«Nun me po’ nterogà domani?»


Foto di Stefan Spassov su Unsplash

Dice: «Quindi oggi non me ‘nteroga? »
Dico: «Caro *** devo già interrogare cinque persone che il penultimo giorno di scuola si sono rese conto di essere insufficienti: non c’è troppo tempo, non credi?»
Dice: «C’è sempre domani»
Dico: «I voti però li devo inserire oggi» 
Dice: «Quindi lei domani nun lavora?»
Dico: «Certo che lavoro e tu domani verrai a scuola»
Dice: «Eh ma se nun me nterroga che ce vengo a fa»
Dico: «Perché comunque conta come assenza»
Dice: «Quindi lei lavora sempre tranne l’ultimo giorno de scola?»
Dico: «Io lavoro sempre, o ti è risultato diversamente? A me pare che so più le volte che non sei venuto a scuola de quelle quando c’eri. Come la mettemo?»
Dice: «Vabbè ma quindi se io me voglio fa interroga domani? L’altri prof ce nterogano»
Dico: «Okay: domani è l’ultimo giorno, però, caro ***»
Dice: «Vabbè io comunque oggi me giustifico»

Classe digerente [o “fegati dirigenti”]

In un’appassionata discussione, quanto pigramente sopportata dalla maggioranza dei presenti, relativa alla somma di fondi che andrebbero elargiti tramite l’approvazione di progetti e voci di spesa in ambito dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), a un certo punto prende la parola un collega. 

Uno di quelli giusti, uno di quelli che ai lavoratori ci tiene “nonostante il sindacato”, confederale ça va sans dire. Uno di quelli ‘militanti’ che distribuisce la stampa della propria organizzazione con pedissequa abnegazione e ossequioso rispetto di strutture gerarchicamente settarie ma all’apparenza perfettamente ben oliate nell’organizzazione.

Prende il microfono. Ringrazia i presenti per il dibattito, come ad attribuirsi capacità di sintesi a seguito delle sue parole e in forza di esse.
Dice che di quanto detto fino ad ora, riguardo cifre e voci di spesa, non ci ha capito nulla ma che sa benissimo una cosa: “la tecnologia si domina”. L’uomo è in grado di farlo, manifestando una invidiabile fiducia più che positivista.
Dice che gli studenti che forma la scuola secondaria di secondo grado sono “forza lavoro” e che fuori dalle mura scolastiche “andranno comunque a lavorare e faranno arricchire altri” ma che “è un’altra storia e si aprirebbe un capitolo troppo lungo”.
Dice anche che, in fondo, tutta questa verve passatista non la capisce: “non amo molto Pasolini e quello che diceva sul passato era sbagliato”. Non bisogna rimpiangere per epoche che ci si è lasciati alle spalle da almeno un quindicennio o più; peggio ancora se il passatismo è rivolto ad epoche non conosciute, rimpiangendone esoticamente (o letterariamente) i fasti o quel-che-fu

Insomma: i ragazzi forza lavoro. Alla malora chi pensa che l’istruzione serva davvero a qualcosa, che possa essere e rappresentare un percorso di crescita per migliaia di ragazzi, di sviluppo della consapevolezza di sé, dello spirito critico e – scusate se è poco – per imparare quel che precedentemente non era conosciuto. 

E menomale che è uno di quelli che si dichiara pervicacemente marxista e che, nella sua organizzazione gerarchica, ne rappresenta anche un dirigente di primo piano.

Classe digerente, più che dirigente.

Poveri noi.
(E poveri figli).

L’immagine a corredo dell’articolo rappresenta l’Hotel Uzbekistan di Tashkent.