L’antidoto al razzismo è una corsa verso Lupionòpolis

Il disco americano di Peppe Voltarelli, a due anni dalla pubblicazione di Planetario, a dieci da «Lamentarsi come ipotesi» (ultimo disco di inediti), si chiama «La grande corsa verso Lupionòpolis» (Visage, 2023). È americano per un’ovvia ragione: è stato registrato negli Usa e alle canzoni hanno collaborato dei musicisti statunitensi che hanno non di poco impreziosito le canzoni di Voltarelli.  

«Era un desiderio covato per molti anni – ha dichiarato Voltarelli a BlogFoolk Magazineho passato dei lunghi periodi a New York City con residenze artistiche in club della città che mi hanno fatto scoprire ed amare la sua congestione urbana il suo linguaggio i suoi abitanti le sue difficoltà».
La complicità artistica con Simone Giuliani e Marc Urselli ha fatto il resto ed è nato «La grande corsa verso Lupionòpolis».
Le atmosfere newyorkesi hanno fatto bene al cuore artistico di Voltarelli e alla sua voglia di tornare a registrare: «[…] poi, il saluto alla signora che stava all’uscita della metro che ogni mattina mi diceva “Come on Pepe, today it’s the day” […] Quando entravo in studio e traducevo dal calabrese in italiano i testi dei pezzi e poi con Simone dall’italiano in inglese, sentivo una grande responsabilità ma sono abituato a giocare in trasferta»

Un antidoto al razzismo
«La grande corsa verso Lupionòpolis» rappresenta un ritorno a quello che Voltarelli sa fare meglio: raccontare storie di migrazione italiana, cantare la saudade italiana in terra straniera, sognare di essere felici anche nel posto meno ospitale del mondo. Basta saper guardare il mare: «si guardo u mare ‘un signu sulu mai» (Nun signu sulu mai – La grande corsa verso Lupionòpolis). 

Voltarelli riannoda con sapienza e maestria i fili che lo hanno reso ancor più celebre dopo la separazione da quel funambolico esperimento di contaminazione che era Il parto delle nuvole pesanti. Ogni canzone del nuovo disco sembra voler raccontare di quanto sia sofferta e unica l’esperienza di sentirsi italiani in terra straniera per i più disparati motivi.
Un’alterità che Voltarelli ha saputo raccontare con svariate canzoni, facendone la cifra del suo essere, del suo cantare e anche del suo vestire (nel senso letterale del termine).

Sembra che non sia passato un giorno da Onda calabra (pubblicata con Il parto delle nuvole pesanti) la cui visione del video era indispensabile per capire e comprendere a fondo le parole del ritornello («Onda calabra / In doichlanda / Und die kleine / Und die spiele / Und die arbeite») da Sta città. Italiani, calabresi in Germania. 

L’autore si spinge ancor più lontano: ben oltre il Brennero e le Alpi e decide di varcare l’Oceano, un «mare niro funno chi fa paura» (Mareniro). E anche se Mozza può apparire una canzone di poco conto al primo ascolto, al secondo si coglie subito il velo di tristezza, reso meno consistente dalla melodia e dal divertente ritornello: «Nu stamo caminammo ppe ri strade e Montrial / Simo troppo bell e ni volimo semp scialà / Tu dici all’improvviso iamuninn au cinema / Va bono sì ma prima ma prima fammi mangià» e ancora: «Trasimo ntra nu posto piccolino a San Michel / All’intra poca gente e tante foto e l’Italie / C’è pure nu cantante quanto è bravo poverino / Arriva ru mangiare forza sona Peppino […] Si po essere felici pure dintra u Canadà».
Certo, si può essere felici, vanno bene la mozzarella e i panzerotti, ma il cantante è «bravo» e «poverino». 

Il Mino Reitano del XXI secolo è certamente Peppe Voltarelli non solo perché canta d’emigrazione riuscendoci in un modo non banale, ma perché lo fa in totale controtendenza a quello che è il clima presente nel Bel Paese. Le destre al governo cercano di esaltare la cultura italiana (o meglio, una piccolissima parte di essa) per far sì che l’identità nazionale si saldi in contrapposizione con la paura del diverso rappresentato da migranti, dai richiedenti asilo e dagli stranieri in cerca di patria, di cittadinanza. Ma il risultato è solo quello di fornire un’idea di Italia fatta di luoghi comuni, come ha fatto Giorgia Meloni al G7 parlando ed esaltando la cultura enogastronomica italiana in un luogo che non c’è: «un resort di lusso dove non ci sono abitanti ma solo lavoratori». 

Lavoratori, laureati, professionisti che ogni anno lasciano l’Italia per diventare cittadini di altri paesi. Italiani in terra straniera che diventano inglesi, statunitensi e tedeschi. L’emigrazione è cosa seria e gli italiani lo sanno benissimo. E Voltarelli la canta ancor meglio.

“Sensazionalismi” o “aprioristiche condanne”, comunque assenza d’informazione – Atlante Editoriale

Dopo i fatti di Cutro, non cessano le morti nel “cimitero mediterraneo”: nella notte tra il 12 e il 13 marzo [2023] un barcone carico di 47 persone si è ribaltato a 100 miglia dalle coste libiche. I fatti e la cronaca dell’accaduto sono spietati: componenti dell’Organizzazione non governativa “Watch the Med – Alarm Phone” segnalano un’imbarcazione a largo delle coste libiche in area Sar (cioè “search and rescue”)[1]. Un primo avvicinamento e conseguente tentativo di soccorso proviene dalla nave “Basilis L” che tuttavia non riesce ad operare pienamente. L’aiuto sfuma. Nel frattempo le informazioni vengono trasmesse anche ad Italia e Malta dato che, a quanto è stato riportato sia dalle agenzie stampa, sia dai quotidiani nazionali, la Libia non avrebbe avuto mezzi da impiegare nel salvataggio. 

Entra così in gioco anche Roma, come riporta l’agenzia «Ansa»: «La “Basilis L” a causa delle condizioni meteo non è riuscita a soccorrere i migranti. Dal canto loro le autorità libiche, per mancanza di disponibilità di assetti navali, hanno chiesto il supporto del Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma che ha inviato un messaggio satellitare di emergenza a tutte le navi in transito. Sul posto si sono, quindi, trovati quattro mercantili». 

Il cargo Froland, battente bandiera Antigua e Barbuda, raggiunge l’imbarcazione e inizia le operazioni di salvataggio. Le cose non vanno come devono andare e il mezzo di fortuna si capovolge. Si contano 30 dispersi mentre in 17 si salvano. «Siamo in marzo: è il mare più freddo dell’anno» precisa Giuseppe Scandura nel notiziario mattutino di «Radio Radicale» di lunedì 13 marzo [2023], inviato permanente nelle zone di sbarco da parte della emittente radiofonica. Le sue parole vogliono lasciar intendere la triste conseguenza dell’essere classificato ‘disperso’ in mare nel corso di questo mese.
Il corrispondente ha poi aggiunto: «i migranti si trovano ora su uno dei cargo di Froland che sta navigando in questo momento ad Est di Malta e si sta dirigendo verso Porto Palo e Pozzallo». 

L’imbarcazione è rimasta in avaria «per 30 ore» ha precisato Scandura e la vicenda porta con sé polemiche, dichiarazioni da parte delle forze politiche ma anche (stavolta più delle precedenti) una lettura peculiare da parte della stampa nazionale. 

 

Destabilizatsiya

Secondo Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato della Repubblica, intervistato da Fabio Rubini per «Libero» [2] ci sarebbero evidenti interessi geopolitici alla base degli sbarchi in Italia dato che «in alcune zone del Nord Africa, dove si intrecciano gli interessi di Turchia, Russia, Cina, Iran» al Senatore «pare evidente che, ad esempio, la Russia possa avere l’interesse a destabilizzare quell’area geografica per moltiplicare i flussi migratori e mettere in difficoltà i Paesi europei che si sono schierati contro di lei nella guerra con l’Ucraina». Romeo ha anche aggiunto: «La Russia sta creando una vera e propria “bomba migratoria” per mettere in difficoltà l’Europa. Provate a pensare se a un certo punto dovesse incendiarsi la situazione politica nel Nord Africa. Sarebbe un disastro per l’Europa e soprattutto per l’Italia che è in prima linea nel Mediterraneo».

Il disarcionamento – se così possiamo definirlo – dei poteri del Nord Africa, tuttavia, è in atto non solo dalla ripresa del conflitto russo-ucraino dello scorso anno (in essere dal 2014) ma ben prima di quella data.
Il giorno precedente l’intervista in oggetto, la polemica è stata avviata da Lucio Malan (da questa legislatura in quota Fratelli d’Italia dopo aver abbandonato Forza Italia): l’esponente del partito di Governo affida a Twitter la pubblicazione di una foto in cui viene geolocalizzata la posizione dell’imbarcazione che aveva richiesto soccorso con la seguente descrizione: «Barcone in difficoltà vicino alle coste libiche? Per Alarm Phone la responsabilità è dell’Italia, come fosse tornato l’Impero Romano» [3].

Anche Daniele Capezzone (già deputato della Rosa nel pugno in quota radicale, poi per Forza Italia e ora vicino al Governo), durante la trasmissione “Zona Bianca” (Retr4) di domenica 12 marzo, ha tuonato così: «Stanno uscendo particolari atroci su quella barca [riguardo i fatti di Cutro]: gli scafisti la tenevano insieme con chiodi arrugginiti e graffette. Stando alla relazione dei servizi segreti, pagina 37, che invito a leggere, quanto più ci sono operazioni di soccorso, tanto più gli scafisti risparmiano e mettono dei poveracci su veri e propri gusci di noce […] è una vergogna che questa gente del Partito democratico anziché scagliarsi contro di questi, si scagli contro il Governo».

“E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”

Certo è che se la questione la si mette sul piano dell’emotività non se ne esce più. O, almeno, così è a parere di chi scrive. La pavimentazione della realtà cede di schianto e si può dare il via ad interpretazioni arbitrarie e opinioni più che personali. L’editoriale di Maurizio Belpietro su «La verità» di lunedì 13 marzo [2023] affonda il coltello nel metaforico “burro mediatico” riguardo i festeggiamenti di Casa-Salvini, ponendo il fatto in relazione con gli avvenimenti di cronaca: «Dopo Cutro vietato intonare Battiato?» prendendosela contro gli esponenti del Partito Democratico e di Alleanza Verdi/Sinistra che hanno utilizzato la vicenda leggendo la canzone deandreiana a favore dell’accoglienza. Stando a quel che scrive Belpietro, per l’opposizione ogni riferimento al mare nelle canzoni pop italiane sarebbe da bandire e quindi il Direttore snocciola varie canzoni tra cui Summer on a solitary beach: «Sebbene abbia un titolo inglese, in quella canzone Franco Battiato a un certo punto ripete un ritornello agghiacciante e politicamente scorretto, almeno di questi tempi: “Mare mare mare voglio annegare, portami lontano a naufragare, via via via da queste sponde,
portami lontano sulle onde”. Se così fosse, le nuove regole imposte da Elly Schlein e compagni ci costringerebbero persino a vietare Il pescatore, che pur essendo stata scritta da Pierangelo Bertoli e cantata da un’eroina rosso fuoco come Fiorella Mannoia parla di un’onda che ti solleva forte e ti spazza via come foglia al vento, per chiedersi poi se la morte sia così cattiva». Sembrerebbe evidente il tentativo strumentale di ambo le parti. Eppure non è il solo. Augusto Minzolini, nell’editoriale per «Il Giornale» di lunedì si pone sulla stessa scia condannando gli approcci emotivi alla vicenda che coinvolge le migrazioni di esseri umani: «Anche perché è fatale che il prossimo fatto di cronaca truculento che abbia come protagonista qualche immigrato clandestino susciti nella nostra opinione pubblica una reazione emotiva, uguale e contraria, a quella giustamente provocata dalla disgrazia di Cutro. Le emozioni, si sa, non si governano Ecco perché c’è un bisogno profondo di senso dell’equilibrio nell’accostarsi ad un problema che non ha soluzione. Da parte di tutti. È necessario assicurare il soccorso in mare a chi si affida a questi viaggi del dolore. Non potrebbe essere altrimenti: solo qualche scemo del villaggio può pensare che il nostro governo non abbia salvato scientemente i naufraghi di Cutro. È anche necessario, però, trovare nel contempo strumenti che scoraggino l’immigrazione, che spieghino a questa umanità disperata che non basta arrivare in Italia per restarci» e l’ex direttore del Tg1 chiude con una stilettata a Shlein e a Salvini: «Con la speculazione politica su questi temi, non si va da nessuna parte. Anzi, può rivelarsi un boomerang, perché le ondate emotive sono cangevoli. Lo ha sperimentato Matteo Salvini e lo scoprirà anche Elly Schlein». 

Eppure i sensazionalismi sono comparsi proprio su quella parte di stampa che vorrebbe un approccio più lucido e razionale sulle questioni legate ai cosiddetti “flussi migratori”.
Basta sfogliare le prime pagine del «Giornale», «Libero», «Verità» ad ogni sbarco: lunedì 13 la prima del giornale diretto da Sallusti recita: «Altra strage in mare, altre bugie a sinistra». Per «Libero» c’è un «Assalto all’Italia» (scritto in rosso) e poi «Allarme: non si fermano più».
L’unica cosa certa, in tutta questa vicenda, è che davvero per tutti il dolore degli altri è dolore a metà.
E allora ci sentiamo assolti. Pur essendo dannatamente coinvolti. 

Note:

[1] “Siamo scioccati. Secondo diverse fonti, decine di persone di questa barca sono annegate. Dalle ore 2.28, dell’11 marzo, le autorità erano informate dell’urgenza e della situazione di pericolo. Le autorità italiane hanno ritardato deliberatamente i soccorsi, lasciandoli morire”. Questo il tweet pubblicato dall’account di Alarm phone nella notte di sabato 11 marzo [2023]. https://twitter.com/alarm_phone/status/1634920639676190722?cxt=HHwWhMDUvZvqs7AtAAAA 

[2] Fabio Rubini, «I barconi ce li manda la Russia», lunedì 13 marzo 2023, «Libero Quotidiano».

[3] https://twitter.com/LucioMalan/status/1634979739650895873

 

Articolo pubblicato su “Atlante Editoriale”.

La foto è tratta dalla testata «Il Dubbio».