Cesare Battisti, il formidabile 'casus belli'

Fonte foto: ©Il fatto quotidiano
L’Italia si è svegliata tra il torpore postideologico e le storture dell’ingranaggio democratico liberale, costretto da costruzioni sovranazionali che ne limitano l’azione e l’efficacia, trovandosi stritolata fra pulsioni fasciste e discriminatorie nei confronti dell’altro quale che sia. L’episodio che ha scatenato il punto più alto di tutto questo è senza dubbio la cattura di Cesare Battisti, latitante da più di un trentennio tra la Francia e il Brasile. La narrazione che si è prodotta attorno al personaggio nel corso degli anni è stata volta alla costruzione (e costrizione) mediatica di un capro espiatorio per additare una certa parte politica alla copertura nei confronti dell’appartenente ai Proletari armati per il comunismo (Pac). Copertura che, nella maggior parte dei casi, non c’è stata o è stata interpretata forzosamente da coloro i quali hanno voluto mostrare ai più che la questione fosse come essi andavano esprimendo. Cesare Battisti non è altro che un terrorista di secondo, se non terz’ordine, rispetto al clima politico degli anni ’70 e nell’ambito dello stragismo, come ha ricordato Massimo Bordin sulla sua rubrica quotidiana Bordin line (del 15/01/2019) attraverso il giornale, tutt’altro che socialista o comunista ‘Il foglio’. Così come, per ulteriori approfondimenti sulla questione, è bene rimandare all’articolo scritto qualche tempo fa (ma utilissimo per quest’occasione) da Wu Ming 1. I Proletari armati per il comunismo, gruppo di cui faceva parte Cesare Battisti, a sostegno di quanto già espresso, nonostante misero a segno un pugno di omicidi, fu un gruppo terroristico che nel giro di due anni nacque e si sciolse, così come tanti all’epoca di cui stiamo parlando. Periodo storico con cui l’Italia ancora non ha fatto i conti fino in fondo lasciando svariate questioni aperte e aprendo le braccia al più bieco revisionismo, come già successo per svariati episodi della nostra storia più recente.
Casus belli
Cesare Battisti e la spettacolarizzazione del suo rapimento – che ricorda quella messa in atto all’epoca dell’arresto di Enzo Tortora, telefonare Bonafede – rappresenta la punta dell’iceberg della volontà di destrutturare quel poco che rimane di gruppi organizzati o autonomi che fanno riferimento alle idee di solidarietà e di internazionalismo. In altre parole al marxismo, al socialismo e al comunismo, nonché al pacifismo. Prendere il casus belli Battisti è una mossa più che intelligente: la scaltrezza del potere si mostra con tutta se stessa andando a recuperare uno tra i più contestati personaggi di quegli anni, unendolo al mutamento di governo in Brasile a seguito del golpe-Temer che ha ‘deposto’ Dilma, democraticamente eletta, e carcerato Lula, sulla cui veridicità delle prove messe in atto dall’accusa si discute tutt’ora in Brasile. Italia e Brasile non sono mai stati così vicini, non tanto per la prossimità ideologico-politica dei due Governi, quanto per la demonizzazione totale, a 360°, della controparte. In Italia il gioco è più complicato: Salvini deve fare riferimento alla ‘sinistra’ che, purtroppo per lui (ma anche per noi), non ha niente a che vedere con il PT brasiliano e la socialdemocrazia, men che meno con il socialismo o il comunismo. Il meccanismo riesce ugualmente: Matteo Salvini ha più volte dichiarato che ostentare i simboli della Russia sovietica perché antistorici, o aberrazioni simili, arrivando – qualche anno fa, quando la Lega si chiamava ancora Nord – a «schifare il crocifisso con la falce e martello donato da Evo Morales a Papa Francesco». A questo, si aggiunga il disprezzo di entrambi (Bolsonaro e Salvini) nei confronti dei comunisti: il Ministro dell’Interno, dopo la stretta di mano con il figlio di Torreggiani (ovviamente in diretta tv sul Tg2 di prima serata, successivamente pubblicato su Facebook dal capitano) ha dichiarato come si sia fatta «giustizia con la g maiuscola» ricordando con disprezzo quegli «pseudo intellettuali e politici italiani in difesa di quello che è un volgare assassino comunista». L’espressione usata verrà ripetuta dal Ministro per una serie infinita di volte fino a perforare il cranio degli uditori e la retina dei suoi (e)lettori fin quando essi non avranno, davvero, gli occhi di bragia non appena vedranno una falce e martello da qualche parte.

La questione vera: mettere al bando il socialismo, il comunismo, l’internazionalismo
Il 31 agosto 1939, a pochi giorni dall’invasione nazista della Polonia, ad attacco pianificato e con Adolf Hitler che aveva già firmato l’ordine di invasione, si verificò l’episodio che passerà alla storia come Incidente di Gleiwitz (oggi la cittadina si chiama Gliwice). L’accaduto fu un finto attacco messo in piedi dai nazisti al fine di costruire (letteralmente) un pretesto per giustificare l’attacco alla Polonia: a Gleiwitz, al confine con la Polonia, sono di stanza dodici uomini agli ordini dei servizi segreti tedeschi. Prendono gli ordini, dunque, direttamente da Heydrich, capo dei servizi, «poi giustiziato quattro anni più tardi dai partigiani cecoslovacchi a Praga» come ha ricordato Alessandro Barbero. Il commando possiede divise e documenti polacchi, pronti ad entrare in azione in qualsiasi momento arrivino gli ordini, cito nuovamente Alessandro Barbero nel corso della sua lectio al festival di Sarzana del 2014: «la mattina del 31 agosto Heydrich fa arrivare la parola d’ordine al commando ‘la nonna è morta’. Il commando entra in azione e attacca la stazione radio di Gleiwitz, spara e si impadronisce della radio da cui viene trasmesso un comunicato farneticante in polacco e se ne vanno lasciando un morto in divisa polacca». L’attacco polacco c’è stato, i nazisti sono stati aggrediti: l’invasione della Polonia, iniziata il 1 settembre, è più che giustificata e legittimata, c’è necessità di difendersi.
Così come tutte le questioni, nel corso della Storia, hanno bisogno di un pretesto per legittimare la propria azione, anche la vicenda di Cesare Battisti trasmette qualcosa, per coloro i quali hanno occhi e orecchie per andare oltre le righe della propaganda massmediatica salvinista, a cui la grande stampa presta il fianco facendogli da eco. Iniziare a limitare l’agibilità politica di chi fa riferimento a quanto sopra espresso (socialismo, comunismo, internazionalismo) non fa certo parte del famigerato Contratto di governo, tuttavia si presta bene a quello che sarà la narrazione salvinista post elezioni europee in cui (a meno di stravolgimenti) non ci saranno liste con falce e martello, la sinistra non eleggerà alcun deputato a Strasburgo e la Lega otterrà la maggioranza relativa di coloro che intenderanno recarsi alle urne, riproponendo lo scenario del 2014 in cui il Pd gridò entusiasticamente per un effimero 40% che fece girare la testa all’allora Primo Ministro Matteo Renzi. Tornando a noi, è giusto, nell’ottica leghista, iniziare una narrazione/propaganda che è stata abbracciata da svariati paesi dell’est europa (Ucraina e Polonia fra tutti), andando di pari passo con la rimozione dei segni più visibili (statue e monumenti in generale) dell’epoca sovietica.
Non da ultimo, l’uso politico e social della spettacolarizzazione della cattura del personaggio: si può rivivere passo dopo passo, la giornata del 14 gennaio, dal profilo Facebook del Ministro Bonafede. Un pasto stucchevole per chiunque a cui gli italiani sembrano essersi così tanto assuefatti da non percepire la gravità delle immagini girate e pubblicate con estrema disinvoltura o, per dirla con le parole dell’Unione delle camere penali: «Quanto accaduto ieri [14/1/2019] in occasione dell’arrivo a Ciampino del detenuto Battisti è una pagina tra le più vergognose e grottesche della nostra storia repubblicana». Questa che sta attraversando l’Italia, dunque, è solo la prima fase di un nuovo, lungo e tortuoso cammino in cui si lavorerà per far sì che i contorni dei crimini del passato (Stazione di Bologna in primis) verranno sempre di più letti attraverso lenti dalla gradazione sbagliata e fatte indossare a un popolo sempre più miope a cui manca capacità di discernimento, educazione, adeguata scolarizzazione e memoria storica.

Brasile: Paese spaccato dalle presidenziali, la mappa di «Le Monde»

La sua vittoria conferma la svolta a destra in tutto il Sud America: avendo ottenuto il 55,1% dei 104,8 milioni di voti in palio, Jair Bolsonaro è stato eletto Presidente del Brasile domenica 28 ottobre 2018. Il candidato di estrema destra si trova a capo di un Paese profondamente diviso dalla politica, a trent’anni dal ritorno della democrazia.
Tutto il sud e l’ovest del paese, parte del Brasile con un reddito pro capite più elevato e una densità abitativa inferiore, ha votato a favore del candidato di estrema destra [le parti in blu della mappa].
Si noti, a riguardo, il risultato negli Stati occidentali della Rondoina e del Mato Grosso, principali aree di deforestazione del paese. Dato ancora più vero e confermato nel sud-est del Paese, negli stati di Rio de Janeiro, San Paolo, Espirito Santo e Minas Gerais: questi quattro stati producono circa il 60% del PIL del Brasile e sono popolati prevalentemente da bianchi, che rappresentano il 55% della popolazione, stando al censimento dell 2010, poco più della media del 47% del Brasile nel suo complesso.
La parte nord-orientale del paese, l’area con il PIL pro capite più basso e a media densità abitativa, ha votato più ampiamente a favore del candidato del Partito dei lavoratori, Fernando Haddadad [le parti in rosso della mappa]. Questa regione ha anche la particolarità di essere abitata dal più basso numero di discendenti di coloni europei e detiene la più alta percentuale di discendenti di schiavi africani.