La lunga parabola di una festa di popolo

Pubblicato su «il manifesto» del 20/09/2012. Link all’articolo ora visibile sull’archivio pubblico digitale del quotidiano https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003202682

MEMORIA- «Falce e tortello» di Anna Tonelli per Laterza

L’inizio della fine del secondo conflitto mondiale segna il riaffacciarsi dei comunisti sulla scena politica italiana. Escono dalla clandestinità, non hanno paura e così nel ’45 decidono di fare una scampagnata a Mariano Comense. Così, per «distendere un po’ i nervi»: ballare, cantare, esprimere la loro forza, la loro gioia per la ritrovata libertà di azione politica, felici anche per la fine delle ostilità belliche.
Anna Tonelli, autrice di Falce e Tortello. Storia politica e sociale delle feste dell’Unità (Laterza, pp.219, euro 15) prende le mosse dalla scampagnata fatta da militanti e dirigenti in quel di Mariano Comense definita così da un militante classe ’24: «Non immaginavamo certo che quella festa, organizzata così all’improvviso, sarebbe durata 50 anni».
L’umiltà, la passione, la voglia di fare e di rimettersi prepotentemente in gioco dei militanti di quello che è stato il più grande partito comunista d’Europa hanno avuto la meglio ed ecco che la festa del Pci diventa la festa del proprio organo di stampa (L’Unità), così che si sarebbe potuta fare veramente «controinformazione».
Il Partito Comunista Italiano trova terreno fertile tra i ceti popolari dell’Italia dilaniata dal secondo conflitto mondiale, trova ostilità negli apparati ecclesiastici, trova «realtà umana», come la definisce Paolo Spriano ovvero dove «si coniuga formazione politico-ideologica e socializzazione», chiosa l’autrice del volume.
In poche parole le feste de L’Unità hanno racchiuso, durante il primo periodo di vita post-clandestinità del Pci, quella voglia di libertà che durante il nazi-fascismo si pagava con la vita, con la lotta e con la morte.
A breve si inserirà il “momento politico” all’interno delle feste.
Svago, sì, ma anche dibattito; balli, divertimenti, ma anche comizio di uno dei segretari più rappresentativi del primo periodo del Pci: Palmiro Togliatti che, scampato dall’attentato del 14 Luglio, torna a parlare in pubblico alla festa di Roma, al Foro Italico.
Le sue parole, trascritte fedelmente dall’autrice, sembrano riecheggiare dalle pagine dattiloscritte: «La scure è posta alle radici dell’albero e ogni albero che non fa buon frutto deve essere gettato nel fuoco. La scure è posta ormai alle radici di questo albero e questo albero deve cadere e cadrà».
Italo Calvino scriverà poi come «quest’uomo, così schivo di tutte quelle esteriorità che son sempre sembrate indispensabili per fare breccia nell’animo degli italiani, e senz’ombra di fanatismo e adulazione superstiziosa amato dal suo popolo d’un affetto struggente, riconosciuto per scienza libera e ragionata come loro capo, il nome di Togliatti, il saluto a lui d’ogni parte d’Italia, la gioia per la sua guarigione si levano da migliaia e migliaia di scritte». Mai un attentato ad un capo di partito aveva fatto incrociare le braccia agli operai delle fabbriche.
L’autrice, ricordando quel comizio, annota che Cesare Bermani scrisse addirittura una canzone, «L’attentato a Togliatti» – poi ripresa ne «il fischio del vapore” dal duo Marini-De Gregori – come omaggio al segretario a cui aveva augurato di tornare «ben presto al suo posto/a difendere al paese nostro/l’interesse di noi lavorator».
All’indomani dell’avvento della stagione dei movimenti studenteschi e sociali, che porteranno alla nascita dei partiti della nuova sinistra, Lotta continua, il Pdup e Democrazia Proletaria, fortemente polemici verso il Pci, c’era anche il movimento delle donne. Il femminismo non è però rimasto circoscritto nell’ultra sinistra e irrompe nelle feste dell’Unità in cui si comincia a parlare di liberazione delle donne, di maschilismo, dopo anni in cui le stelline dell’unità erano una presenza costante all’interno dei momenti ricreativi del partito.
Le kermesse sulle stelline è stata sospesa e qualificata come un’iniziativa ostile all’emancipazione delle donne e retaggio di un maschilismo che non ha mai abbandonato il PCI: «Mentre “Noi Donne” lancia il modello della donna impegnata, proprio a partire dall’essere stata prima partigiana e poi cittadina votante, le feste dell’Unità continuano a offrire l’immagine di donna da copertina».
Certo c’è da dire che, come si poteva leggere dalle colonne dell’Unità di quei tempi: «alle elezioni dell’Unità la stellina si veste (vincendo una macchina da cucire). Alle altre elezioni la miss….si sveste».
Arriva poi il «gigantismo» nelle feste sempre più imponenti e di lunghezza maggiore, arriva l’era dell’eurocomunismo di Enrico Berlinguer, arriva con prepotenza la parola «governo» che si immette nei discorsi dei militanti e che il regista Nanni Moretti descriverà poi nel suo «La cosa».
Il passaggio dalla falce e martello – che campeggiavano fieri in ogni festa – alla più innocente quercia, che possedeva come appendice in calce alle sue radici il vecchio simbolo, ha fatto sì che «La cosa» non diventasse solo il titolo di un film-documentario ma anche una riapertura in presa diretta del dibattito che era presente nelle sezioni di tutt’Italia. Come testimonia proprio quel documentario, dalla rossa Emilia fino alla Campania si discuteva di «governo», di governabilità, perché «è là che dobbiamo arrivare», come recita un energico signore di una sezione campana quando interrompe un microfonato compagno per ribadire con veemenza che i comunisti sono un’altra cosa.
Ecco, forse questa è la vera differenza che poi ha spinto il cambio di denominazione da festa dell’Unità a Festa Democratica: i comunisti sono e saranno sempre un’altra cosa.