La memoria perduta dei giornali italiani: un nuovo "1984" che non suscita indignazione *

Cos’è successo a «l’Unità»? Qualche tempo fa lo hanno descritto alcuni giornalisti vicini alla testata che un tempo era comunista. Un tempo neanche troppo lontano a pensarci bene ma che ora sembra sideralmente distante. Come fa un giornale a perdere tutto quello che ha pubblicato su internet? La risposta è semplice quanto complessa. Cambi di proprietà, legislazione non proprio impeccabile ed evidente noncuranza del patrimonio archivistico della testata hanno realizzato quel che una porzione di opinione pubblica ha conosciuto come la perdita della memoria di uno dei quotidiani più importanti d’Italia. Il combinato disposto fra il cambio della proprietà e la legislazione “non proprio impeccabile” hanno permesso che venisse demandata una questione cruciale, quella dell’archiviazione digitale della memoria delle pubblicazioni giornalistiche, agli editori e alla proprietà dei quotidiani. Vale la pena dare un paio di cenni normativi per chiarire il quadro della questione: quando i server de «l’Unità» sono stati spenti, così come quelli di altri quotidiani di partito («Liberazione», «La Voce Repubblicana», «La Rinascita») e non («Cronache del garantista», «Liberal», «e-Polis», «Corriere Laziale»), le proprie pubblicazioni digitali sono andate perdute. Questo è stato possibile perché il regolamento d’attuazione del d.p.r. 252/2006 – che obbliga gli editori al deposito legale digitale così come per quello cartaceo – non era (e non è) stato ancora pubblicato.  

Cos’è il deposito legale? Il deposito legale, cioè la consegna obbligatoria delle pubblicazioni negli istituti depositari da parte dei soggetti previsti dalla legge (DPR 252/2006), è lo strumento normativo che consente la raccolta e la conservazione dei diversi prodotti in archivi nazionali e regionali. L’obbligo, nonostante sia rivolto anche alle produzioni native digitali non è stato normato dal regolamento d’attuazione per far sì che le pubblicazioni editoriali possano essere ‘raccolte’ dagli organismi preposti dalla legge. Quando ad un sito internet, pur appartenente ad una testata giornalistica di rilevanza nazionale, vengono spenti i server a cui punta a causa della cessazione della vita della testata o di un momento delicato della vita della stessa (es. un cambio di proprietà) e non sono state fatte copie dei contenuti pubblicati, il rischio è quello di perdere tutto quanto sia stato originalmente “postato” sulla rete.  

Tre giornali differenti, un comune denominatore 
Il caso de «l’Unità» è eclatante e già all’inizio del 2017 l’archivio digitale risultava irreperibile, qualora un utente avesse provato a digitare l’indirizzo del dominio , tanto che Pietro Spataro, già giornalista della testata, iniziò a scrivere all’allora direttore Sergio Staino chiedendo spiegazioni a riguardo. Staino disse che si stavano solo aggiornando le macchine perché obsolete. Un po’ come quella scena del “Compagno don Camillo” in cui Gino Cervi, sindaco comunista di Brescello in visita in Urss, chiede prepotentemente a delegati del Pcus come mai siano stati rimossi dall’hotel in cui alloggiavano tutti i quadri che raffiguravano l’allora segretario Kruscev. Risposta: «Per spolverarli». L’indomani i comunisti emiliani si ritrovarono con un altro segretario del Pcus raffigurato, trattavasi di Breznev. Il problema è che non c’è stata nessuna ‘spolveratina’ ai server del quotidiano che un tempo era comunista ma solo una decisa rimozione di tutti i contenuti originali pubblicati unicamente sul sito e su tutti i sottodomini. Al momento l’archivio digitale del quotidiano si trova nel cosiddetto deep web e lo si può consultare tramite TorBrowser grazie all’opera di un gruppo di hacker – ribattezzati scherzosamente dalla rete data ninja – che ha salvato buon parte del patrimonio dal 1946 fino alle edizioni più recenti ma non riuscendo nulla per le edizioni locali e nazionali pubblicate fra il 1929 e il 1946. Allo stesso modo il tormentato percorso di fine-vita (stavolta non volontario) di «Liberazione», il quotidiano organo di Rifondazione Comunista, è molto simile a quello della «Voce Repubblicana», organo del Partito repubblicano italiano il cui patrimonio cartaceo esiste (e lotta insieme a noi!) nelle annate presenti nelle sedi dei due partiti citati. Nessun backup dei contenuti pubblicati solo sui rispettivi siti internet, però, è stato mai realizzato da parte delle redazioni dei quotidiani. La giustificazione che hanno dato i responsabili di entrambe le pubblicazioni, tutt’ora membri dirigenti e organizzativi dei due partiti di riferimento (Prc e Pri) è stata quella per cui nessuno pensava di “finire in così breve tempo”, dunque, “non abbiamo mai salvato nulla”. 

“Sul ponte sventola bandiera bianca”
L’evidente inconsapevolezza del comportamento da attuare da parte da parte di direttori e dalla proprietà dei quotidiani rispetto ad una normativa assente, lacunosa o che non stabilisce chiaramente quali siano gli obblighi da assolvere, come al contrario avviene per il deposito legale è la chiave di lettura per leggere tutti e tre i casi. Tuttavia in mancanza di una normativa che regoli chiaramente il deposito legale digitale, la conservazione della memoria dei siti web viene lasciata all’iniziativa dei singoli i quali, come s’è visto, non posseggono gli strumenti per comprendere l’importanza dell’archiviazione digitale a cui va aggiunto una predisposizione di noncuranza e inosservanza da parte delle redazioni circa l’importanza del rinnovo del dominio e dei relativi servizi nei confronti dell’azienda scelta al momento della registrazione. La mancanza del rinnovo del dominio, infatti, nonostante possa essere interpretata come una fatalità, è una delle cause che generano la successiva perdita della memoria digitale di un quotidiano, in mancanza della normativa specifica.
Si aggiunga, inoltre, che il personale che svolga funzioni archivistiche con competenza non è presente nella maggior parte delle redazioni di quotidiani nazionali: tra quelle citate nessuna possedeva personale con formazione archivistica in grado di gestire sia il patrimonio cartaceo che digitale. La conseguenza è stata la perdita integrale del proprio archivio digitale, aprendo delle vere e proprie voragini nella memoria dell’informazione politica nel Paese.

*L’articolo in questione è il frutto di una sintesi del saggio pubblicato per il numero 59 della rivista scientifica «Culture del testo e del documento», per cui ringrazio il Direttore prof. Piero Innocenti per lo spazio che mi ha concesso e la prof. Marielisa Rossi. Il lavoro di ricerca è stato effettuato nell’ambito della redazione della tesi di Laurea magistrale in Scienze storiche dal titolo Analisi delle strategie editoriali e di conservazione digitale di alcuni quotidiani nazionali, discussa nella sessione invernale dell’a.a. 2016-2017 dell’Università di Roma 2 – Tor Vergata, relatrice prof. Marielisa Rossi.

Articolo pubblicato su Sinistraineuropa e Pressenza

L’olocausto della memoria digitale

Marzo 2019, MySpace, antesignano dei social e luogo in cui si condivideva musica, brani originali et similia, perde gran parte del suo patrimonio a causa di una migrazione di server non andata a buon fine
L’unica testata italiana ad occuparsene con un certo taglio, sia essa online o cartacea, è stataIl Giornale della Musica: a corredo del pezzo firmato da Jacopo Tomatis campeggia una fotografia di una biblioteca con una didascalia decisamente appropriata «Una biblioteca vuota, o chiusa, rimane sempre una biblioteca. MySpace – semplicemente – non esiste più».
L’autore dell’articolo ha  poi aggiunto, parafrasando McLuhan: 

«La novità della rivoluzione di internet, con cui non abbiamo ancora fatto i conti fino in fondo, è che ora la sparizione del medium è anche la sparizione del contenuto».

MySpace ha perso più di 50 milioni di brani caricati sulla piattaforma prima del 2016, come riporta il ‘Guardian’: «Myspace, un tempo potente social network, ha perso ogni singolo contenuto caricato sul suo sito prima del 2016, compresi milioni di canzoni, foto e video che non erano stati caricati in nessuna altra piattaforma. […] Sono andati perduti più di 50 milioni di tracce appartenenti a 14 milioni di artisti, tra cui canzoni che hanno portato alla ribalta la cosiddetta “Myspace Generation”, come Lily Allen, Arctic Monkeys e Yeasayer. Oltre alla musica, il sito ha anche accidentalmente cancellato foto e video memorizzati sui suoi server». 
Il commento da parte dell’azienda che stava rilanciando la piattaforma, a seguito di anni di crisi, è stato semplicemente: «We apologize for the inconvenience». Ci scusiamo per  l’inconveniente.

Riecheggiano prepotentemente le parole scritte da George Orwell:

Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato

ma, quanto scritto in ‘1984’ non fa riferimento ad un fantomatico passato sovietico, come detto da una tradizione liberale ed antimarxista nel corso degli anni. Quella frase indica quello che sta succedendo adesso, nei nostri giorni, ad Urss crollata e ad umanità soggiogata dal pensiero unico del liberismo. Dove il profitto regna sulla conoscenza, sulle persone e su qualsiasi forma di vita.

TNT – Scambio etico: «Faremo la stessa fine di MySpace»
In un lungo comunicato pubblicato sul sito scambioetico.org Luigi Di Liberto, responsabile di TNT Village, «l’unica piattaforma al mondo di scambio etico ha dichiarato»: «Myspace ha perduto 50 milioni di contenuti per un banale errore tecnico. […] È quello che a breve avverrà a TNT Village che conserva la conoscenza su 150.000 release, ordinate, commentate, curate, da un gruppo di moderni bibliotecari della conoscenza, che a spese proprie e rischiando di persona, mettono a disposizione di tutti la conoscenza su quello che gli italiani vogliono condividere, proprio mentre i bibliotecari pagati con soldi pubblici accettano l’abbraccio (per loro mortale) degli editori. Più di 1.300.000 italiani hanno scelto di iscriversi a TNT Village, sebbene potessero scaricare liberamente senza neppure farlo, e molti ci chiedono quotidianamente di farlo da quando abbiamo chiuso le iscrizioni perché i nostri server non reggono più il carico. Ma se la sorte di TNT Village è segnata non ce ne andremo senza lottare per i diritti dei cittadini alla loro memoria, per il Diritto e per la legge, come stiamo facendo da 14 anni con l’aiuto di tutti quelli che non si sono lasciati intimorire dalle aggressioni legali che abbiamo sopportato. TNT Village non ha perduto fino ad oggi le sue release, ma dopodomani lo farà. Seguendo l’esempio di Wikipedia tedesca (ma Wikipedia Italia che fa? Ancora non si sa!) anche TNT Village chiuderà le sue pagine e oscurerà la release list e il tracker per la manifestazione internazionale per salvare Internet. Anche TNT Village questa primavera vuole salvare Internet». Il riferiferimento è alla campagna #saveyourinternet che in Italia stanno portando avanti i pirati in solitaria. Qui: https://m.tntcity.org/lettera-di-luigi-di-liberto la lettera del responsabile di TNT per chi volesse leggerla integralmente

I casi precedenti: l’Unità (e altri)
Due anni fa l’archivio digitale dell”Unità‘ veniva definitivamente perso nel mare magnum di flussi di bit di Tiscali, azienda che ospitava tutti i sottodomìni relativi all’archivio de ‘l’Unità’. Pietro Spataro, già giornalista della testata, aveva chiesto spiegazioni al direttore Sergio Staino con una lettera, pubblicata successivamente sul suo blog, ma secondo il celebre vignettista si stava trattando di uno “spegnimento controllato” perché le «macchine che ospitano i server» sarebbero state «obsolete».
La nuova proprietà (Piesse, guidata da Massimo Pessina della Pessina Costruzioni) non ha mai chiarito quando e come avrebbe rimesso online l’archivio digitale e cosa ne avrebbe fatto di quello cartaceo. A parte voci di cessione del pacchetto del quotidiano a Lele Mora, pista poi rivelatasi non fondata. Nel lavoro di tesi che ho svolto a cavallo tra il 2017 e il 2018, dato che mi sono occupato della memoria digitale “smarrita” dei quotidiani nazionali e non, mi è stato detto che, in realtà, l’archivio digitale non è possibile recuperarlo. E, forse, non ce n’è neanche l’intenzione. Quello cartaceo, invece, sarà sottoposto ad un lavoro di valorizzazione.
Fortunatamente un gruppo di hacker ha salvato gran parte del patrimonio dal 1946 al 2014 ma perdendo gli anni precedenti al 1946, qui spiegano come hanno fatto e qui c’è il link per andare a visitare, consultare, studiare le annate de ‘l’Unità’, visibile solo tramite TorBrowser.

Ci sono stati altri casi di quotidiani colpiti da questo particolare alzheimer: Cronache del Garantista, Liberazione, parzialmente il Manifesto, La voce Repubblicana, Rinascita, Cronache di Liberal, Terra – quotidiano ecologista, etc.
A breve dovrebbe uscire una [mia] pubblicazione sulla rivista accademica Culture del testo e del documento riguardo questa faccenda, dunque terrò aggiornato chi vorrà sulla materia, così potrà leggere da sé senza aprioristiche rivelazioni di nessun tipo di quanto ho scritto.