La saliva

Foto di Fatih Yürür su Unsplash

 

La pigrizia, come la saliva, è una cosa importante.

O meglio: la saliva non è una cosa ma un «liquido incolore un po’ filante secreto da particolari ghiandole annesse al cavo orale», stando al vocabolario digitale della Treccani. La definizione è confermata dal vocabolario scolastico Zingarelli minore in cui si legge che la saliva è un «liquido incolore, filante».

È un liquido talmente importante per l’uomo! Esserne sprovvisti inficerebbe mansioni vitali come «la masticazione, la formazione del bolo alimentare, la deglutizione, la fonazione e la lubrificazione dell’esofago».

Saliva e pigrizia sono imprescindibili per la vita di tutti i giorni.

Se torni a casa dopo una mattinata scolastica in cui il meno ostile dei tuoi alunni ti ha detto che «tutto sommato ‘e cose j’o dette», volteggiando la mano destra a mo’ di piuma, mentre tu stai cercando invano  di far comprendere al fanciullo che Tiberio Gracco non era un console, il cognome è Gracco e non Cracco come lo chef Carlo e che, no, Quinto Fabio Massimo non può chiamarlo “l’imperatore Fabio” perché non è imperatore e non è un suo amico, abbandonare «il corpo lasso» sul letto al fine di riprodurre fedelmente la rappresentazione del “quattro di bastoni” (secondo le carte piacentine), rappresenta un valore importantissimo per la psiche e per il corpo.

Intendiamoci: in quel momento la saliva torna a fluire, le funzioni vitali dell’organismo riprendono a scorrere serenamente, il respiro migliora, gli affanni che fino a un minuto prima sembravano insormontabili, d’improvviso sembrano essere andati via in chissà quale regione remota dell’anima. 

Ecco, dunque che saliva e pigrizia sono un tutt’uno. 

Forse deve aver pensato a questo, in un lampo di genio, il collega che stava mettendo un braccio fuori dalla porta d’uscita di scuola non già per controllare se avesse smesso di piovere, quanto – piuttosto – per prendere delle gocce e farsele cadere sulla mano sinistra, mentre con la destra teneva in mano delle buste timbrate dalla scuola (che probabilmente sarebbero state utilizzate per contenere dei documenti ufficiali).

È stato un momento, un lampo.
Rimetto a posto lo zaino sulle spalle, esco dalla porta e mi rendo conto che sta iniziando a grandinare. Salutandolo, mi rivolgo a lui in tono assertivo-interrogativo: «Certo che piove forte, eh», dato che la sua posizione stava palesemente rievocando la celebre statua del discobolo e non riuscivo a capire perché lo stesse facendo, perché stesse bagnandosi l’avambraccio volontariamente.
«Eeeh sì, sì, ma a me serve solo un po’ d’acqua», mi dice sorridente e con accento che – ad occhio – era più vicino a quello di Lamezia Terme che a quello di Grumello al Monte: «non mi va di usà la saliva per chiudere le buste».

Se fosse stata una scena di un film, il sapiente regista avrebbe colto quel momento di silenzio prima del congedo tra i due e avrebbe fatto partire la celeberrima canzone di Enzo del Re: Tengo na voglia ‘e fa niente che, infatti, diceva:

Si a fatica era ‘bbona,
‘a cunsigliava o’ dottore

Cose strane della Bolivia #1

Tipica doccia boliviana

Primo elenco di “cose strane”, che ho visto in Bolivia. 

La doccia con la resistenza elettrica
In Bolivia pare le case non siano dotate di scaldabagno o di altri apparecchi per riscaldare l’acqua a fini di abluzioni igieniche. I soffioni delle docce dunque hanno collegati dei fili scoperti collegati ad essi (mi perdoneranno gli elettricisti per la spiegazione ma sono un umile umanista che non capisce nulla delle leggi di Ohm e affini). Il trucco per non perdere la vita è lavarsi ponendo il corpo al di sotto di un’immaginaria Linea Gotica tra il getto d’acqua e la tua testa. 

L’acqua che però «es Coca Cola, senor»
A La Paz l’acqua del rubinetto è meglio non berla. Le due marche più famose sono la Villa Santa (azienda boliviana) e Vital, questa è prodotta della Coca Cola. Quando vai a comprarla in una qualche “tienda”, il venditore tiene a specificare che quella che costa un boliviano di più è migliore perché «es Coca Cola senor». Come a dire: te sto a vende la Coca Cola, eh, mica robetta. E tu stai lì come Max Collini quando nota la marca “Danone” dietro i wafer Tatranky. 

«No es carne, es pollo»
La Bolivia non è famosa per il cibo. Ci sarà un motivo per cui la Bolivia non è così famosa per il cibo, o no? In un paio di occasioni ci è stata proposta della carne ma, rifiutandola e preferendo delle verdure (specialmente i primi giorni), ci è stato risposto più volte così: «Ma no, non è carne: è pollo!». Avremo poi scoperto col passare dei giorni che il consumo di pollo, specialmente tra gli strati più popolari della popolazione, è decisamente massivo e che se stai male con lo stomaco non è che ti mangi il riso bianco come in Italia ma il brodo di pollo.