riempiva i loro piatti di fettuccine. Usava un cucchiaio e una forchetta placcati d’oro che, a suo dire, gli erano stati regalati da Douglas Fairbanks e Mary Pickford negli anni Trenta. Un cucchiaio e una forchetta d’oro c’erano – e ci sono ancora – anche nel suo vecchio locale in Via della Scrofa. Entrambi i ristoranti rivendicano le posate originali Fairbanks-Pickford.

Alfredo morì nel 1959 e suo figlio, Armando di Lelio, ormai in là con gli anni, è ancora responsabile del ristorante di Piazza Augusto Imperatore come Alfredo II. I suoi ospiti sono prevalentemente stranieri. Anche la trattoria di via della Scrofa è ancora fiorente. A complicare la confusione, ci sono almeno altri due Alfredo a Roma.

Le buone fettuccine Alfredo, o fettuccine alla romana, che ormai sono più o meno la stessa cosa, si possono mangiare ogni giorno in almeno 50 ristoranti della città».

Lo scritto di Hoffmann prosegue con un riferimento alla tipologia di fettuccine e alla larghezza delle stesse, così come passa in rassegna tutte le avversità che prova(va)no i romani verso la pasta non “fatta in casa”. I tempi cambiano rapidamente. 
Cosa c’entra però la duchessa nel titolo dell’articolo?
La risposta ce la dà Hofmann stesso: 

«Secondo una storia, il piatto fu servito per la prima volta nel palazzo ducale di Ferrara nel 1501 quando Lucrezia Borgia, la bellissima figlia di Papa Alessandro VI, fece il suo ingresso come sposa di Alfonso d’Este. Il colore dorato delle tagliatelle all’uovo voleva essere un omaggio ai suoi capelli biondi.

L’omaggio culinario, tra l’altro, fu di buon auspicio. Dopo gli anni burrascosi trascorsi a Roma e i due precedenti matrimoni, Lucrezia divenne un’apprezzata duchessa di Ferrara, presiedendo una brillante corte rinascimentale con Ludovico Ariosto come laureato poeta. Come l'”Orlando Furioso” di Ariosto, anche le fettuccine conquistarono tutta l’Italia e continuano a essere particolarmente apprezzate a Roma».

E siccome, per parafrasare il giornalista americano, a complicare le cose gli italiani sono bravissimi, a Roma da decenni esistono ben due “Alfredo”: uno al 30 di Augusto Imperatore, l’altro al 104 di Via della Scrofa.
Entrambi, ovviamente, rivendicano la paternità del piatto: chi per lignaggio e fama, chi per conoscenza culinaria. 

La foto a corredo dell’articolo, a grandezza naturale e senza ritagli, è stata condivisa dalla pagina Facebook del Ristorante “Il vero Alfredo”. Alfredo I, qui, con Gina Lollobrigida.

Non è riportata con certezza la data,
tuttavia la scritta in basso a destra riporta: “Alfredo all’Augusto”, dunque sicuramente sarà da intendersi nel primo decennio degli anni ’50 del ‘900.

Note

[1] s.n.; Echi di cronaca, 5 settembre 1937, «Corriere della Sera».
[2] Robert Katz, Morte a Roma, p.52, Editori Riuniti, 1996 [V edizione], Roma.
[3] s.n., Chiusura di trattorie per infrazioni annonarie, 25 marzo 1944, «Giornale d’Italia».
[4]Paul Hofmann, Fettuccine – a dish fit for a duchess, 1 novembre 1981, «New York Times».
[5] L’articolo ci suggerisce come già negli anni ’80 la ricetta possa aver subito mutamenti. Che siano cambiamenti adoperati dallo stesso ristoratore italiano o dagli statunitensi, o da parte della comunità italo-americana, non lo sappiamo.
[6] Alfredo morirà nel 1959. Si segnala il necrologio del «Corriere della Sera»: 

«È morto stamane all’età di 76 anni il “re delle fettuccine” Alfredo di Lelio. Figlio di un trattore trasteverino, aveva aperto nel 1907 quel ristorante in Via della Scrofa che doveva farlo divenire celebre nel periodo tra le due guerre. Espertissimo nel preparare le specialità della cucina romanesca, impose all’attenzione dei più illustri ospiti stranieri le sue fettuccine, preparate con un procedimento personale. Uomini politici, ambasciatori, artisti, attori del teatro e del cinema frequentarono il suo locale. Moltissime celebrità gli lasciarono una fotografia con dedica in segno di simpatia. Furono Mary Pickford e Douglas Fairbanks a donargli nel 1927 quelle posate d’oro con le quali serviva personalmente le fettuccine ai clienti di maggior riguardo. Durante l’ultima guerra, cedette ad altri il suo locale portando con sé solo le posate d’oro, il suo “scettro” come amava chiamarle., ma nel 1947 aprì un nuovo ristorante nei pressi dell’Augusteo».

Redazione, Si è spento a Roma “Alfredo” il “re delle fettuccine”, 31 marzo 1959, «Corriere della Sera».