Europee, cambiano le regole: partiti nel caos

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Nasce la lista centrista “Stati Uniti d’Europa” ma si rischia già lo strappo con Volt e una parte di +Europa. Disputa sul simbolo tra la lista “Pace terra dignità” (lista Santoro) e i Verdi/Grüne del SudTirolo.

Mancano poco più di tre mesi alle elezioni europee: si terranno l’8 e il 9 giugno [2024] contemporaneamente in tutti i paesi dell’Unione. In Italia il Governo Meloni ha appena cambiato le regole per la presentazione delle liste: le organizzazioni politiche si stanno adeguando alla normativa, non sensa difficoltà.

Cambiano le regole ma in cosa consistono le modifiche?
Il Governo ha modificato la normativa che regola la partecipazione elettorale dei partiti e delle liste attraverso la conversione in legge del decreto 7/2024. Il Governo era partito in gennaio con la volontà di proporre alle Camere un testo già blindato nei fatti, a cui poi si sono aggiunti degli emendamenti in Aula. Tra le varie modifiche ce ne sono due tra le più rilevanti tra cui: la questione della raccolta firme per la presentazione di una lista e il voto – in via sperimentale – ai fuori sede. Riguardo la questione firme, in questo caso attorno all’esenzione della raccolta, potrà avvenire solo per la lista o il partito «che che abbia ottenuto almeno un seggio al Parlamento europeo – ed in una delle circoscrizioni italiane». Alle scorse europee [2019], mancando la specificazione delle circoscrizioni italiane, riuscirono a presentarsi senza raccogliere le firme anche le liste del Partito Pirata, della lista “La sinistra” (Rifondazione-SinistraEuropea e Sinistra Italiana) e del Popolo della famiglia di Massimo Adinolfi.

Proprio Rifondazione, sebbene fondatrice del Partito della Sinistra Europea, quest’ultimo rappresentato a Bruxelles/Strasburgo, ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica riguardo, sostengono dal Prc, la palese incostituzionalità del decreto convertito in legge.

Sul voto ai fuori sede la normativa ora stabilisce che gli studenti fuori sede possono votare «nel luogo di domicilio, con esclusivo riferimento alle elezioni europee del 2024» ma è valida solo per «gli elettori che sono temporaneamente domiciliati» da «almeno tre mesi in un comune italiano situato in una regione diversa da quella di residenza». L’aporia della norma sta nel fatto che si voterà sia per il rinnovo del Parlamento europeo, sia per il rinnovo dei consigli in alcune regioni.
Dunque il fuori sede dovrà comunque recarsi là dov’è residente per poter votare anche alle regionali.

E i partiti? L’incontro-scontro al centro
Ventiquattro ore prima delle festività pasquali, è giunto in porto il progetto della lista denominata Stati Uniti d’Europa (SuE). L’area centrista liberal-democratica e radicale ha trovato un accordo attorno al nome della lista, nonché attorno ai maggiori sostenitori e rappresentanti di SuE cioè +Europa (dunque Radicali italiani e Italia in Comune), Italia Viva di Matteo Renzi, Libdem di Andrea Marcucci e il Psi di Enzo Maraio (che non è il nPsi, pur avendo oltre al garofano il medesimo font in comune).
Non ci sarebbero ancora le ufficialità di Volt (il partito politico paneuropeo) e della Nuova Dc siciliana ma il simbolo che è circolato nei giorni di Pasqua vede anche “la pulce” della prima organizzazione citata, che scioglierà la riserva solo il 6 aprile.

L’accordo, quindi, c’è. Cioè: ci sarebbe, pur nell’alveo di una «lista di scopo». Come da migliore tradizione radicale. Ci sarebbe, dicevamo. Il condizionale è d’obbligo e nonostante Emma Bonino in un suo articolo pubblicato su «La Stampa» del 15 dicembre [2023] avesse lanciato – calcisticamente parlando – la palla in tribuna per poter dare il via al percorso di costituzione del progetto, la lista soffrirebbe già di dissidi interni.
Si potrebbe ridurre il tutto ad un equivoco di fondo: +Europa, sebbene abbia trainato la creazione della lista, non è un partito unitario quanto più una sorta di coordinamento liberal-democratico di varie componenti, tra cui quella capitanata da Benedetto della Vedova, quella di Radicali italiani e quella afferente ad Italia in Comune. Federico Pizzarotti fa parte di quest’ultima: da presidente di +Europa ha affidato a X (ex Twitter) la polemica interna, prima riguardo la candidatura di «Marco Zambuto (genero di Totò Cuffaro)» ma anche attorno al simbolo che «non era mai stato condiviso in nessun organo: io non lo avevo mai visto». Chissà che il vento di Calenda, unico escluso dal mal assortito rassemblement centrista, non riesca a soffiare dalle parti di Federico Pizzarotti e spaccare il “fronte” appena nato.

Sinistra: la “lista Santoro” copia i Verdi/Grüne altoatesini?
La lista promossa dal giornalista Michele Santoro, dal professore Raniero La Valle e dall’influencer (ex Fronte della gioventù comunista) Benedetta Sabene, “Pace, terra, dignità”, non dovrà confrontarsi soltanto con la raccolta delle firme, ma anche con la legge. I Verdi del SudTirolo si sono rivolti ad un legale che ha inviato una lettera di diffida a Michele Santoro e a Rifondazione comunista (promotrice della lista), come rivela il docente Gabriele Maestri sul suo blog. Santoro ha, ad ogni modo, ribadito le ragioni della lista affidandosi anch’egli ad un avvocato ed ora è, letteralmente, battaglia sui simboli.

La risacca dei partiti personali
Il dato che emerge fino ad ora è quello dello spazio politico occupato dal “centro” che, a quanto pare, si sta facendo sempre più asfittico. Non più di due lustri fa se la pubblica opinione avesse assistito ad una veemente querelle come quella in essere da mesi (per non dire anni) tra i leader dei vari partiti lib-dem, moderati e radicali ma nell’area politica della sinistra radicale, avrebbe derubricato i dibattiti alla voce “litigiosità” del vocabolario. Proverbiale quella della sinistra, se di mezzo ci sono anche i comunisti o socialisti, poi, non se ne parli neanche. Non prima di aver trattato il tutto con distacco e una punta di disprezzo. Ma ormai l’opinione pubblica è assuefatta ai partiti personali e alle loro dispute, nonché al loro orizzonte elettorale e di brevissimo periodo: la politica, pur lontanissima, è preda di dibattiti su X e a colpi di post. Di sostanza ce n’è poca e c’è da cercarla con la lanterna accesa nel buio.
Come Diogene di Sinope: lui cercava l’uomo, qui cerchiamo la politica.

 

Pubblicato su Atlante Editoriale 

Zolle di terra su Alan Sorrenti

Poche premesse perché altrimenti questo post rischia di diventare un
polpettone dei miei da quindicimila battute e non è il caso. In questo caso le ‘poche premesse’ consisterebbero nell’evitare completamente di contestualizzare la circostanza politico-sociale degli anni ’60/’70 in Italia. Sul Partito comunista italiano e i rapporti con la sinistra extraparlamentare, sulla galassia comunista che esisteva (non sopravviveva: esisteva!) ed era espressione di un movimento molto più largo. Su tutto questo, transeamus.

Nel mondo dell’extraparlamentarismo c’era vita e c’era fermento: 

«Negli anni settanta i giovani non erano ancora stati massacrati dalla televisione immondizia, si credeva di poter cambiare le cose e ci si provava in tutti i modi. C’erano tante speranze, molti contenuti e avevamo delle prospettive; avevamo territorio fertile per potere inventare, azzardare, sperimentare. Trovo, purtroppo, che i giovani del duemila, nonostante abbiano tanto talento, molti più mezzi in confronto a trent’anni fa, hanno più difficoltà ad esprimersi e a trovare gli spazi». [1]

Il dedalo di riviste musicali d’avanguardia (oggi probabilmente verrebbero considerate ‘di nicchia’), dei relativi gruppi, nonché di festival musicali era davvero imponente e fittissimo agli occhi di chi, condannato anagraficamente, non ha avuto modo di conoscere quel panorama culturale, sociale, politico e musicale. 
 
Il “Festival del proletariato giovanile” organizzato dalla rivista «Re nudo» tra il 1971 e il 1976 (in realtà ci furono altre due edizioni per i due anni successivi fino al 1978 che si discostarono completamente dallo spirito iniziale) è un esempio lampante di quello a cui si fa riferimento: 

«Il periodico di Andrea e Marina Valcarenghi era dedicato alla cultura underground dell’epoca: musica, politica, fumetti, pratiche sociali alternative (chi non ricorda le prime “comuni”?), droghe e sesso. Re Nudo si fece promotore di una serie di raduni pop, i “Festival del proletariato giovanile”, lanciando lo slogan “facciamo che il tempo libero diventi tempo liberato”. […] Arrivarono in diecimila, nonostante le previsioni meteo non
incoraggianti. Si accamparono con tende e sacchi a pelo, tantissimi
senza neppure quello, ma con una gran voglia di stare insieme e
ascoltare musica. “Perché la musica è cultura, e la cultura deve essere
libera e non ci sarà censura, né recinto, né polizia che potrà impedire
tutto questo, cioè quello che è successo a Ballabio: diecimila ragazzi
sdraiati su un’erba senza muri, né recinti, né biglietti”, così
scriveva Carlo Silvestro su Ciao 2001 n. 42 del 20 ottobre 1971». [2]

Venne definita la Woodstock d’Italia
Nell’edizione del 1975 si tenne, oltre a quella di Parco Lambro (Milano), anche un’altra festa nazionale del proletariato giovanile: quattro giorni dal 18 al 21 settembre a Licola, nell’area metropolitana di Napoli. 
La kermesse  venne chiamata da tre sigle: Cps, Cub, Cpu. Rispettivamente: Comitati politici studenteschi, Comitati unitari di base, Comitati politici unitari, ovvero le sigle che componevano il movimento studentesco di allora e che erano vicini ad Avanguardia operaia, Lotta continua, Partito di unità proletaria per  il comunismo/il manifesto. 

«L’altra novità del periodo è il consumo collettivo della musica in grandi raduni collettivi che stanno a metà tra l’intrattenimento musicale e l’assemblea politica. non a caso in questo periodo spesso sono le stesse organizzazioni dell’estrema sinistra a organizzare questi grandi incontri: Licola, Parco Lambro, Villa Pamphili sono i “luoghi” dove si ritrova la maggior parte delle formazioni e dei protagonisti del movimento progressive». [3]

Il prog è il genere di quella fase storica. Almeno alle orecchie del me tredicenne a cui un compagno di scuola fece ascoltare “In a gadda da vida” nel cortile gigante del Liceo Kant di Roma. Sonorità lisergiche, intenzioni parimenti psichedeliche ma comunque tese tutte alla sperimentazione e al voler dimostrare la forza del movimento giovanile di quella fase. Contestazione, certo, soprattutto ricerca di nuove forme. In altre parole: altroché riottismo, rivoluzione. 
 
Giusto per non lasciare idealmente “vuota” la sezione di contestualizzazione del confronto ideologicamente e politicamente muscolare tra Pci ed extraparlamentari, va segnalata «l’Unità» dell’11 luglio 1976: la pagina 16 è interamente dedicata al festival della Federazione giovanile comunista italiana (Fgci) che si sarebbe tenuta a Ravenna. In apertura gli Inti Illimani, Lucio Dalla, Enzo Jannacci, Giovanna Marini ma anche I gatti di vicolo miracoli, Eugenio Finardi e un certo Francesco Guccini.

«[…] C’è chi ha detto che Ravenna vuole essere una risposta a Licola, a Parco Lambro, alle “feste del proletariato giovanile” organizzato da gruppi extraparlamentari. C’è anche chi ha parlato di sfida, di dispetto, Ravenna evidentemente vuole essere qualcosa di diverso: vuole essere l’inizio di una discussione, di un dibattito, di una riflessione sulle “feste” giovanili, su questo modo di stare insieme, di comunicare. Dice Gianni Borgna della Fgci: “Noi abbiamo sentito la necessità di fare questo primo festival nazionale dei giovani proprio perché in questi anni sono state moltissime le iniziative di questo tipo […]”. Detto questo è necessario chiarirsi un po’ le idee su cosa devono essere in concreto queste feste. Se c’è il dato nuovo generazionale rappresentato da iniziative che richiamano l’attenzione dei settori più avvertiti dell’opinione pubblica (non è un caso che le manifestazioni come quella di Parco Lambro siano finite sulle prima pagine di giornali e riviste), se tutto questo è sintomatico della crescita di un movimento bisogna pure, dicono i dirigenti della Fgci, che, da comunisti, diamo una risposta agli interrogativi che nascono […]». [4]

Che ci si creda o meno, Alan Sorrenti inizialmente fu un esponente del prog italiano e sperimentò moltissimo nei suoi primi due dischi: “Aria” e “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto”. Non solo: veniva invitato a molte rassegne alternative, per usar linguaggio contemporaneo, proprio perché rompeva con la tradizione del cantato fino a quel momento. 

 
Dal Corriere della Sera del 13 giugno 1974:

«”È inutile che protestiate – sbraitava al microfono Massimo Villa, presentatore del Quarto Pop Festival di Re nudo – perché non rispettiamo il programma stabilito, perché l’amplificazione non è perfetta, e così via. Sono gli aspetti di una organizzazione necessariamente empirica ma che è l’unica possibile se vogliamo rimanere affrancati dai padroni della musica”. […] Sempre ieri si sono esibiti i St. Just, i Biglietto per l’inferno e Alan Sorrenti che ha ottenuto un grande successo col suo inconsueto “cantar gorgheggiando”». [5]

Che c’entra Alan Sorrenti con le feste del proletariato giovanile?
La domanda potrebbe apparire provocatoria, così come l’eventuale cinica risposta: “potrebbe non saperlo neanche lui“. 

Come accennato prima, Sorrenti inizialmente aveva abbracciato la sperimentazione musicale diventando (suo malgrado? ex post forse sì) un cantante di nicchia e quasi d’avanguardia, per certi versi. Canzoni lunghissime, vocalismi e gorgheggi, tematiche oniriche e non. 
Lo invitarono al festival di Licola nel 1975 ma non andò bene per niente.

«Alan, che allora faceva progressive, eseguì un brano vocale sperimentale che durò sette minuti, il brano era anche interessante per le sue sperimentazioni, ma dopo circa due minuti iniziarono i primi fischi, dopo due minuti e mezzo le prime monetine sul palco, dopo quattro volarono le zolle di terra e dopo sei abbiamo dovuto interrompere il concerto e portare via Alan con il servizio d’ordine perché rischiava il linciaggio; il pubblico aveva inteso come provocazione quel brano così lungo e particolare». [6]

Lo stesso Sorrenti al «Mattino» ebbe modo di ricordare: 

« […] dopo i fischi presi al Festival della gioventù studentesca di Licola del
‘75 dove venni sommerso dalle lattine, sino a dover interrompere
l’esibizione. Per qualcuno ero troppo sperimentale, per altri troppo
politico: non ero un militante, ma un esploratore, volevo andare oltre
il prog di “Aria” e “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio
deserto”. […] Ai corifei di Lenin, Marx e Mao anche quello era sembrato un tradimento
della causa [Sorrenti nel terzo LP aveva inciso “Dicitencelle Vuje”]. Mi
piaceva lavorare sulle mie radici, sulla mia cultura. Ma anche guardare
al mondo: ero stato in Nepal, ero tornato dall’Africa con registrazioni
preziose per il mio prof. di etnomusicologia al Dams, Roberto Leydi, e
la voglia di aggiungere ritmo alle mie armonie vocali, ero pronto per
l’America, terra promessa di noi rockettari della periferia del
villaggio globale». [7]

Stoccata finale a parte, l’incontro con gli States consegnò una produzione completamente diversa: da lì nacque “Figli delle stelle”. 

«Da quel momento non mise più piede nei circuiti alternativi, andò in America e poi passò alla musica pop con “Figli delle Stelle”». [8]

Locandina del film autobiografico diretto da Carlo Vanzina

Tutta questa storia solo per scrivere della singolarità dell’evento in sé: Sorrenti al festival del proletariato giovanile, dagli extraparlamentari, mentre gorgheggia e viene portato via col servizio d’ordine.

Figlio delle stelle che forse, in quel caso, erano anche un po’ meteore.
O zolle di terra. 
[C’è ancora tempo per un riferimento di nicchia. In “Pane e Tulipani” di Silvio Soldini, 2000, il figlio lontano di Fernando Girasole si chiama Alan: «mia moglie all’epoca nutriva un debole per Alan Sorrenti».]

 
 
Note
[1]  Pasquale Miniero, basso e chitarra del Canzoniere del Lazio intervistato nel libro di Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.
[2] https://www.valsassinanews.com/2010/10/09/la-storiasettembre-1971-re-nudo-pop-festival-a-montalbano/
[3] Felice Liperi, Storia della canzone italiana, Rai Eri, 2016.
[4] Paolo Gambescia, Nove giorni insieme tra musica e politica, «l’Unità» 11 luglio 1976.
[5] M.L.F. Più folk che pop per i quindicimila di Parco Lambro, «Corriere della Sera», 1974.
[6] Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.
[7] Federico Vacalebre, Alan Sorrenti e i «Figli delle stelle»: «Quel disco fu uno choc per tanti», «il Mattino», 28 ottobre 2017.
[8] Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.

Terre rare, è ‘battaglia legale’ per il giacimento di Kuannersuit (Kvanefjeld)

Continua la lotta incessante per la ricerca, dunque l’individuazione e l’estrazione, delle terre rare. Stavolta non accade in America Latina (celebre ormai lo scambio di tweet tra Elon Musk e l’allora presidente boliviano Evo Morales) ma in Groenlandia. La società australiana Energy transitions minerals Ltd (già Greenland minerals limited) vorrebbe procedere per vie legali per il progetto di ricerca di terre rare a Kuannersuit (Kvanefjeld in danese).

In una nota diffusa dall’agenzia Reuters il 20 luglio [2023]: «La società Etm ha dichiarato [giovedì 14 luglio ndt] di aver presentato un’istanza di reclamo presso il tribunale di Copenaghen» affinché si stabilisca riguardo il «diritto legale di poter ottenere una licenza per lo sfruttamento»1 del bacino di Kuannersuit (Kvanefjeld).

Stando al quotidiano groenlandese «Sermitsiaq»: 

«La richiesta di risarcimento presentata dalla Etm al tribunale arbitrale della Danimarca è di 76 miliardi di corone danesi» in conseguenza del rifiuto del governo groenlandese di procedere affermativamente con qualsiasi tipo di attività estrattiva. L’istanza è «lunga più di cinquecento pagine e comprende fino a mille appendici»2.

Nel comunicato stampa prodotto dalla società si legge che il soggetto della controversia sarebbe la società Greenland Minerals controllata al 100% da Etm e sarebbe titolare «di licenza di esplorazione»3, legata all’individuazione di terre rare a Kuannersuit.

Ma andiamo con ordine.

Kuannersuit è il sesto giacimento di uranio al mondo, ma è anche il sito più ricco di terre rare di tutto il globo. Secondo stime effettuate dalla stessa società Etm4 si sostiene che vi si possa trovare «oltre un miliardo di tonnellate di risorse minerarie nell’area»5 in particolare il neodimio, materiale importantissimo perché impiegato nella realizzazione di nuove tecnologie nonché di auto elettriche. Proprio per questo Donald Trump, già Presidente Usa, aveva pubblicamente dichiarato l’interesse all’acquisto dell’intera isola, suscitando indignazione da più parti, non solo in Groenlandia.

Inizialmente il partito socialdemocratico Siumut, ininterrottamente al governo del paese dal 1979, aveva acconsentito all’interlocuzione con la società nonché a generici progetti di individuazione ed estrazione. Due anni fa, 2021, le elezioni le vince il partito di sinistra radicale e indipendentista Inuit Ataqtigiit (Ia). In Italia Ia viene subito catalogato come “ambientalista”: in realtà Inuit Ataqtigiit (che tradotto significa “Comunità Inuit”) vince grazie ad una piattaforma nettamente di rottura con il precedente esecutivo socialdemocratico. Mute Egede, che ‘allora’ di anni ne aveva trentaquattro, era stato designato come candidato di Ia e durante la campagna elettorale ebbe modo di dichiarare la propria contrarietà – nonché quella del partito – ad ogni progetto di attività estrattiva nel Paese anteponendo la questione perfino all’indipendenza integrale dalla Danimarca. Il regime di autogoverno, per una volta, non venne troppo contestato: prima la salute, si era detto in quella campagna elettorale. Una volta al governo Ia ha chiuso completamente la questione arrivando a promulgare una legge apposita6 contro le attività estrattive. La norma (Act 20) è ora contestata dalla società australiana per cui viene affermata la non scientificità da parte dell’azienda che «dopo quattordici anni di lavoro in collaborazione» viene messa alla porta.

Si legge ancora nell’articolo pubblicato da «Sermitsiaq»: 

«Secondo la società [Etm], il Naalakkersuisut [Governo autonomo] ha confermato per iscritto nell’aprile 2020 che Energy Transition Minerals soddisfaceva i requisiti per ottenere la licenza. In questo caso si fa riferimento al fatto che il Ministero delle risorse minerarie» avesse acconsentito e approvato le relazioni sull’impatto ambientale e sull’uomo. «Tuttavia, questo non equivale all’ottenimento di una licenza», chiosa Lindstrøm nell’articolo, «ma solo a un altro passo nel processo verso [l’elaborazione di una] decisione».

C’è di più: secondo il governo groenlandese, stando alle fonti di «Sermitsiaq», il tribunale arbitrale di Copenaghen presso cui si è rivolta la società Etm non ha la competenza per giudicare il caso.

Duro il commento di Ia:  

«È vero che la collaborazione ha avuto luogo [coi governi passati ndt] e che è stata fornita una base normativa che consentirebbe l’utilizzo dell’uranio in Groenlandia. Ma in nessun momento si può affermare che la società abbia una giustificata aspettativa di ottenere un permesso per lo sfruttamento dell’area», ha dichiarato Naaja Nathanielsen, componente del governo.

NOTE:

1s.n., Australia’s Energy transition files claim for Greenland rare earth project licence, 20 luglio 2023, «Reuters», <https://www.reuters.com/business/energy/australias-energy-transition-files-claim-greenland-rare-earth-project-licence-2023-07-20/>.

2Merete Lindstrøm, Kuannersuit: ETM har opgjort erstatnigskrav til 76 miliarder, 20 luglio 2023, «Siumut.ag», <https://sermitsiaq.ag/kuannersuitetm-opgjort-erstatningskrav-76-milliarder>.

3Qui il testo della dichiarazione [in inglese]: https://wcsecure.weblink.com.au/pdf/ETM/02688604.pdf.

4Questa la stima di minerali che venne realizzata nel 2015 da Etm e rintracciabile sul sito dell’azienda stessa: https://etransmin.com/wp-content/uploads/Mineral-Resource-Table-February-2015-ETM.pdf.

5https://etransmin.com/kvanefjeld-project/.

6Qui il testo della legge [in inglese]: https://govmin.gl/wp-content/uploads/2022/01/Uranlov-ENG.pdf.

Né Schlein, né Meloni: prima di loro Aglietta (Partito radicale), D’Angeli (Sinistra Critica) ma anche Grazia Francescato (Verdi)

Tra la Presidente del Consiglio dei Ministri e la nuova segretaria del Partito democratico c’è un abisso. Anzi, tre. Si chiamano Adelaide Aglietta, Flavia d’Angeli e Grazia Francescato.

« La sua carriera è stata rapidissima. È entrata nel Movimento per la liberazione della donna (Mld), è diventata segretaria regionale del Piemonte e da settembre è la vicesegretaria del partito. Alle elezioni del 20 giugno è stata la prima non eletta dei candidati radicali». 

Non è il 2023 ma è il 1976: un’altra Italia, un altro contesto politico internazionale e, con tutta evidenza, un’altra morale collettiva. 

Il «Corriere della Sera» di quel giorno, venerdì 5 novembre 1976, pone l’articolo (con foto) al centro di pagina 11: «Adelaide Aglietta è la prima donna segretaria di un partito».

L’articolo è stato scritto da Giovanni Russo e si legge ancora: 

«Prima di diventare radicale aveva sempre votato per il Partito socialista italiano (Psi), ma sempre meno convinta. Durante la battaglia per il referendum, si è avvicinata al partito radicale compiendo non solo una scelta politica ma ache una scelta di vita. Dice: “C’è stata così anche una mia crescita personale”». 

La conferenza stampa di presentazione quel giorno avvenne alla presenza di un contestato ma sempre leader del partito Marco Pannella e del vice segretario Gianfranco Spadaccia che Walter Tobagi avrebbe descritto come “il solito” al congresso dell’anno successivo in merito a una vicenda legata al finanziamento pubblico del gruppo parlamentare (ma non del Partito).

Tornando ai nostri giorni: dalla vittoria alle politiche di Meloni, alla scalata di Schlein, i quotidiani si sono sperticati in lodi tanto nei confronti dell’una quanto dell’altra esponente politica: la prima donna Presidente del consiglio dei ministri e leader di un’organizzazione politica e la prima donna segretaria di un partito di sinistra. 

Come detto prima, dunque, vale la pena ricordare che la primissima segretaria di partito si chiamava Adelaide Aglietta: nel 1976 successe a Gianfranco Spadaccia nella direzione del Partito radicale. All’età di 36 anni e con due figli (guai se allora le si fosse dato della “giovane ragazza” come più volte attribuito a Schlein nel corso dei notiziari televisivi e radiofonici) aveva ricevuto l’onore e l’onere di dirigere il Pr di Marco Pannella: «eletta all’unanimità meno un voto», riporta il pomeridiano «Corriere dell’informazione» del 4 novembre di quell’anno.

E ancora: nel 2008 è il momento di Flavia d’Angeli: portavoce di Sinistra Critica, organizzazione della sinistra trotskysta in vita fino al 2013 e tra le più attive della stagione della balcanizzazione della Rifondazione comunista post bertinottiana [1].
I grandi media avevano già preso ad ignorare le posizioni politiche non-mainstream, dunque di Flavia d’Angeli ci sono solamente dei “francobolli” apparsi su quotidiani nazionali, come quello apparso su «Repubblica» all’indomani delle elezioni del 2008 (quelle della “Sinistra Arcobaleno”): 

«Flavia D’ Angeli candidata premier, Franco Turigliatto capolista al Senato in tutte le regioni. Sinistra Critica, il movimento politico trotzkista, ha deciso di indicare una donna per Palazzo Chigi. La D’Angeli ha 34 anni, è laureata in lettere ed è stata impegnata nei movimenti studenteschi e in quelli anti-globalizzazione. Ha ricoperto l’ incarico di coordinatrice dei giovani di Rifondazione comunista a Genova nel 2001 e al Forum sociale di Firenze nel 2002. Dopo l’uscita di Sinistra critica da Rifondazione si è licenziata dal partito e ora è insegnante precaria di materie umanistiche».

Ancora una
C’è spazio per un’altra donna ancora: si tratta di Grazia Francescato. Eletta portavoce della Federazione dei Verdi durante la fase di transizione del partito, diviso tra il cammino in autonomia e il percorso con Sinistra ecologia libertà [un po’ di articoli su quegli anni, dal 2009 al 2011 e sulle conseguenze che ha avuto in quell’area li trovate qui: https://sostienepiccinelli.blogspot.com/search?q=Sinistra+ecologia+libert%C3%A0].

«Con trecento voti su 507 delegati, Grazia Francescato è stata eletta
nuovo presidente dei Verdi. Prende il posto, dopo un regno durato sette
anni, di Alfonso Pecoraro Scanio che si era dimesso dopo il disastro del
voto di aprile [Sinistra arcobaleno]. La votazione a scrutinio segreto ha chiuso nei fatti un
congresso pieno di tensioni, attese e che doveva regolare conti in
sospeso». 

È quanto raccontava Claudia Fusani su «Repubblica» il 19 luglio 2008, in cui la giornalista (ora al «Riformista») dava conto dei rispettivi congressi del Partito dei comunisti italiani (Pdci) e della formazione ecologista, uscite con le ossa rotte dopo le politiche di quell’anno. 

Curioso il dato che viene citato da Fusani nell’articolo:

«Nella sua mozione raccoglie l’anima più radicale del partito, da Paolo
Cento a Loredana de Petris, da Gianfranco Bettin a Angelo Bonelli
(molto fischiato). Quello di Francescato è un mandato di continuità
con la vecchia presidenza e anche un mandato ponte, fino alle Europee.
Per vedere cosa succede a sinistra dopo le macerie del voto di aprile». 

[1] La conferenza nazionale del 2013 si divise in due documenti contrapposti con pari sostenitori e si decise per lo scioglimento. Ne nacquero due organizzazioni: Solidarietà Internazionalista (gruppo d’Angeli) e Sinistra Anticapitalista (Gruppo Turigliatto), il secondo è tutt’ora attivo e ha fatto campagna elettorale per Unione popolare alle elezioni politiche del 2022.

Cosa sta succedendo in Israele – La Rinascita delle Torri

«Alla luce dell’attuale situazione di emergenza, chiedo disordini civili…», la voce viene interrotta dalla vicepresidente d’aula. È successo martedì scorso [5 febbraio 2023] alla Knesset, il Parlamento israelliano. A parlare è stato Ofer Cassif, deputato comunista del gruppo parlamentare Ha’dash-Ta’al, interrotto dalla vicepresidente della Camera Nissim Vattori (Likud), è stato prontamente fatto scendere dallo scranno dove è posizionato il microfono, allontanato dagli uscieri e dal personale della Knesset, fatto uscire dall’Aula.

La situazione alla Knesset è degenerata nel giro di poco tempo: Cassif e altri parlamentari dell’opposizione hanno gridato al fascismo e ai diritti democratici violati, promettendo una lotta incessante fino a che “non si fosse abbattuta la dittatura di estrema destra che attualmente governa Israele”, come riporta il sito del Maki (Partito comunista israeliano).

Cos’è successo nei giorni scorsi?
Secondo il quotidiano inglese ‘Guardian’:

«Il nuovo governo di destra di Israele ha iniziato a introdurre una vasta legislazione volta a rivedere il sistema giudiziario, provocando le più grandi manifestazioni pubbliche contro le misure proposte fino ad oggi. In un’accesa riunione in cui diversi politici dell’opposizione hanno dovuto essere allontanati con la forza, la commissione per la Costituzione, la legge e la giustizia della Knesset ha votato lunedì due proposte di legge: una darà ai politici un maggiore controllo sulla nomina dei giudici della Corte suprema, mentre l‘altra consentirà a una maggioranza semplice della Knesset di annullare quasi tutte le sentenze della Corte suprema. Le proposte passeranno ora alla Knesset per la prima di tre letture, anche se non è chiaro quando saranno votate».

Nella giornata di lunedì [12 febbraio] è stata fissata la prima delle tre letture riguardo la contestata riforma della giustizia (e non solo) che fonti vicine al gruppo parlamentare Hadash-Ta’al definisce “controversa”.

Oltre all’opposizione alla Knesset e alle organizzazioni arabe della politica israeliana, hanno dichiarato l’appoggio alle dimostrazioni anche il “Movimento per un governo di qualità in Israele”, l’associazione “Aguda – uguaglianza Lgbtq”.

La riforma del sistema giudiziario proposta dal Likud e dalla destra è stata bollata come un «piano per indebolire il sistema giudiziario [israeliano]».

Domenica sera [12 febbraio] migliaia di donne hanno manifestato nel centro di Tel Aviv contro il governo. Tra i manifestanti c’erano il deputato Merav Michaeli, presidente del partito laburista, l’ex parlamentare Hadash e attivista leader comunista Tamar Gozansky, nonché Lihi Lapid, autrice e moglie del leader dell’opposizione ed ex primo ministro Yair Lapid. Nella manifestazione, organizzata dalle organizzazioni per i diritti delle donne e dei diritti umani, i manifestanti si sono espressi contro la revisione giudiziaria pianificata dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal ministro della giustizia Yariv Levin, portando cartelli con la scritta: “Sveglia“. Numerosi i cartelli neri con scritta bianca “Palestinian lives matters“.

Minoranza araba: «saremo i più danneggiati»
Secondo il ‘Guardian’ sono scese in piazza [il 13 febbraio] decine di migliaia di persone, manifestando davanti alla Knesset: presenti lavoratori di molteplici settori, tra cui medici e operatori sanitari, hanno incrociato le braccia ponendosi in sciopero. Il quotidiano britannico ‘Guardian’ ha anche raccolto la voce dei presenti, in particolare di uno studente (Ron Sheiman, di 26 anni):

«Sono qui per proteggere la democrazia israeliana. Se la Corte suprema non è indipendente, non ci sarà alcun bilanciamento del Parlamento, che potrà approvare tutto ciò che vuole senza limiti. Non so se la dimostrazione fermerà la riforma, ma dobbiamo mantenere la democrazia nell’agenda pubblica».

Nella piazza si è levata anche – e massicciamente – la protesta del gruppo parlamentare Hadash e della sinistra israeliana, nonché delle organizzazioni di minoranza araba che fanno parte del gruppo. Nel corso del corteo, si è tenuto uno speak corner pubblico della frazione “Lista comune”, parte del gruppo parlamentare di Hadash, tenuta dal parlamentare Ayman Odeh:

«Gli arabi residenti in Israele sono il gruppo che potrebbe essere più gravemente colpito dai risultati del colpo di stato [la riforma e successive modifiche all’ordinamento costituzionale vengono così chiamate dall’opposizione]. Pertanto, dimostreremo e parteciperemo alla protesta solo unendo i nostri principi – a favore dello stato di diritto e della democrazia ma anche contro l’occupazione. Questo perché l’occupazione alimenta il fascismo all’interno di Israele. Ben Gabir e Smotritz sono arrivati ​​dagli insediamenti dell’occupazione. Ciò dimostra che l’occupazione e i crimini commessi sono il pericolo maggiore per la democrazia».

Lo stesso Ofer Casif era presente alla manifestazione davanti all’edificio della Knesset e ha twittato:

«Complimenti ai tanti che sono venuti a manifestare. Le rivolte civili contro la dittatura emergente dovrebbero continuare. Sto solo ricordando a tutti che se questa resistenza alla dittatura è solo all’inizio, comprendete la resistenza palestinese alla dittatura dell’occupazione per decenni»

חזרתי עכשיו מההפגנה נגד ההפיכה המשטרית הדיקטטורית. כל הכבוד לרבבות שבאו להפגין. צריך להמשיך – מרי אזרחי נגד הדיקטטורה המתהווה. אני רק מזכיר לכולם, שאם זו ההתנגדות לדיקטטורה שרק מתחילה, תבינו את ההתנגדות הפלסטינית לדיקטטורה של הכיבוש מזה עשרות שנים. pic.twitter.com/ta5TQLKuSa

— Ofer Cassif עופר כסיף عوفر كسيف (@ofercass) February 13, 2023

Benzina sul fuoco
Ad aggravare la situazione, nella giornata di domenica [12 febbraio 2023] un ragazzino palestinese di 14 anni è stato ucciso durante scontri con l’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, come riporta l’Ansa, identificando il minore in Qusai Radwan Waked, morto in ospedale “per le gravi ferite riportate all’addome dai proiettili dell’occupazione israeliana”.

Cosa sta succedendo in Israele

Ecologismo e opportunismo: il cocomero è già andato a male

«Con la lista “Verdi e Sinistra” abbiamo fatto una scelta di campo per battere le destre e insistere, anche in regione Lazio, sui temi del lavoro, della tutela dell’ambiente, della difesa dei più deboli», è quanto dichiarato dal consigliere capitolino Alessandro Luparelli (Sinistra civica ecologista) a margine dell’incontro del 6 febbraio [2023] all’Hotel FlyDeco di Ostia. L’evento di presentazione del progetto “Lazio 2023” si è svolto alla presenza dei consiglieri della lista sopracitata (dunque presente anche Michela Cicculli) insieme agli esponenti Ferdinando Bonessio e Guglielmo Calcerano di Europa Verde, rispettivamente consigliere in Assemblea Capitolina e assessore al X municipio.
La lista comunale “Sinistra civica ecologista” si presenterà, dunque, unita al cartello elettorale “Verdi e Sinistra” puntando su Claudio Marotta, candidato di punta ex componente del Centro sociale “La Strada” di Garbatella e già attivista del movimento di lotta per la casa “Action”.

Ma non si tratta della lista “Alleanza Verdi e Sinistra” delle politiche: quella è già acqua passata.

Simbolo delle politiche

La lista che supporterà il candidato del Partito Democratico alle prossime elezioni regionali (12 e 13 febbraio 2023) non sarà quella che pure prevedeva nel nome e nell’accostamento cromatico le parole “Verdi e Sinistra”. Stavolta c’è anche la formazione politica di Pippo Civati (Possibile) in calce al simbolo.
Per utilizzare le parole di
Gabriele Maestri (docente all’università “Roma Tre” e curatore del blog “I simboli della discordia”), il simbolo “Verdi e Sinistra” in supporto alla candidatura di D’Amato: «merita un po’ più di attenzione e un esercizio di memoria». Perché? Detto, fatto: il nome è praticamente identico ad “Alleanza Verdi e Sinistra” «che ha corso alle politiche (e che corre in Lombardia)».

A Roma l’alleanza si è spezzata e ha diviso in due Sinistra Italiana, che già non godeva di buona salute, sostituendo il partito di Fratoianni con quello di Civati: «lo stesso simbolo era inutilizzabile[…] – si legge ancora sul blog di Gabriele Maestri – Europa Verde conquista così più spazio, mentre sotto spunta, in un segmentino color lampone pastello, il riferimento a Possibile. Il riferimento alla sinistra rimanda all’esperienza cittadina di Sinistra civica ecologista, ma anche un po’ a Sinistra ecologia libertà (il carattere non è identico, ma lo ricorda)».

Simbolo alle regionali

La parola “sinistra” in questo caso non sta per “Sinistra Italiana” e i candidati del partito di Fratoianni sono nel contenitore denominato “Polo progressista – Civici per Bianchi presidente” con tanto di marchiatura in calce al logo: “di sinistra & ecologista”.
C’è pure la “e commerciale” (&), come per i barattoli di pelati in offerta al supermercato.

Una storia di odi et amo che sembra non finire mai, quella dell’opportunismo della sinistra socialdemocratica e ambientalista: da quando ci fu il pasticcio del primo simbolo di Sel con le tre “pulci” (i “simbolini”) del Partito socialista italiano (Psi), dei Verdi e del raggruppamento europeo Gue/Ngl. La costruzione del cartello elettorale capitanato da Nichi Vendola si sgretolò in un pugno di ore dopo l’annuncio: il Psi aveva annunciato che avrebbe aderito al Pse; l’allora Federazione dei Verdi dopo la vittoria di Bonelli al congresso riprese il percorso in autonomia e il tutto si frantumò nel giro di poco tempo.
Pezzi del Psi, dei Verdi decisero di rimanere in Sel e diedero vita al progetto che si concluse a seguito delle elezioni del 2013: nonostante l’elezione di un manipolo di deputati e senatori la cosa non andò più avanti. Tanto che la tessera di Sel nel 2010 sarebbe stata anonima come questa.

Simbolo della lista promossa
da Sinistra italiana
(ma non tutta)
in appoggio alla candidata
Bianchi del Movimento 5 Stelle
(già presentatrice televisiva) 


Tutto torna.
Per anni dal campo della sinistra socialdemocratica, ecologista e dei radicali, sono state lanciate accuse rivolte alla sinistra radicale e comunista perché la sola presenza di partiti afferenti ad alternative di sistema (faucille et marteau : jamais!) avrebbe fatto vincere la destra. Si diceva, favorendola di sottobanco.

Eppure c’è sempre chi è più opportunista di qualcun altro e ora le liste che rivendicano il medesimo sottobosco culturale-ideale sono due e (stavolta sì!) vanno a dividere l’elettorato che fino a poco prima aveva premiato “l’alleanza” (Avs) che ha composto gruppi parlamentari comuni e che si presenterà comunque alle elezioni lombarde con il medesimo simbolo di settembre.

Finché c’è opportunismo c’è speranza, per chissà quali – e quanti – altri, esperimenti fallimentari.

L’ironia della sorte (amara beninteso) è quella per cui ad oggi si trova più a destra chi un tempo indossava le magliette dell’Esercito Zapatista (e dava corpo al movimento per la lotta all’abitare) mentre è fuori dall’alleanza col Partito Democratico il soggetto politico che più è incline all’alleanza con esso.

https://www.larinascitadelletorri.it/2023/02/06/ecologismo-e-sinistra-lopportunismo-vola-alto-il-cocomero-e-gia-andato-a-male/

Gli 85 di Giovanna Marini (e quell’intervista all’Adeia di Grottaferrata)

Nel novembre 2014, precisamente il giorno 14 di otto anni fa, mi bloccai con la schiena. Quella tra me e il nervo sciatico è una lunga storia che mi “prese del costui dispiacer si’ forte” che spesso e volentieri torna come le vicende amorose tossiche e prive di sbocchi. Avvenimenti del genere accadono solo in prossimità di eventi già prestabiliti, programmati e verso cui prevale un sentimento di attesa spasmodica prima che esso venga portato a compimento. Un po’ come la febbretta infame prima del viaggio (quale che sia) foss’anche il fine settimana al paese dei furono nonni in Abruzzo, Molise, Marche, province laziali qualsiasi. 

Il giorno dopo avrei dovuto intervistare Giovanna Marini alla Libreria Adeia: sabato 15 novembre ore 18:30, così come recitava la locandina realizzata ad hoc e in cui si leggeva a caratteri cubitali “Le interviste possibili”. Non come nel programma RAI di Alberto Arbasino degli anni ’70: queste erano proprio interviste possibili nel vero senso della parola. Giovanna Marini c’è e quel giorno c’era davvero.

Sarebbe troppo lunga spiegare come mai mi trovassi in una libreria indipendente di Grottaferrata con al mio fianco Giovanna Marini che rispondeva alle domande (in realtà faceva praticamente tutto lei, il bello era proprio quello *) e suonava le sue canzoni che l’hanno resa celebre nella nicchia di un certo tipo di cantautorato italiano. Sarebbe lunga anche dire come mai, a un certo punto, grazie a Emanuele, compagno di università e di calcio (sempre viva la Lokomotiv Casilina!) mi sono ritrovato a casa di sua mamma ad aspettare che la Marini uscisse da una lezione di yoga per parlare con lei e farmi raccontare cosa successe a Spoleto nel 1964. Perché, d’accordo: sapevo già tutto il caos accaduto al Festival dei due mondi in cui venne suonata “Gorizia tu sei maledetta” con tanto di verso ufficiale e non “rimaneggiato” (Traditori signori ufficiali / che la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù), però sentirlo dalle sue labbra e dal vivo è tutta un’altra storia. Lo stupore che ebbe all’uscita della lezione di trovare un poco-più-che-ventenne che volesse incontrarla per conoscerla, era ben presente sul suo volto.

Così come, allo stesso modo, sarebbe lunghissimo dire come le mie orecchie entrarono in contatto con “I treni per Reggio Calabria” a 17 anni ma, forse, l’appartenenza politica ha giocato il suo ruolo anche in questo. 

Insomma, ieri Giovanna Marini ne faceva 85 e tra le cose belle che credo d’aver compiuto fino a qui (l’avvicinamento agli enta suggerisce qualche bilancio da iniziare a trarre) c’è sicuramente l’intervista a lei. Perché – certo – nella foto che hanno scattato al centro della piccola sala della libreria ero piegato dal dolore alla schiena (mi sarei rialzato esattamente inarcato ad angolo acuto) ma la felicità è stata indescrivibile. Le abbiamo regalato anche dei fiori: garofani rossi in maggioranza predominante su tutti gli altri e, giuro, quasi si stava per commuovere tanto era contenta di averli ricevuti. 

Tutt’ora, quando riguardo questa foto a distanza di anni, rivedo e percepisco nuovamente quella felicità e sorrido. Tantissimo. 

* In realtà la cosa fu comica: la gente si era assiepata ovunque. Ogni pertugio era occupato da sedie, persone in piedi, seduti per terra a gambe incrociate (ah, gli eventi prima del Covid!) e io ero lì a fianco a Giovanna Marini con una lista di domande a cui pensavo che lei rispondesse. In realtà gliene ho poste due di numero e da lì è stata un profluvio di parole. Ho seguito i suoi passi, mettendo i piedi dove li metteva lei e – di tanto in tano – la interrompevo costruttivamente per farle contestualizzare meglio quanto stava dicendo. A un certo punto si gira e, col microfono aperto, mi fa: “Ah ma ti eri proprio preparato le domandine!”. Ridono tutti, ovviamente, Francesco (gestore della libreria) si mette una mano in faccia a celare quel misto tra sorriso e pianto, io inizio ad assumere tutti i colori di Fantozzi a seguito dell’ingerimento del tordo intero. Però poi è andata bene, me la cavai come al mio solito, le dissi: “No, guardi, è che me le sono scritte per non perdermele, come le forze mie e l’ingegno del Lamento pasoliniano”. E lei: “Oh, ecco, a proposito del Lamento per la morte di Pasolini…” E cominciò a raccontare e suonare.

Riflessioni post elettorali a voce alta [ho voglia di litigare con qualcuno]

L’immagine-testuale a corredo del post non è stata scelta a caso. Forse quello che ho scritto provocherà ire da parti di tante e tanti. Pazienza. L’intento non è quello di far adirare nessuno, piuttosto di ragionare insieme. E se, poniamo il caso, qualcuno a seguito di queste “riflessioni a voce alta” mi vorrà dire “non sono d’accordo con quanto hai scritto, ma vorrei che ne parlassimo insieme”, sarà per me motivo di felicità estrema. Detto questo, cominciamo. 
Non vorrei accodarmi a quella fin troppo vasta schiera di persone che hanno analizzato con fin troppa sommarietà e supponenza i dati elettorali che le elezioni di domenica hanno consegnato al Paese.
Vorrei riflettere a voce alta con chi vorrà, quei quattro lettori soliti e non manzoniani, riguardo quello che è successo domenica. Perché una cosa va detta: nessuno ha ben compreso la portata del voto europeo del 26 maggio, men che meno io che sto ragionando a riguardo, fornendo un personale punto di vista ad una riflessione collettiva abusata di errori e dibattiti attorno a luoghi comuni.

Chi vota?

La questione del chi viene prima del che, tanto in questa quanto per quel che riguarda altre consultazioni elettorali: è andato a votare il 56,1% degli aventi diritto, dato in calo rispetto al 58,7% del 2014. Si avvicina sempre di più la soglia della metà che va a votare e l’altra metà che resta a guardare. Nessuna forza politica pare porsi questo problema che è principale. Valutare le europee di maggio, così come quelle del 2014, sulla base delle percentuali e non di voti effettivi equivale a giocare una partita di calcetto in cui una squadra gioca con 5 componenti e l’altra con 2 persone: la vittoria è certa, la sostanza del gioco assente. Se si dovesse ragionare sulla base dei voti, ogni percentuale avrebbe un consistente ribasso e solo pochissime forze politiche hanno prodotto analisi in tal senso. 

Di batoste, incrementi e opinioni

La sinistra è certamente la lista che più di tutte ha subìto il colpo elettorale: un affondo dato prima di tutto ai dirigenti delle formazioni politiche che hanno composto il cartello in oggetto, sempre pronti a sommare le proprie forze, nonostante esse siano in forse, e il triste gioco di parole è decisamente voluto. Un dato che colpisce indirettamente anche me, benché non sia un attivista delle organizzazioni che ha dato vita alla lista, che ho vissuto la parte discendente della parentesi della sinistra comunista italiana da militante del Pdci: dal 26 maggio le “dirigenze” della sinistra non esistono più. Qualora ci siano e dovessero presentarsi, provocherebbero danni incalcolabili: citofonare Rifondazione, Diliberto, Pdci/Pci, Sinistra italiana, Vendola e chi più ne ha più ne metta. Così come per la lista Europa Verde: la mediaticità dei temi ambientali mai come adesso è stata così alta, eppure gli ambientalisti italiani hanno dato la prova di rappresentare il movimento più residuale e settario del continente. Ma questa è un’altra storia. 
Tornando a La sinistra, la percezione nei confronti dell’elettore medio (non io dato che non li ho votati: coming out) è stata quella di un’organizzazione davvero posticcia e che non dovesse andare oltre il proverbiale periodo che intercorre fra la notte di Natale e Santo Stefano. Pare, a tal proposito, che si sia convocata un’assemblea a riguardo e immagino già come finirà. 
Partito comunista. Qui la questione è più complicata. Voglio bene ai miei ex compagni, che recentemente hanno anche aperto una sezione a San Lorenzo, ma il discorso che fanno, secondo me, non sta in piedi. Certo, ammettono, c’è stato un incremento consistente del partito che è passato dallo 0,3% delle elezioni politiche allo 0,88% delle europee. Nessuno mette in dubbio un aumento di oltre centomila voti, tuttavia alle politiche la lista comunista non era presente in svariate regioni e, semmai si dovesse considerare quello avvenuto come un incremento, personalmente opterei per un discorso inverso analizzando le europee come “primo (vero) test a livello nazionale di presenza elettorale del partito”. Il che ridimensionerebbe la questione.
A questo si aggiunga che le elezioni scorse hanno consegnato un dato che La sinistra, né il Pc, né tantomeno dalle parti di Pap (non presente sulla scheda elettorale) hanno avuto il coraggio di analizzare: il voto a sinistra è diventato un semplice voto d’opinione: l’elettorato zoccolo-duro del passato non esiste più. Sarebbe interessante che da tutte e tre le parti in causa si ragionasse su questo, magari producendo delle analisi a riguardo. 

Che fare?

Fontamara e Vladimir Ilic, pregate per noi. Battute a parte. La situazione è decisamente tragica, benché c’è chi si ostini a trovare venature di «ottimismo della volontà». Parlando qua e là con qualche attivista e compagno sparso tra le varie organizzazioni della sinistra, sono rimasto decisamente basito riguardo la decisione di alcuni: “Non è rimasto più niente – dicono – tanto vale entrare all’interno del Pd costituendo una corrente organizzata”. Non solo si tratterebbe di una sconfitta storica e l’abbandono della posizione che faticosamente si è mantenuto nel corso degli anni, ma di una sconfitta ideologica di proporzioni bibliche. Abiurare al proprio credo politico per abbracciarne un altro di colore e segno decisamente opposto e ostile solamente perché, non c’è più null’altro di meglio, si traduce nell’anti-azione politica necessaria in questa fase. E ci (pluralis maiestatis) fa capire che non solo la mancanza di alternativa prodotta in questi anni (alternativa reale, beninteso, non gli arcobaleni e le rivoluzioni civili) ha prodotto sfaceli politici, ma ne ha generati anche di psicologici a partire da l’altro ieri. Si arriverà ad una polarizzazione de facto che il bipolarismo aveva solo sognato e che ora si sta concretizzando senza che si sia mosso un dito: un duopolio “destre”-Pd perché “non c’è di meglio”. Ma c’è anche un altro punto da toccare. Il vero che fare: la prassi. Si deve arrivare ad una consapevolezza nuova, tra i poveri resti dell’extraparlamentarismo a sinistra, di modo che solo costruendo un cambiamento a partire da noi stessi, ritrovando le motivazioni che ci hanno spinto tempo fa alla militanza e all’azione, di fronte all’inanità generale, si riesca a generare una coscienza rinnovata. Una consapevolezza che ritrovi l’azione a partire dalla fontanella del quartiere e che arrivi a dare una prospettiva di lungo periodo: non sto parlando di grandi cose o discorsi astrusi, ma piuttosto di un necessario radicamento territoriale che deve avere la precedenza su qualsiasi altra azione. 
Credo, ma è una mia opinione da quattro soldi, che solo così potremmo davvero uscirne. 
Semmai ci riusciremo.
P.s. (almeno una gioia: l’immagine sottostante parla da sé: ciao +Europa, non ci mancherai)

Bentornato 2009!

© AP Photo / Evgeniy Maloletka

Siamo al 13 aprile 2009, ad un anno dalla vincita elettorale alle politiche di Berlusconi con il Popolo della Libertà in alleanza con la Lega Nord (8,30%) e il Movimento per le Autonomie (1,13%). Il Partito Democratico si dà sui denti l’allora declamata vocazione maggioritaria, Antonio Di Pietro e la sua Italia dei Valori entrano in Parlamento (sbancando, letteralmente, alle elezioni europee del giugno 2009 ottenendo l’8%) e la lista unitaria “La Sinistra – L’Arcobaleno” (Prc, Pdci, Verdi, Sinistra Democratica) resta fuori dalle istituzioni. Caustica la prima pagina del ‘Manifesto‘ il 14 aprile 2008: la foto raffigurava tutti i leader delle organizzazioni di sinistra all’indomani della creazione del cartello elettorale abbreviato comunemente come Sinistra-Arcobaleno. La scritta recitava: “Sinistra Extraparlamentare”.
Ma veniamo a noi. Oggi è il 15 aprile di dieci anni dopo. Ovvero, del 2019

La frase di quel tale che diceva che fosse meglio fare due passi indietro per farne uno avanti è stata certamente fraintesa da larga parte della sinistra italiana. Anzi, direi dalla totalità della sinistra italiana. 

Partiamo dalla fine: il simbolo presentato da Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Transform! e iscritte e iscritti individuali al Partito della Sinistra Europea (di cui il Prc è fondatore) è stato definito, depositato e con esso i soggetti sopracitati vi parteciperanno alle europee del 26 maggio. È questo qui *:

Semplice, semplice: un tondo diviso a metà, una metà un po’ obliqua nella cui parte superiore il semicerchio rosso contiene la scritta «la SINISTRA». Nella seconda  parte del simbolo, quella bianca, ci sono due strisce, una verde e l’altra viola, mentre in primo piano campeggiano i simboli del Partito della Sinistra Europea e quello del Gue/Ngl, il gruppo parlamentare a cui si iscriveranno gli eventuali eurodeputati eletti della lista. 

I più attenti avranno certamente fatto attenzione agli accostamenti cromatici, al font, alla bipartizione del logo: qualcosa di già visto.

Sinistra e libertà
È così: il simbolo è pressocché identico a quello presentato, a seguito dalla fuoriuscita di Nichi Vendola (do you remember?) dal Partito della Rifondazione Comunista all’indomani delle Elezioni europee del 2009. Quel simbolo racchiudeva Partito Socialista Italiano, fuoriusciti da Prc e Pdci, Sinistra Democratica e la Federazione dei Verdi, in più, il simbolo del Gue/Ngl. L’emblema del raggruppamento parlamentare fu inserito contro la volontà di Psi e Verdi: gli uni legati al Partito Socialista Europeo, gli altri allo European Greens i quali si mostrarono subito molto freddi alla lista unitaria. Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, allora disse che quella lista non sarebbe andata da nessuna parte in quanto, una volta a Strasburgo, gli eletti sarebbero andati in ordine sparso. Semel in decennio, aveva ragione. Il simbolo ebbe vita molto breve, questo è vero, ma la struttura è totalmente identica a quanto aveva proposto il cartello elettorale di Sel nel 2009, questo qui, il simbolo:

La seconda fase del simbolo, prima di quello che si è affermato nel corso della pur breve vita della formazione politica vendoliana, fu lo stesso senza le tre cosiddette pulci nella parte bianca del logo, sostituiti dalla parola ecologia, dal momento che la parte ecologista dei Verdi favorevole al progetto fu ‘maggioritaria’ rispetto a quella del Psi.
La tessera di Sel nel 2010 doveva essere questa: l’immagine è stato possibile ritrovarla grazie a Web Archive:

Un’altra testimonianza della fase di interregno di Sel subito dopo le elezioni europee e subito dopo essere entrati nell’anno 2010 ce l’ha lasciata il blog Sinistra e Libertà Statte in cui campeggia ancora il manifesto per la costituente di Sel, con il simbolo ‘Sinistra e libertà ecologia‘:


Partito socialista e Federazione dei Verdi, come andò a finire [in breve]

Il Psi aveva dichiarato che avrebbe aderito al Pse qualora fosse stato in grado di eleggere deputati a Strasburgo, nonostante il logo del Gue nel simbolo di Sel. L’allora segretario Riccardo Nencini affermò più volte come l’alleanza con il Partito Democratico sarebbe stata necessaria nell’ambito di elezioni locali. Le contraddizioni del Psi (che allora aveva tolto la i dal simbolo, a seguito della segreteria Boselli, ma questa è un’altra storia) non erano le sole a confondere le acque di quel campo politico: a ridosso delle europee del giugno 2009 Marco Di Lello disse parlando di Sel: «non saremo un partito ma nemmeno un semplice cartello elettorale». Curioso perché nel dicembre 2009 il Psi decise di uscire da Sel a seguito della decisione del proprio Consiglio Nazionale perché «nel caso SL [Sel] divenisse un partito che ambisca ad assumere unilateralmente nome e simbolo di Sinistra e Libertà che, al contrario, era e resta patrimonio unitario [in tal caso] sarebbe rottura irreversibile». E il patatrac avvenne. Così come, d’altra parte, la Federazione dei Verdi la cui dirigenza non s’è mai distaccata dall’alleanza con il Partito Democratico (cfr elezioni del 4 marzo 2018): la vittoria di Bonelli al congresso sancì il rilancio del progetto in autonomia da Sel.
Pezzi del Psi, dei Verdi decisero di rimanere in Sel e diedero vita al progetto che si concluse a seguito delle elezioni del 2013: nonostante l’elezione di un manipolo di deputati e senatori la cosa non andò più avanti. Una riprova, se ce ne dovesse essere ancora bisogno, di quanto sia controproducente l’elezione di deputati e senatori quando il progetto è legato solamente alla contingenza elettorale e non abbia una sua struttura. O, se vogliamo metterla sull’anatomico, delle gambe su cui poggiarsi e camminare.

Troppo bello ‘sto 2009
O muthos delòi oti (La storia racconta che) da un impasse enorme non se ne esce con l’elettoralismo e, invece, puntualmente i probiviri della sinistra italiana riescono sempre a stupire, portando con sé in dote l’evidente disattenzione al presente e a ciò che li circonda. La proposizione della lista La Sinistra replicherebbe quello che si poteva immaginare di Sel nel 2009: una volta eletti, gli europarlamentari sceglierebbero il gruppo che sarà più consono a questo o quel gruppo di potere/corrente di cui sono espressione. Al netto delle dichiarazioni rilasciate alla stampa: dubito fortemente sul fatto che gli europarlamentari di Sinistra Italiana aderiscano al gruppo del Gue/Ngl.
Il tutto sembra destinato a evaporare all’indomani del 26 maggio, con dichiarazioni incrociate rancorose e del tipo se avessimo fatto x non sarebbe successo y, dove le incognite sono le più disparate motivazioni situazioniste.
Apprendere dai propri errori per perfezionarsi e auto-migliorarsi, o in questo caso, per poter esistere nuovamente è un concetto del tutto estraneo alle formazioni che hanno dato vita a la Sinistra.

Dimenticavo: il cartello elettorale subirà le stesse sorti di Sel nel 2009.
Sono pronto a scommetterci.

* Tralascio volutamente la farsa delle votazioni online piene di bug scimmiottando (male) Partito Pirata e Potere al popolo, da cui il Prc fuoriscì qualche mese prima, per dignità (umana) nutro nei confronti di entrambi. Se ci si dovesse soffermare sulla farsa delle votazioni per il simbolo sarebbe davvero troppo umiliante tanto per il soggetto quanto per l’oggetto.

Male minore contro male peggiore: ricetta sempreverde per annullare politica, dibattito, contenuti

Il 25 febbraio 2019 il quotidiano «La Repubblica» riporta un articolo di Giovanna Vitale in cui la giornalista analizza e riporta le voci del dibattito interno del Partito Democratico, il giorno successivo dell’iniziativa di uno dei candidati alla segreteria. Si tratta dell’iniziativa messa in atto da Nicola Zingaretti per mezzo del contenitore creato ad hoc per la campagna: Piazza Grande. 
I sostenitori del ‘modello Zingaretti’, per quel che riguarda la gestione di un’istituzione politica regionale, sono tutti riuniti e coordinati dal Vice Presidente della Regione Lazio, ora anche coordinatore di “Piazza Grande”. Lo stesso che auspica una candidatura di Nicola Pisapia in Circoscrizione nord-ovest nelle liste del Pd e che ha rivolto un appello, probabilmente a margine del suo intervento una volta intervistato dalla giornalista, alla ‘sinistra del Pd’. «C’è bisogno di allargare e rinnovare la sinistra – riporta l’articolo, citando il Vice Presidente della Regione Lazio – altrimenti accettiamo la deriva salviniana. Faccio una proposta a chi è a sinistra del Pd: state dentro. Come fanno Sanders e Ocasio-Cortez nei democratici americani […]. Vorrei gente come Ilaria Cucchi, Massimo Cacciari e Mimmo Lucano»
La formula si reitera anno dopo anno, stagione dopo stagione, elezione dopo elezione, vittoria alle primarie dopo vittoria alle primarie: il paragone con i Democratici americani regge fintanto che la platea plaude alle parole del coordinatore di Piazza Grande, ammaliata dalla redenzione di un componente di quella cosiddetta ‘sinistra radicale’ additata dalle formazioni di centrosinistra – nel corso degli anni – come grimaldello di Berlusconi per far vincere Forza Italia, disperdere i voti e indebolire il centrosinistra. Il germe del berlusconismo è tutt’altro che proveniente da ‘Silvio’: si era già ben acclimatato tra gli scranni parlamentari del Pds/Ds/Margherita/Ulivo. Pretestuosità al potere, arrivata all’apice del tutti dentro per poter contrastare Matteo Salvini, il male più grande, disceso da quello precedente (Silvio Berlusconi). 
Perché per battere un male più grande c’è sempre necessità di mandare giù l’amaro calice di un qualcosa che evidentemente non berremmo neanche sotto tortura. Lo scriveva già Torquato Tasso nella ‘Gerusalemme Liberata’: per far bere una medicina, ovviamente amara, ad un bambino l’orlo del bicchiere viene zuccherato per far sì che possa comunque mandar giù («Cosí a l’egro fanciul porgiamo aspersi/di soavi licor gli orli del vaso:/succhi amari ingannato intanto ei beve,/e da l’inganno suo vita riceve»). Per destrutturare la questione basterebbe, tuttavia, citare Antonio Gramsci: «[…] Il concetto di «male minore» o di «meno peggio» è uno dei più relativi. 
Un male è sempre minore di un altro susseguente possibile maggiore. 
Ogni male diventa minore in confronto di un altro che si prospetta maggiore e così all’infinito. 
La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente efficiente guida lo svolgimento, mentre le forze antagonistiche (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo (ciò che avrebbe ben altro significato, per l’effetto psicologico condensato, e potrebbe far nascere una forza concorrente attiva a quella che passivamente si adatta alla «fatalità», o rafforzarla se già esiste). Poiché è giusto il principio metodico che i paesi più avanzati (nel movimento progressivo o regressivo) sono l’immagine anticipata degli altri paesi dove lo stesso svolgimento è agli inizi, la comparazione è corretta in questo campo, per ciò che può servire (servirà però sempre dal punto di vista educativo)». Di mero citazionismo non si vive e le questioni, specie se si tratta del pensiero di Antonio Gramsci, andrebbero studiate a fondo, più che prese e citate a sproposito. Quest’ultimo diventato uno sport nazionale per giustificare posizioni sbagliate nell’agone politico. Il gioco del ‘meno peggio’ è stato avallato dalle formazioni in precedenza alleate col centro sinistra (Prc/Pdci, Sel e via dicendo) ma quel che si stava ingoiando non era la medicina di cui parlava il Tasso ma il veleno che ha reso impotenti e inconsistenti le organizzazioni in cui, un tempo, abbiamo militato e in cui abbiamo sperato. 
Quest’agire politico ha portato tutt’altro che radicamento territoriale o rafforzamento dei partiti prima citati: il processo è stato del tutto inverso. L’indebolimento e la sparizione di queste organizzazioni, la cui quasi totalità di rappresentanti istituzionali o dirigenti ha finito per entrare nel Pd (citofonare Gennaro Migliore), s’è dimostrata applicazione manualistica del principio gramsciano del male minore o del meno peggio.