Stati uniti d’Europa: “matrioska” radicale, libdem e centrista

L’ossessione elettorale radicale per gli Stati Uniti d’Europa.

Nonostante le dichiarazioni incrociate, la lista “Stati Uniti d’Europa” pare ci sia. Senza Carlo Calenda (Azione) ma con Matteo Renzi (Italia Viva), Enzo Maraio (segretario del Partito socialista italiano), Volt (ma ancora non è detta l’ultima parola) e Andrea Marcucci (presidente di LibDem).
«Il nostro progetto è attrattivo», ha dichiarato Matteo Renzi nella giornata di ieri [4 aprile 2024], «Per ogni parlamentare europeo che prendiamo noi, un posto in meno per i candidati Meloni, Salvini, Conte, Schlein». Sul pronome noi c’è da intendersi: probabilmente il segretario di Italia Viva ignora (consapevolmente) il fatto che gli eventuali deputati eletti dalla lista siederanno senza una direzione unitaria e le direzioni in cui si muoverebbero sono già molteplici. Così come lo ignorerebbe anche Emma Bonino: «Ho lanciato la lista per gli Stati uniti d’Europa – ha dichiarato a «SkyTg24» il 3 aprile [2024] perché tenga insieme tutti i gruppi liberali europeisti, federalisti anche per condizionare le prossime scelte del parlamento e delle istituzioni europee». Bonino ha poi concluso: «Calenda ha scelto di tirarsi fuori per motivi che non so e che non mi interessano. Mi pare un grande errore».

A ciascuno il suo (seggio)
Al momento, dato Volt deciderà di partecipare o meno alla lista soltanto sabato 6 aprile, gli eventuali europarlamentari che dovessero risultare eletti a Bruxelles/Strasburgo andrebbero in gruppi diversi e spesso non alleati tra loro, come già accennato.
Il Partito socialista italiano
è fondatore e membro del Partito socialista europeo (Pse/S&D), ovvero il gruppo in cui è presente anche il Partito democratico, organizzazione ormai non amica di Matteo Renzi (e di altri esponenti della lista di scopo).
Italia Viva e la parte radicale di +Europa andrebbero a sedersi tra i banchi di Renew Europe ma Radicali Italiani ha il suo riferimento nell’Alde Party mentre Italia Viva al momento ha un solo eletto (Nicola Danti) vicepresidente del gruppo ma in quota Pde (Partito democratico europeo [1], l’organizzazione nata nel 2004 dalla cooperazione e azione congiunta di Francesco Rutelli e François Bayrou).
Della medesima collocazione di Danti-IV c’è la componente L’italia c’è (autodefinitasi “lista civica nazionale”) ex Italia in comune: la corrente di Pizzarotti aveva anche esplicitato la propria collocazione alla scorsa tornata elettorale europea nel simbolo comune di +Europa.
L’organizzazione di Marcucci (LibDem), infine, ha anch’essa come riferimento l’Alde party, ma tra i fondatori del progetto liberal democratico c’è anche Sandro Gozi, rappresentante del Pde ed eletto in Francia nel 2019 nella lista Renaissance.

Partiti contenitori
Uno schieramento, quello della lista Stati uniti d’Europa, che assomiglia sempre di più alla disposizione in campo della Longobarda allenata da Oronzo Canà (integerrimo sostenitore, nonché inventore, del 5-5-5). Ma la «confusione generale», pure citata da Canà ai giocatori al momento dell’illustrazione del modulo, si potrebbe spiegare andando a chiarire un equivoco di fondo: Emma Bonino, Riccardo Magi, Federico Pizzarotti, Benedetto della Vedova e altri esponenti di primo piano di +Europa non fanno parte di un unico partito quanto, piuttosto, di un progetto comune che unisce realtà ex montiane (della Vedova venne eletto con Scelta Civica e ne fu uno dei maggiori sostenitori), ex grilline (Pizzarotti), liberali e radicali. Stati uniti d’Europa verrebbe ad essere il risultato di un accordo tra organizzazioni a loro volta contenitori di altre realtà più o meno rappresentate a livello nazionale e regionale.
Una matrioska liberal-radicale. Un brodo primordiale che fa invidia solo alla galassia della sinistra radicale, socialista e comunista.
Tanto più che i radicali, a partire dal 2015, sono letteralmente esplosi in varie correnti spesso non alleate tra loro (allora le due macro categorie di collocazione erano Radicali italiani e il Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito – Prntt). Il nome stesso della lista è un riferimento ideale oggetto di contese tra le due porzioni più rilevanti del mondo radicale.

«Fantasia e rigore»
Il 24 marzo 1987 il Partito Radicale aveva indetto un convegno a Roma intitolato “Stati uniti d’Europa subito” in cui Marco Pannella dichiarò che l’allora Comunità economica europea avrebbe dovuto avere «un pizzico di follia». Il «Corriere della Sera», nella breve dedicata all’assemblea radicale, aveva raccolto la dichiarazione del fondatore del Pr: «la gente vuole l’Europa subito e occorre rigore e intransigenza per ottenere l’obiettivo». Una volta entrati nel nuovo millennio, fu la volta della rivista «Quaderni radicali» (diretta da Giuseppe Geppi Rippa) a promuovere un numero monografico sul tema, eccezionalmente diffuso in edicola insieme al quotidiano «Il Riformista» (l’allora direttore era Antonio Polito, che si smarcò subito sostenendo che le opinioni espresse dalla rivista non erano le medesime del quotidiano). «Fantasia e rigore sono sinonimi», disse allora Pannella.
La campagna pro Stati uniti europei divampò nelle proposte radicali attraverso la presentazione elettorale di simboli il cui bordo rappresentava la bandiera dei paesi aderenti all’ex Cee. Nel 2009, quando un gruppo di radicali venne eletto nelle fila del Pd alle politiche, i dirigenti della lista “Bonino-Pannella” fecero campagna elettorale con la Stella di David sul bavero della giacca e alle spalle lo slogan “Stati uniti d’Europa subito!“. Gli stessi sentimenti animarono il congresso del 2016 del Pnrtt (tenutosi al carcere di Rebibbia) e anche la querelle che nel 2018 e 2019 divampò a seguito dell’iniziativa degli allora vertici della Lista Pannella, del Prntt e del Psi per l’ipotesi di strutturazione del progetto di lista comune “Stati uniti d’Europa“. In quella fase l’ex tesoriere di Radicali italiani Valerio Federico aveva dichiarato che il progetto della lista era stato evocato «allo scopo di danneggiare Radicali italiani e la lista +Europa». La storia di quella lista fu tormentata (corsi e ricorsi storici?) e qui non la rievocheremo interamente: Maurizio Turco depositò il simbolo al Viminale – come raccontava in quei giorni il docente Gabriele Maestri – ma la cosa non ebbe seguito. Anche se, stando alle rivelazioni del prof. Maestri, la questione non fu indolore:

«[…] quello tra Psi e Lista Marco Pannella non era un semplice rapporto ma un vero e proprio accordo formalizzato in un atto costitutivo di una vera associazione, denominata Stati Uniti d’Europa, volta a “presentare un proprio simbolo e liste di candidati in ogni tipo di elezioni a partire dalle prime elezioni che si terranno dopo la sua costituzione”: l’atto, molto simile nel contenuto a quello che costituì nel 2006 l’associazione La Rosa nel Pugno, è stato rogato da un notaio il 24 ottobre 2018 e lo hanno sottoscritto, oltre a due figure legate alla Lista Pannella, il segretario e il tesoriere del Psi in carica fino al congresso. “Il Partito socialista italiano – ha dichiarato il presidente della Lista Pannella, Maurizio Turco – ha stracciato l’accordo politico (notarile) con la Lista Marco Pannella per la presentazione della lista Stati Uniti d’Europa, accordo che aveva raccolto il 75% dei favori degli iscritti al Psi».

Il battage ideologico continua, la lista verrà presentata ma non dalla medesima parte radicale che ne aveva strutturato l’associazione. E chissà che il simbolo, pur provvisorio, non venga contestato dalla parte del Prntt.

Pubblicato su Atlante Editoriale

Cosa resta della memoria de «L’Unità»?

«Saremo un giornale socialista, garantista e cristiano. Che cercherà di tenere insieme Gramsci, Rosa Parks, Roncalli, Mandela e Pannella. Dateci una mano».

Al netto delle contraddizioni ideologiche esposte, si chiude così l’editoriale firmato dal nuovo direttore de «L’Unità», Piero Sansonetti. La banda rossa sotto la testata ricorda la direzione dell’era Veltroni ma la sostanza è tutt’altra: la proprietà è cambiata ancora e la vicenda assomiglia moltissimo a quel che Gadda nel “Pasticciaccio brutto de via Merulana” classificava come uno “gnommero” in cui le “inopinate catastrofi” non sono mai “la conseguenza o l’effetto d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti”.

Queste causali convergenti, che vanno a formare poi lo gnommero, sono tutte rintracciabili dal giorno in cui l’organo di informazione del Partito democratico cessò di essere reperibile in edicola. Siamo al 30 maggio 2017 e il sito unita.tv, ultimo dominio de «L’Unità», continua la propria vita editoriale solo online. Il dominio venne registrato a seguito della crisi del 2015, a suo tempo acquistato da Unità Srl definendo le linee della pubblicazione digitale della cosiddetta “nuova unità”. Cioè del giornale a trazione renziana. Nessuna delle “due Unità”, come avrebbe detto Pietro Spataro, già giornalista del quotidiano, aveva conservato la propria storia, dal momento che gli archivi (cartaceo e digitale) hanno avuto una vita parallela rispetto alle vicende pubblicistiche e di acquisizioni di proprietà nel corso degli anni. Una storia piuttosto travagliata che è durata fino a martedì 16 maggio 2023.

Riformista e Unità
Ad oggi la proprietà della testata è di Romeo Editore srl, di cui è proprietaria anche la testata «Il Riformista». Sansonetti, prima di prendere in mano la direzione de «L’Unità», ha ceduto il passo a Matteo Renzi (Senatore di Italia Viva, già segretario del Partito Democratico, già Presidente del Consiglio dei Ministri). Certo, Renzi non è giornalista ma un posto viene ritagliato ad hoc: è direttore editoriale mentre il direttore responabile è Andrea Ruggieri, giornalista professionista, deputato della Repubblica della diciottesima Legislatura in quota Forza Italia, nonché – giornalisticamente parlando – nipote di Bruno Vespa. Non solo Matteo Renzi non ha mai lasciato la politica1 come affermava tronfiamente prima della consultazione referendaria che lo ha visto sconfitto, ma ha addirittura raddoppiato. Anzi, ha anche ricevuto fin da subito il placet dell’ex fondatore Claudio Velardi: 

«Geniale l’idea di fare Matteo Renzi direttore de Il Riformista, quotidiano che fondai nel 2002. Il politico più intelligente e dinamico d’Italia, al momento senza un ruolo, avrà una tribuna quotidiana per dire la sua e incidere nel dibattito pubblico. Ci sarà da divertirsi!»2.

Prima di oggi
A maggio dello scorso anno l’ormai ex comitato di redazione del quotidiano rese note le proprie posizioni attraverso un comunicato stampa, preannunciando la tempesta: 

«[…] Dal 1° gennaio 2022 [siamo] senza più alcuna protezione sociale. Un’azienda che mostra di esistere una volta all’anno per pubblicare un foglio che le permette di non far decadere la testata. […] Dal 1° gennaio non siamo più in Cassa integrazione né in disoccupazione. Formalmente, dal primo gennaio di quest’anno siamo rientrati alle dipendenze de l’Unità srl , la società che edita un non giornale […] A fronte delle innumerevoli richieste d’incontri, chiarimenti, da parte delle rappresentanze sindacali la società editrice ha innalzato un impenetrabile muro di gomma. Una vicenda che da tempo ha ormai travalicato la red line della vergogna, si è “arricchita” di un’altra pagina-farsa: la pubblicazione di un numero unico, un foglio di quattro pagine, anche con contributi giornalistici esterni. E questo all’insaputa del comitato di redazione, pur avendo in organico, non pagati, giornalisti e poligrafici. E tutto questo mentre si trascina all’infinito una procedura di concordato che permette all’azienda di guadagnare tempo sulla pelle dei lavoratori. Hanno ucciso l’Unità, mortificato i lavoratori, lasciato cadere manifestazioni d’interesse per l’acquisto della testata. Una vergogna assoluta»3

Nel luglio dello scorso anno fallisce 

«definitivamente la società editrice del quotidiano, quella dei costruttori Pessina chiamati da Renzi quando era segretario del Pd»4.

Di seguito le prime pagine dei numeri annuali de «l’Unità»

Edizione del 2018

 

La prima del numero annuale del 2019, quello diretto da Maurizio Belpietro.

Edizione del 2020

Un numero per la vita
Un numero l’anno per continuare a vivere. Secondo la legge italiana, infatti, una testata giornalistica smette di esistere se non viene pubblicata almeno una volta l’anno. E così la proprietà de «L’Unità» ha fatto per quattro anni, dal momento della chiusura di unita.tv e della produzione digitale connessa. Fece scalpore il numero del 2019: la pubblicazione annuale venne diffusa sotto la guida di Maurizio Belpietro direttore5.

La proprietà di allora, nell’anno antecedente alle pubblicazioni annuali, era controllata al 90% dall’imprenditore edile Massimo Pessina e al 10% da Eyu6, cioè la società del Partito democratico.

Come riportò il quotidiano «Sardinia Post», attento a questa vicenda dal momento che la storia del quotidiano fondato da Antonio Gramsci ha riguardato anche Renato Soru per parte della sua vita pubblicistica7, l’affare Pessina-Romeo era una

«roba da 910mila euro […] Con L’Unità, attualmente sono a libro paga venti giornalisti e cinque poligrafici, però mai licenziati e quindi dal 1 gennaio 2022 si ritrovano fuori dagli ammortizzatori sociali ma anche senza stipendio. Toccherà al nuovo editore dire quanti ne vorrà salvare»8.

Transumanze editoriali
Stando al comunicato del comitato di redazione della ormai ex Unità e della Federazione nazionale della stampa italiana nessuno è stato salvato:

«È la prima volta che un’intera redazione, quella de «Il Riformista» scriverà le pagine della nuova «L’Unità» mentre si darà vita a una nuova redazione che sarà diretta da Matteo Renzi».

Una transumanza editoriale abbastanza evidente dato che le firme del nuovo quotidiano diretto da Piero Sansonetti sono le medesime di quando dirigeva «Il Riformista», ad eccezione di Claudia Fusani che – al momento – parrebbe essere ancora parte del quotidiano arancione, sebbene fosse in forza all’«Unità» quando era direttrice Concita de Gregorio. Prendendosi anche le male parole dell’allora Presidente del Consiglio Berlusconi9.

«All’editore Alfredo Romeo – conclude il comunicato dell’ex cdr e della Fnsi – e al direttore Piero Sansonetti ricordiamo con forza che la vicenda dell’Unità coincide con la storia di 17 giornalisti e 4 poligrafici licenziati dopo il fallimento. Il tema occupazionale e professionale resta intatto».

C’è, tuttavia, anche un’altra questione che è propria di questa vicenda: la storia de «L’Unità», cioè il suo archivio. Per qualche tempo, attorno alla chiusura del 2017 (e del 2018 poi) se n’è parlato e qualcuno portò la questione in Parlamento, ma poi tutto tacque e nessuno concretizzò nulla, effettivamente.

Memoria digitale, memoria cartacea: memoria corta

Il 1 Gennaio 2017 vengono spenti i motori del server su cui era ospitato l’archivio digitale de «L’Unità» (unita.it, archivio.unita.it e relativi sottodomìni) la perdita ha portato con sé numerose complicazioni riguardo la reperibilità del materiale prodotto solamente per la versione digitale del quotidiano. L’archivio cartaceo, almeno fino al 2017, era gestito dalla proprietà del quotidiano (Pessina), lo avrebbe trattato con riguardo e avrebbe prospettato lavori di «valorizzazione e indicizzazione» trovandosi in un hub a Lentate sul Seveso in provincia di Monza10. Nulla pare sia stato poi messo in atto.

L’archivio digitale, invece, ha una storia a sé, controllato, come detto, dalla proprietà che aveva ridato vita al quotidiano che aveva come dominio unita.tv.

Ad ogni modo, una volta spenti i server un gruppo di hacker, per l’occasione rinominati dalla rete data ninja, si attivò dopo aver appreso dello spegnimento delle macchine mettendo in atto un parziale salvataggio del tutto rendendolo disponibile nel cosiddetto deep web, dunque consultabile solo accedendo tramite TorBrowser.

In realtà si trattava di esperti e tecnici che da anni lavoravano nel settore ITC11 e identificarli con l’appellativo “data ninja” evidentemente non rende loro giustizia:

«quando il sito originale dell’archivio de “l’Unità” è stato “spento” è stato fatto in modo incompleto: le macchine non sono state spente né rese irraggiungibili, è semplicemente stato rimosso il *nome* archivio.unita.it dal registro dei nomi (DNS). Ricordandosi l’indirizzo IP era dunque possibile, nei giorni immediatamente successivi all’annuncio e per un certo periodo di tempo in seguito, collegarsi al sito».

Una volta appresa che la scelta della proprietà era definitiva: «abbiamo deciso di salvare il salvabile». Ovvero:

«nello spazio di alcuni giorni abbiamo messo su un sistema di crawling ed archiviazione, puntandolo ai server ancora accesi, ed abbiamo così acquisito la maggior parte dell’archivio […] Purtroppo in questa fase d’urgenza abbiamo “mancato” parti importanti dell’archivio originale, che infatti ora non sono più disponibili, quali ad esempio le edizioni locali, ed i numeri del quotidiano tra il 1929 ed il 1946, e questa è stata una svista che rimpiangiamo amaramente».

Poco dopo i server sono stati spenti davvero e in maniera definitiva. Tutto quello che non è stato recuperato è andato perduto.

Ma ora?
Grazie all’operazione messa in atto e grazie al fatto che l’archivio storico venne salvato parzialmente, venne anche registrato (sebbene non venne mai reso noto il nome del registrante) su un dominio pubblico tutto l’archivio digitale salvato dall’oblìo: archivio.unita.news. Il punto è che da lunedì 15 maggio 2023 a mezzanotte risulta inaccessibile. Sarebbe ovvio supporre che, a seguito di quanto realizzato dai data ninja, la nuova produzione non avrebbe acconsentito ulteriori diffusioni di quel materiale.

Sorgono dunque delle domande che indirizziamo al Direttore Piero Sansonetti, nonché alla nuova proprietà del quotidiano. Ci permettiamo di formularle e ci auguriamo che il Direttore voglia rispondere.

1) Che fine ha fatto l’archivio storico de L’Unità?

2) L’editore, oltre alla testata, ne ha rilevato anche l’archivio?

3) Che ne è dei progetti riguardo l’archivio del quotidiano della precedente gestione?

4) Tornerà ad essere online l’archivio digitalizzato e che fino a poco fa era reperibile all’indirizzo archivio.unita.news? La chiusura è direttamente connessa al ritorno in edicola del quotidiano per questioni legali?

5) Cosa risponde ai giornalisti della redazione de L’Unità che hanno criticato il ritorno in edicola senza la loro presenza?

[L’articolo è stato pubblicato da Atlante Editoriale https://www.atlanteditoriale.com/it/macrotracce/it-cosa-resta-della-memoria-de-lunita/, come al solito. Tuttavia, per chi volesse approfondire il tema, può leggere qui:

https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2019/03/l-della-memoria-digitale.html;

https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2019/07/la-memoria-perduta-dei-giornali.html;

e qui https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2019/06/in-memoria-di-tre-quotidiani-di-partito.html magari andandosi a comprare pure il numero 59/2019 di Culture del testo e del documento]

Note

1

«Se perdo il referendum sulle riforme costituzionali smetto di far politica […] Insisto su questa questione non perché voglio trasformare il referendum in plebiscito, come ha detto qualcuno. Ma perché intendo assumermi precise responsabilità».

Monica Rubino, Renzi sulle riforme costituzionali: “Se perdo il referendum, lascio la politica”, «La Repubblica», 12 gennaio 2016.

2Redazione, Matteo Renzi è il nuovo direttore del Riformista, la presentazione, 5 aprile 2023, «il Riformista».

3Redazione, L’Unità, la lettera del comitato di redazione: “Siamo ostaggi in un girone infernale”. Il giornale esce una volta l’anno da 4 anni, «Il fatto quotidiano», 10 maggio 2022.

4Andrea Fabozzi, Romeo compra la testata dell’Unità e Sansonetti annuncia: in edicola a gennaio, «il manifesto», 24 novembre 2022.

5Monica Rubino, L’Unità torna in edicola per un giorno firmata da Maurizio Belpietro: “L’editore me l’ha chiesto e mi sembrava giusto”, «La Repubblica» 24 maggio 2019. 

«Ieri sera [verosimilmente 23 maggio 2019] l’editore Pessina mi ha chiamato chiedendomi semplicemente se potevo firmare il numero e io ho accettato. In tempo di crisi di giornali mi è sembrato giusto salvare una testata, che altrimenti rischia di sparire. Di certo non ho nessuna intenzione di fare il direttore dell’Unità, testata di cui peraltro non condivido molte delle cose che vengono pubblicate».

6L’acronimo sta per Europa-Youdem-Unità.

7L’archivio cartaceo venne digitalizzato nei primi anni 2000 quando il proprietario era l’ex presidente della Regione Autonoma della Sardegna.

8(al.car.), L’editore del Riformista pronto a salvare L’Unità dal fallimento, operazione da 910mila euro, «Sardinia Post», 19 novembre 2022.

9https://stamparomana.it/2009/05/19/liberta-di-stampa-dopo-la-sentenza-mills-berlusconi-allaquila-attacca-giudici-e-cronisti-natale-fnsi-chieda-scusa-ai-giornalisti/amp/ e anche https://www.youtube.com/watch?v=KMCigfbndZI.

10Dichiarazione resa da Enrico Olivieri della Pessina Costruzioni, contattato nell’ottobre 2017. Quanto riferito è stato pubblicato nel saggio “In memoria di tre quotidiani di partito: «L’Unità», «La Voce repubblicana», «Liberazione», ovvero: tre casi di studio su una esperienza (fallita) di conservazione digitale” per Culture del testo e del documento, 59/2019, Vecchiarelli Editore, <https://www.vecchiarellieditore.it/shop/culture-del-testo-e-del-documento-59-2019-n-s-23/>.

11Informazioni e dichiarazioni tratte ancora dal saggio di cui alla nota 10.

Ingloriose parabole: ‘il Riformista’ cede la direzione a Matteo Renzi (che non è neanche giornalista)

Nella giornata del 5 aprile [2023] è stato annunciato il passaggio di consegne riguardo la direzione del quotidiano ‘il Riformista’
Il direttore Piero Sansonetti cede il passo (e il posto) a Matteo Renzi, senatore della Repubblica del gruppo Azione-ItaliaViva-RenewEurope, segretario di Italia Viva, conferenziere, già segretario del partito democratico. Direttore sebbene non sia giornalista, requisito fondamentale per essere a capo di una testata, logicamente e normativamente parlando. Rispondendo alle domande della conferenza stampa (in particolare a quella postagli da Daniela Preziosi del ‘Domani’), Renzi ha precisato [1] come non abbia firmato alcun contratto. Il passaggio sembra essere dovuto in quanto Sansonetti sarà alla guida de ‘l’Unità’, acquisita dal medesimo gruppo editoriale che cura la pubblicazione del ‘Riformista’ (Romeo Edizioni) e di prossima pubblicazione. 
Ma andiamo con ordine.

Ottobre 2002. Il governo Berlusconi II è in carica da poco più di un anno e vi rimarrà fino al 2005, quando – rassegnate le dimissioni a causa della sconfitta alle regionali cui seguirono gli “addii” di Alleanza nazionale, Udc e Nuovo Psi – l’ex Cavaliere del lavoro riceverà l’incarico dal Presidente della Repubblica per la formazione del Berlusconi III.

Al Governo c’è Gianfranco Fini in qualità di vice di Berlusconi; ci sono Umberto Bossi e Roberto Calderoli come ministri alle “Riforme istituzionali e alla devoluzione” (quando la Lega era ancora nord); all’istruzione c’è la Moratti, al lavoro Roberto Maroni e alle Politiche agricole e forestali c’è un rampante Gianni Alemanno.
Rifondazione comunista conta 11 deputati e 4 senatori, i Comunisti italiani (Pdci) ne contano 10 a Palazzo Chigi e 2 a Palazzo Madama; la Federazione dei Verdi 8 e 10 [2]. Si parlava di primarie del centrosinistra tra Democratici di Sinistra, Democrazia è Libertà (meglio noto come “La margherita”) e altri soggetti dell’area.

Come nacque
La notte tra il 22 e il 23 ottobre di quell’anno sarebbe andata in stampa la prima copia del quotidiano ‘Il Riformista’ diretto da Antonio Polito, ora editorialista del ‘Corriere della Sera’.

Il 6 ottobre 2022 ‘la Repubblica’ raccontava di una serata mondana nell’isola di Capri in cui si facevano proselitismi e pubbliche relazioni per il futuro quotidiano:

«Claudio Velardi, consigliere di Massimo D’ Alema quando il presidente dei Ds era premier, caprese d’ adozione, passeggiava ieri mattina tra gli industriali nei giardini del Grande Albergo Quisisana. Mentre tutti indossavano l’ abito grigio, Velardi vestiva «casual», con uno zucchetto azzurro sulla testa. “Sono qui – ha spiegato – per fare un po’ di pubblicità al Riformista”, ovvero il quotidiano (uscirà a fine ottobre, direttore Antonio Polito) voluto da Velardi che ha messo insieme un gruppo di imprenditori finanziatori» [3].

Il quotidiano traeva ispirazione dal ‘Foglio’ diretto da Giuliano Ferrara, per ammissione dei suoi stessi fondatori [4]: l’impostazione culturale era intelligibile già dalla denominazione della pubblicazione, cioè a metà tra un riformismo liberale e un liberalismo in senso stretto. La pubblicazione formalmente era legata al mensile ‘Le ragioni del socialismo’ di Emanuele Macaluso fino al 2006 (ma questo lo vedremo più avanti).

Neanche un mese e ‘il Riformista’ è già in festa: 

«Gran festa, ieri sera, a Palazzo Ferraioli (giusto di fronte Palazzo Chigi) con i proprietari e i redattori del quotidiano ‘il Riformista’, nato appena due mesi fa e diretto da Antonio Polito, che hanno voluto porgere gli auguri di Natale a politici e imprenditori, a personaggi del mondo dell’informazione e dello spettacolo. Le signore in bito lungo e un’orchestrina di strada in frac, mentre Gianfranco Vissani, cuoco preferito dall’ex premier Massimo D’Alema (atteso con ansia), annunciando squisite paste e fagioli, ordinava che fossero affettate mortadelle e porchette. Quando sono arrivati i colleghi del ‘Foglio’, il giornale che ha ispirato la fondazione del ‘Riformista’ [5], abbracci e brindisi»[6].

Tra le firme che popolavano l’iniziale avventura di quel quotidiano, oltre a Stefano Cappellini e Roberto Mania, figurava Lucia Annunziata. Col passare degli anni, vicedirettore fu anche Oscar Giannino e tra gli editorialisti comparirà “un certo” Pierre Moscovici [7].

La prima pagina del
primo numero del quotidiano.
Il link da cui è stata tratta è
di un utente che ha messo in
vendita la copia su eBay.

Giornale di nicchia, fu certamente di parte (come già detto) ma di una parte molto trasversale e difficilmente “incasellabile” nei settori del centrodestra berlusconiano o del centrosinistra ulivista. Pendeva, come il treno Roma-Ancona, una volta da un lato, una volta dall’altro, così tanto che Pasquale Laurito, direttore dell’agenzia ‘Velina rossa’, un giorno di novembre di quello stesso anno se la prese con il direttore Polito per delle accuse che il quotidiano da egli diretto aveva rivolto nei confronti di D’Alema [8] per mancato dialogo con la maggioranza di Governo riguardo la giustizia. «Qualche volta può essere anche antiberlusconiano» [9], scriveva Laurito a mo’ di invito nei confronti della direzione del quotidiano.

Polito rimane in carica fino al 2006, quando Giampaolo Angelucci acquista tutte le quote del fondatore Velardi (51% Velardi e 49% gruppo Tosinvest) rilevandone la proprietà. Poi un avvicendarsi di questioni che portano la testata ad essere diretta da Macaluso e a renderla organica all’associazione sopra citata. Nel 2008 Polito torna a dirigere il quotidiano, ma vi rimane poco in carica, giusto il tempo di coinvolgere Diego Bianchi (Zoro) per una rubrica: “La posta di Zoro”. Allora Bianchi era un blogger e cosmonauta di Youtube (memorabili alcune puntate di “Tolleranza Zoro”):

«Con la posta di Zoro, comincia da oggi [20 giugno 2008] la sua collaborazione con ‘il Riformista’ Diego Bianchi, uno dei più seguiti blogger italiani. Come è finito a scrivere sul ‘Riformista’, lo racconta nel suo primo articolo, oggi in prima pagina. “Una sera mi sono ritrovato in uno studio tv con Polito. Gli ho detto che, secondo me, la gente non capisce cosa significhi la parola ‘riformista’ e che forse anche per questo ‘Il Riformista’ vende poche copie. Dopo la trasmissione mi hanno offerto una rubrica”» [10]

È il 2011: il quotidiano vende sempre meno. L’anno successivo interrompe le pubblicazioni.

L’era Sansonetti

«Il presidente della Finanziaria Tosinvest, Giampaolo Angelucci, ha reso noto in un comunicato “l’avvenuta cessione della testata Il Riformista da parte della TMS edizioni S.r.l. (società controllata da Tosinvest). La famiglia Angelucci, nella proprietà della testata dal 2003, augura ai nuovi editori i migliori successi”. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera la testata, ideata nel 2002 da Claudio Velardi e chiusa nel 2012, è stata acquistata dall’imprenditore Alfredo Romeo, a dirigerla andrà Piero Sansonetti, il 20 luglio sarà online e da settembre in edicola» [11].

L’era Sansonetti del quotidiano, che fu diretto da Polito, può (ri)partire. Archiviata la stagione di ‘Liberazione’ (il fu organo di stampa di Rifondazione comunista) e le esperienze di: ‘L’altro’, ‘Gli altri’, ‘il Dubbio’, ‘l’Ora della Calabria’ e ‘Cronache del Garantista’, il nuovo direttore esordisce con una conferenza stampa in cui annuncia la presenza di grandi nomi che lo avrebbero coadiuvato nella vita della testata: Fausto Bertinotti e Roberto Brunetta. Nessuna meraviglia per l’accostamento che un tempo avrebbe potuto essere ossimorico: l’ex segretario di Rifondazione ora è di casa al Meeting di Rimini.

«Il Riformista guarda a un’area di centrosinistra e riformista, appunto, che non vuole essere dominata dalla paura, dall’astio verso gli altri, dalla vergogna della ricchezza» [12], sanciva Sansonetti nel corso della conferenza stampa di presentazione del quotidiano.

Dal ‘Corriere della Sera’ dell’ottobre 2019: 

«Martedì 29 ottobre torna in edicola (e online) il quotidiano il Riformista che negli anni ha fatto parlare di sé sotto le direzioni autorevoli di Antonio Polito, Paolo Franchi, Stefano Cingolani, Stefano Cappellini ed Emanuele Macaluso e che rinasce per iniziativa dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo» [13]. 

Rimane, ad ogni modo, il disegno dell’uomo col cannocchiale nella testata, simbolo del quotidiano.
L’attuale testata del quotidiano

«Indicativa la lista delle firme coinvolte: Tiziana Maiolo, Fabrizio Cicchitto, Stefano Ceccanti, Maria Elena Boschi, Luigi Marattin» [14], condirettrice Deborah Bergamini, parlamentare in quota Forza Italia.

Cose in grande
Un anno dopo il ritorno in edicola del foglio bicolore arancio-nero, viene realizzata un’edizione del lunedì totalmente dedicata all’economia il cui direttore è Renato Brunetta e nella direzione scientifica popolano nomi come Sabino Cassese, Pier Carlo Padoan, Giovanni Tria e Marco Bentivogli [15].

«Il primo numero avrà 12 pagine e affronterà il tema delle riforme. Di quelle che non vengono fatte e di quelle che vanno fatte. Del prezzo che hanno le mancate riforme. Delle condizioni politiche che servono per realizzarle. Ci saranno articoli di intellettuali, giuristi, politici, economisti di diverse opinioni politiche […] diretto da Renato Brunetta nel primo numero scrive una lettera aperta al premier Giuseppe Conte, al quale offre collaborazione e suggerisce di non “ballare da solo”» [16].

Presentazione del ‘Riformista’ del lunedì dedicato all’economia

Passa solo un mese e Brunetta lascia.

«Quando quattro mesi fa l’editore Romeo, che ringrazio, e i direttori Sansonetti e Bergamini mi hanno chiamato per propormi questa sfida, ho detto subito di sì. Ci abbiamo lavorato tutti insieme e abbiamo messo in piedi un piccolo gioiello. Finora sono usciti quattro numeri, che sono costati tanta fatica, e tanta intelligenza. Ho scoperto, però, che questo tipo di attività, già dal mese di giugno per preparare i numeri zero, ha assorbito tutto il mio tempo disponibile, togliendomene anche all’attività politico-parlamentare. Questo non è giusto. Io ho un impegno con i miei elettori, che devo rappresentare al meglio, con tutte le mie energie, fino alla fine del mandato. Pensavo che le due attività fossero compatibili e complementari, mi sono reso conto che questo non è possibile» [17].

Due anni dopo andrà via anche da Forza Italia dopo esserne stato figura di spicco e dirigente del partito, nonché più volte ministro.

Matteo Renzi direttore (anche se non è giornalista)
Nella giornata del 5 aprile viene ufficializzato il passaggio nella direzione del ‘Riformista’ in una conferenza stampa alla presenza dell’attuale direttore Piero Sansonetti, di quello futuro (nonché senatore della Repubblica e conferenziere in giro per il mondo) Matteo Renzi, dell’editore Alfredo Romeo [18].
Secondo Sansonetti: «Romeo ha deciso di diventare l’editore dei giornali di sinistra e del centrosinistra con ‘L’Unità’ e ‘Il Riformista’. L’idea di Renzi è stata geniale» [19], ha dichiarato nel corso della conferenza stampa tenutasi presso la Sala Stampa Estera.
Chi pensava a un imminente addio alla politica, come aveva affermato Renzi stesso all’indomani dalla sconfitta del referendum quando era Primo Ministro, ha evidentemente frainteso il messaggio.

Mikebongiornianamente Renzi non lascia: raddoppia e assume una carica che, vien da pensare, sarà ritagliata precisamente per lui, non essendo iscritto all’Ordine dei giornalisti ma essendo stato appena designato come tale.

Apprezzamenti giungono anche dal fondatore del “primo” ‘Riformista’ Claudio Velardi:

«Geniale l’idea di fare Matteo Renzi direttore de Il Riformista, quotidiano che fondai nel 2002. Il politico più intelligente e dinamico d’Italia, al momento senza un ruolo, avrà una tribuna quotidiana per dire la sua e incidere nel dibattito pubblico. Ci sarà da divertirsi!» [20].

Si parlerà di tutto perché sarà un “quotidiano riformista nel vero senso della parola” ma non dei processi del futuro direttore:

«Saremo più moderati, non faremo ‘titoli sobri’ come Sansonetti… L’attenzione che il ‘Riformista’ darà al mio processo, Open, sarà molto scarsa. Non so se saremo all’altezza del ‘Riformista’ di Sansonetti nell’affermazione della cultura garantista».

La parabola del ‘Riformista’ parrebbe rientrare pienamente in una di quelle che si studiavano sui banchi di scuola: discendenti. In questo caso anche piuttosto ingloriose. Così come quella di un quotidiano diretto da un non-direttore. Perfetto per una non-informazione

 

Note:

1 Redazione, Matteo Renzi è il nuovo direttore del Riformista, la presentazione, 5 aprile 2023, «il Riformista».
2 Verdi e Pdci si presentarono nelle liste dell’Ulivo in tutti i collegi del Senato della Repubblica. Alla Camera, invece, il Pdci si sfilò dalla lista comune Verdi e Socialisti democratici italiani “Il Girasole” e corse in alleanza del centrosinistra ma fuori dalla “bicicletta” tra ‘sole-che-ride’ e Sdi.
3 Ottavio Ragione, E Velardi fa pubbliche relazioni, 6 ottobre 2002, «la Repubblica».
4 Macaluso fu poi articolista di spicco del quotidiano diretto da Ferrara.
5 Curiosità: sul sito web, archiviato dal repository “Web archive”, la testata è denominata “Il nuovo Riformista”, sebbene venga citato – ed è stato registrato – con il nome “Il Riformista”.
6 Redazione, Il Riformista in festa, brindisi con i «rivali» del Foglio, 19 dicembre 2002, «Corriere della Sera».
7 Ministro dell’economia e delle finanze in Francia dal 2012 al 2014, responsabile della campagna elettorale di François Hollande (Parti Socialiste). Nel 2014 viene indicato come Commissario europeo per gli affari economici e monetari della Commissione Europea retta da Jean-Claude Juncker.
8 Interessante, a tal proposito, il retroscena di Maria Teresa Meli del 27 aprile 2008. Recita lo strillo in prima pagina: «Walter, il Riformista e le manovre nel Pd»: «Smussare gli angoli, minimizzare, addirittura far finta di niente. Finora di fronte a una critica rivoltagli tra le pareti domestiche del centrosinistra, Walter Veltroni ha sempre seguito questa linea di condotta. Ma ieri sull’Unità ha attaccato il Riformista, quotidiano in odor di dalemismo».
9 Redazione, Velina rossa e il Riformista «duello» su D’Alema, 22 novembre 2002, «Corriere della Sera».
10 Il blog di Zoro diegobianchi.com purtroppo non è più visibile, tuttavia sul repository “Web archive” sono contenuti vari fotogrammi e articoli (tra cui molti della rubrica sul Riformista) da egli scritti.
11 Redazione, Tosinvest cede il Riformista, 9 luglio 2019, «Prima Comunicazione online».
12 Redazione, Torna “Il Riformista”. Lo dirigerà Piero Sansonetti, 5 luglio 2019, «Huffington Post».
13 Dino Martirano, Torna in edicola Il Riformista, Bertinotti e Boschi tra le firme, 24 ottobre 2019, «Corriere della Sera».
14 Dino Martirano, Torna in edicola Il Riformista, Bertinotti e Boschi tra le firme, 24 ottobre 2019, «Corriere della Sera».
15 Riccardo Amati, Dal 21 settembre in edicola ogni lunedì Il Riformista Economia, 10settembre 2020, «il Riformista».
16 Redazione, Arriva Il Riformista Economia, da oggi in edicola, 19 settembre 2020, «il Riformista».
17 Renato Brunetta, Perché lascio la direzione del Riformista Economia, 13 ottobre 2020, «il Riformista».
18 «Il Riformista invece tornerà alla sua vocazione originale liberal-democratica, garantista e pluralista», ha dichiarato Alfredo Romeo nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo direttore Matteo Renzi il 5 aprile 2023.
19 Redazione, Matteo Renzi è il nuovo direttore del Riformista, la presentazione, 5 aprile 2023, «il Riformista».
20 Redazione, Matteo Renzi è il nuovo direttore del Riformista, la presentazione, 5 aprile 2023, «il Riformista».

Tutte le foto inserite nello scritto sono di proprietà del sito del quotidiano ‘il Riformista’ e da lì sono state tratte (a cui si viene rimandati se vi si clicca).

Il «duello» nel dibattito che non c’è

Piccola premessa
Chi ha detto che la filosofia è inutile? Probabilmente qualche Presidente di qualche stato latino americano lusofono in odor di potere assoluto, o di qualcun altro evidente estimatore di Pinochet (per quel che sta succedendo in Cile: https://www.facebook.com/TomasHirschDiputado/videos/933282370390086/). Chi si scaglia contro l’inutilità della filosofia non è qualcuno che ha compreso la vera essenza della materia individuandola nell’inutilità della stessa, piuttosto ha compreso la portata rivoluzionaria di un modus pensandi che potrebbe far crollare le fondamenta del proprio potere costituito sul terrore o su di una evidente mancanza di democrazia. Una nazione retta in modo a-democratico (con tanto di alfa privativo) evidentemente pone se stessa in opposizione al concetto di Stato giustificandone, tuttavia, la giustezza del proprio sistema. Così i dittatori nazifascisti assumevano il controllo dello Stato con la forza per fare in modo di poter governare per il bene di tutti: le funzioni vitali della Nazione potevano essere subordinate per un bene più grande, quello della salvezza dello Stato, così allo stesso modo le libertà del popolo, degli elettori o dei cittadini, com’è in voga determinare ultimamente il corpo sociale.
Oltre agli esponenti politici sopra citati, ci sarebbe da aggiungere all’elenco anche coloro i quali ritengono che il mondo possa essere determinato dalle regole dell’economia e si affida ciecamente ad economisti per prevedere il futuro dello sviluppo economico del Paese (così come le tendenze macroeconomiche) salvo poi scoprire che i numeri sono sempre implacabilmente gli stessi: +0.x o -0.y, dunque conta davvero molto poco.
Fenomenologia del dibattito politico
Eppure il dibattito politico si serve costantemente della filosofia, certo non dandogli pacche sulle spalle o mostrandole la dignità che si merita. Al contrario, il dibattito la irride forse anche senza volere, ma prendendola ugualmente in giro.
Una prova tangibile di tutto questo è anzitutto l’ultima manifestazione di un cosiddetto dibattito avvenuto in seconda serata sulla sempre pessima trasmissione «Porta a Porta» condotta dall’inossidabile Bruno Vespa. 
Titolone in grassetto dietro il conduttore della trasmissione: «Il duello: Matteo vs Matteo». 
Seduti l’uno di fronte l’altro c’erano i due Senatori della Repubblica Matteo Salvini e Matteo Renzi, leader delle loro formazioni politiche l’una sulla cresta dell’onda mediatico-elettorale, l’altra nascente. Matteo contro Matteo rimanda ad un’idea di scontro, prima ancora che ad un incontro: ci sono due persone che si contrappongono e lo fanno senza esclusione di colpi, altrimenti la puntata non si sarebbe intitolata “il duello” ma piuttosto “il confronto” o “il dibattito”. Porre un esponente contro l’altro significa trasporre sul piano dialettico una differenza di posizioni e di risposte alle questioni d’attualità e/o storiche, poste dal conduttore per orientare il dibattito.
Si potrebbe, certo, in questa sede affermare sommessamente come tale confronto e dibattito sostanzialmente non è in quanto posto su basi del tutto franabili, come avrebbe detto un timorato Aldo Baglio in «Così e la vita» mentre scalava una roccia per l’appunto franabile (e non friabile dato che frana «non è che fria»): il dibattito è tale se ci sono posizioni contrapposte riguardo una visione del mondo del tutto opposta a cui fare riferimento. Qualora, per assurdo, uno dei due fosse stato contrario all’economia di mercato (alias: il capitalismo) allora sì poteva essere utile chiamare ‘dibattito’ un incontro siffatto. Dato che i due contendenti trattano delle stesse tematiche con eguale linguaggio, a parte alcuni aggettivi ed espressioni più o meno truculente o fiorentinamente colorite, è sostanzialmente inutile collocare il confronto nell’alveo del ‘dibattito’. Chiamarlo così, al contrario, serve non a chi usufruisce del messaggio ma a chi vuole inviarlo: porre su un piano antitetico due persone che la pensano esattamente allo stesso modo e che, a parte qualche frecciatina e battuta di spirito su qualche tema particolare riguardante l’amministrazione di questo o quel comune politicamente retto dalle rispettive controparti politiche o riguardo questa o quella legge appoggiata da Renzi o da Salvini, aumenta una percezione di scontro dra le due posizioni che – in realtà – è completamente assente.
Chi riceve il messaggio, colpito dall’apparizione della puntata in grassetto “Matteo vs Matteo” e corroborato dalla specifica: “il duello” comprende che le parti in causa sono già in lotta, tuttavia – se l’ascoltatore si prendesse la briga di seguire realmente il dibattito – noterebbe che, al netto di grafiche accattivanti per porre sotto una precisa ottica la puntata televisiva, i due non si oppongono in alcun modo alle idee generali dell’altro. Qualora dovessero accennare a farlo ci troveremmo di fronte ad un gioco delle parti che dura il tempo della trasmissione: la manifestazione di equipollenza politica spesso passa attraverso una fase di supposto scontro o litigio strumentale per poi trovarsi sulle stesse posizioni.
Si dirà: «ma allora i porti aperti/chiusi? Quella è una differenza sostanziale». Tale obiezione si sostanzia già nella domanda: non esiste questione di porti aperti o chiusi in quanto se si dovesse davvero chiudere Genova o Palermo – ad esempio – l’economia italiana franerebbe (e stavolta frana davvero, non fria) in un batter d’occhio. La retorica sulla chiusura o apertura dei porti è una lotta tutta a suon di slogan che non aggiunge nient’altro a quanto già detto.
A proposito di slogan sarebbe da continuare a trattare l’argomento con dovizia di particolari, tuttavia lo scritto è già abbastanza lungo, è bene rimandare le riflessioni sugli slogan ad un altro post.

Tra lo ius soli e il testamento biologico c'è di mezzo la realpolitik

foto tratta da «Kathimerini.gr»

Quanto fatto dall’esecutivo Gentiloni su Ius Soli e testamento biologico rientra pienamente nella logica della realpolitik, quasi applicata leggendo un manuale, se mai ce ne fosse uno. 

Il Governo e il Segretario del Partito Democratico, per mesi, sono su tutti i giornali, emittenti televisive e radiofoniche affermando che lo Ius Soli è un diritto di civiltà, che molte nazioni lo posseggono già, che è ingiusto soprattutto a livello umano non concedere la cittadinanza ad un ragazzo nato in Italia. Giusto un mese fa, in novembre nell’ambito della Direzione del partito, Renzi dichiarava: «Non è che facciamo lo ius soli per fare l’accordo con Mdp. Lo facciamo perché “un diritto è un diritto”, senza scambiarlo in un accordo di coalizione. Cercheremo di farlo, senza creare alcuna difficoltà alla chiusura ordinata della legislatura, rispettando ciò che il governo e la coalizione vorranno fare, non pensiamo siano temi su cui fare l’accordo»
Senza contare quel che dichiarava il Primo Ministro Gentiloni in giugno alla festa del quotidiano «Repubblica»: «È arrivato il tempo di considerare questi bambini come cittadini italiani. Mi auguro che succeda in fretta, già nelle prossime settimane, perché è un atto doveroso di civiltà». E ancora: «C’è una parte del Parlamento e dell’opinione pubblica italiana che è diffidente. Ma non bisogna avere paura. Chi acquisisce la cittadinanza ottiene i diritti ma ne abbraccia anche i doveri. Non bisogna lasciare spazio all’idea che con questa decisione noi sottovalutiamo l’importanza della nostra cultura o identità e proprio per questo abbiamo la forza di aprirci e di estendere la cittadinanza a tanti bambini che ne hanno il diritto»

Il Pd  aveva necessità di ostentare all’elettorato e alla stampa amica un buon biglietto da visita per le prossime elezioni politiche: da un lato Radicali Italiani e dall’altra la triade Psi/Verdi/CentroDemocratico, o Area Civica, che dir si voglia. A questi ultimi, cioè alla neonata lista “Insieme” (quella col ramoscello d’ulivo poi tolto e modificato perché poteva dare adito a fraintendimenti ormai già avviati), la legge sul testamento biologico andava bene tanto quanto ai primi: l’accordo con Radicali Italiani, però, non può saltare: in ballo, infatti, c’era e c’è la lista della Bonino e del sottosegretario Della Vedova (+Europa). Raggruppamento e personaggio politico (il primo) che «infiniti lutti addusse ai radicali», stando a quanto accade fra di loro, sia italiani (RI) che transnazionali (PRNTT). 

È stato più che mai opportuno approvare uno e ostentare per mesi l’altro fino a farlo arrivare ad un “binario morto” come quello della sua non approvazione al Senato, tuttavia, sarà usato come promessa elettorale per “continuare il programma di governo”. 
La mossa è stata realizzata semplicemente al fine di rafforzare in senso lib-dem la coalizione, dando una patina di centrosinistra post-ulivista al tutto, superflua quanto necessaria agli occhi degli elettori: chi si straccia le vesti di fronte a cotale manifestazione patente di realpolitik, affermando magari che “il Governo ha perso la sua occasione per approvare una legge di civiltà!”, tuonando che questa o quella parte politica era presente in aula votando a favore della norma, fa un torto a se stesso e alla propria intelligenza, dando prova di non conoscere minimamente i meccanismi che regolano la politica pre-elettorale. 
Il regalo di Natale dell’Esecutivo è servito: la campagna elettorale sarà la più strumentale mai svoltasi e fingerà di mostrare contrapposti degli schieramenti sostanzialmente identici o “uguali”, per citare la lista dei due presidenti: la Boldrini, infatti, sarà candidata in LEU insieme a Pietro Grasso. Cercando, magari, un accordo col Pd una volta che la maggioranza non si sarà trovata.