Il calcio che vi piace è tutto finto

Fonte foto ‘La Stampa’
In realtà il titolo è un po’ sensazionalistico, ma tant’è. La notizia di oggi è semplice e diretta, come riporta brevemente ‘La Stampa’ di Torino: «La sconfitta della Juventus contro l’Ajax in Champions League travolge i bianconeri in Borsa. Nelle prime battute di contrattazione le azioni della società bianconera hanno fatto segnare un calo del 25%, bruciando 500 milioni di euro di capitalizzazione, scendendo da 1,7 miliardi a 1,2. Dopo essere stato sospeso dalla seduta, il titolo è rientrato nelle contrattazioni cedendo oltre il 20%».
Le società sportive sono quotate in borsa al pari di una multinazionale che costruisce automobili o che produce abiti per la grande distribuzione, magari sfruttando lavoratrici e lavoratori in Bangladesh.
Quando si sentono presidenti di Roma, Juventus, Inter e chi più ne ha più ne metta parlare riguardo i valori dello sport, sta mentendo ovviamente su tutta la linea: il solo valore a cui tendono le società professionistiche è il capitale. 
Quotare le società calcistiche sul mercato stravolge il significato stesso dello sport e di come si intenderebbe comunemente, in questo caso, il calcio: gli spettatori non sono più tali ma clienti o consumatori di un prodotto che va in diretta per 90 minuti più recupero. O, ancora peggio, come un risparmiatore che investe (male) i propri soldi spendendone davvero tantissimi per andare a vedere anche una sola partita. 
Il concetto stesso di tifoserie e ultras viene del tutto svuotato con l’impostazione da Spa delle squadre che popolano il calcio professionistico: la comunità di tifosi che organizza striscioni, bandiere, porta tamburi in curva per incitare gli undici ragazzoni nel rettangolo, in realtà, è più un vago ricordo romantico. La realtà è che le tifoserie reggono il gioco, anche accalorandosi, ad un sistema che, davvero, è marcio dalla testa ai piedi. 
La soluzione è una e unica: il calcio popolare, inteso come movimento di una comunità, nel senso letterale del termine. Quanto portato avanti da (cito solo pochi esempi) Centro Storico Lebowski a Firenze, dall’Atletico San Lorenzo e dalla Borgata Gordiani a Roma, dall’Ideale a Bari è la strada giusta da intraprendere. 
Un cammino certamente difficile e irsuto d’ostacoli ma non per questo aprioristicamente errato, anzi. 
Una via che rimette in moto comunità cittadine, sociali e crea movimento dove prima c’era immobilismo, passività, rassegnazione a guardare il calcio dei milioni
Non proprio una vita da mediano ma anzi una vita da palla lunga e pedalare su campi di terra e sabbia di fiume.