Turbolenze in vista tra candidati alle primarie e vecchi-nuovi partiti di (centro)destra – Atlante Editoriale

Se la confusione e l’irrigidimento di posizioni sembrano essere diventate la costante cui la politica europea ci ha abituato in questa circostanza tutt’altro che passeggera di “crisi migratoria”, come viene chiamata dalla stampa, la politica e i partiti non se la passano meglio.
Lo “spirito del congresso” del Partito democratico aleggia come quello della filosofia di Hegel.
Il primo, però, è alimentato da comunicati e da dichiarazioni che non tendono a mostrare un quadro chiaro della situazione, anzi.

Stando alla ricostruzione del “Corriere della Sera”, i candidati al momento più quotati sono: Stefano Bonaccini (presidente della Regione Emilia-Romagna), Paola De Micheli (deputata), Dario Nardella (primo cittadino di Firenze), Matteo Ricci (primo cittadino di Pesaro) ed Elly Schlein (deputata). Ci sarebbero, tuttavia, anche gli esponenti di Articolo1 e Demos che reclamano un posto per la corsa alla contesa che si dovrà tenere nei primi mesi del 2023.

Demos e Articolo1 in corsa


C’è dell’altro, tuttavia: nei mesi scorsi Roberto Speranza, già ministro della sanità e figura di riferimento di Articolo1-Mdp, aveva parlato della necessità di poter partecipare ad una nuova fase di organizzazione del centro-sinistra italiano. Dunque Articolo1 tornerà a far parte non già della coalizione ma proprio del Pd, qualora dovesse superare se stesso. Proprio in area ex-bersaniana, Francesco Miragliuolo (Articolo1) dichiarò una manciata di giorni fa come: «Articolo Uno può rilanciare la collocazione del Pd nell’alveo della socialismo democratico ed europeo».
Anche Demos conferma la volontà di permanere nella medesima collocazione di centro-sinistra e i dem, stando al retroscena di Monica Guerzoni sul “Corsera” [oggi 15/11/2022], sarebbero pronti a cambiare lo statuto pur di poter far partecipare anche le forze citate.
Uno statuto a corrente alternata, pronto ad accogliere Demos e Articolo1 ma che anni fa respingeva i radicali e la candidatura di Marco Pannella a più riprese proprio per evitare modifiche alle regole interne, ma tant’è.

Il caso della Regione Lazio

Saltato l’accordo Pd-5Stelle, data la questione inceneritore e il veto di Giuseppe Conte, i pentastellati potrebbero puntare a nomi che andrebbero a deviare il sentiero entro cui si muove il Partito democratico. Il nome di Massimiliano Smeriglio serpeggia in ambiente grillino e, senza dubbio, un nome simile potrebbe sconvolgere l’assetto quadripolare. Quantomeno nel Lazio, dato che il nome del candidato (ormai dato per certo) è di Alessio D’Amato (assessore alla sanità). Gradito a Calenda/Renzi, ma non troppo ad una parte dell’alleanza.
Lo stesso Angelo Bonelli (Europa Verde-Alleanza Verdi Sinistra) nella mattinata di oggi [15/11/2022] ha dichiarato: «Non è un problema di nome, conosco D’Amato da quando avevamo i calzoni corti e va benissimo. Ma la candidatura doveva essere annunciata tutti insieme, procedere in questo modo è stato un grande errore. Vogliamo capire se la linea programmatica la dà Calenda o il candidato del centrosinistra. Il leader del Terzo Polo non può dire ‘queste sono le linee della Regione e Bonelli e Fratoianni devono accettarle o stanno fuori’», come riporta l’agenzia “9Colonne”.

L’equilibrio di chi non lo ha


Stando al deputato ecologista, è il «Pd a dover cercare un equilibrio» ma, parafrasando il Manzoni, se uno l’equilibrio non ce l’ha non se lo può certo dare.
Proprio per questo il dibattito attorno alla natura del partito di centrosinistra si fonda sulla legittimità e l’esistenza dell’organizzazione stessa. Per Paolo Cacciari il ritorno al dualismo di soggetti alleati, ma formalmente distinti, non sarebbe nefasto: «Tornare a uno schema Margherita-Ds non sarebbe neppure il male peggiore. Almeno si riconoscerebbe onestamente il proprio fallimento e da questa onesta constatazione si potrebbe più seriamente ripartire», ha dichiarato il filosofo ai microfoni di “Italia Oggi”.
Un dualismo che ammetterebbe il fallimento della ‘vocazione maggioritaria’ evocata da Walter Veltroni all’inizio del percorso del Partito democratico, dato che con tutta evidenza: «non può essere la sola Schlein a risolvere le questioni del partito», come ha scritto Mario Giro sull’editoriale apparso sul quotidiano “Domani” di lunedì 13 [novembre 2022].
Certo è che di fronte ad un’organizzazione politica che ha condannato qualsiasi tipo di ideologia socialdemocratica (compresa quella liberal-socialista) per abbracciare il liberalismo più radicale, per cui si fa sempre più fatica a rintracciare un’alternativa nei programmi e nella sostanza dei fatti dal resto delle coalizioni di centrodestra (così come anche con i centristi di Azione/Italia Viva), rimane da chiedersi se ha ancora senso definire il Pd come “soggetto politico alternativo alla destra”. Posto che lo sia mai stato davvero. Le recenti dimostrazioni di apertura, nonché della riabilitazione pubblica di Letizia Moratti, segnano il passo.

Nel frattempo, alla destra-centro…


Rinasce, anche se in realtà non era mai scomparsa, Alternativa popolare, l’organizzazione politica che era sorta dalle ceneri del Nuovo Centrodestra fondato da Angelino Alfano e durato il tempo di una legislatura per poi dissolversi come neve al sole. Alternativa popolare torna a far parlare di sé perché Stefano Bandecchi (presidente della Ternana e dell’Università Niccolò Cusano) è stato nominato coordinatore nazionale del partito dell’ex forzista Paolo Alli e, non solo: annuncia la propria candidatura a sindaco di Terni alle prossime amministrative.
Sarà una candidatura di centro, sebbene Bandecchi non si candidi con il centro, saltato l’accordo con Calenda, dato che il progetto politico di Ap si colloca naturalmente nel Partito popolare europeo, secondo le intenzioni di Bandecchi. Eppure, rivendicando la sua appartenenza e il suo «orgoglio di aver servito lo Stato e la bandiera come militare nella Folgore» respinge le accuse di fascismo, sebbene sia solito indossare magliette (tanto da riprendersi per dirette su Instagram) con il motto del reggimento e slogan ripresi dal neofascismo militante. Bandecchi nega tutto, le immagini e le intenzioni rimangono. Il nuovo, già “avanza”.

Difendere, conservare, pregare: l’ascesi di Giovanni Lindo Ferretti – Atlante editoriale

È uscito un nuovo libro di Giovanni Lindo Ferretti, si intitola “Óra” (Compagnia Editoriale Aliberti, pp.114, 12€). Mai come in questo caso la descrizione che segue il titolo spiega, ancor di più, il senso del piccolo volume in oggetto: difendi, conserva, prega.Senza virgole, senza maiuscole, solo gli spazi a separare il triplice invito che viene fornito al lettore e che l’autore dà a sé stesso prima di tutto.

Pensieri, ricordi, parole e preghiere del Giovanni Lindo Ferretti che fu, era ed è: una lettura pesante come un macigno per chi ha conosciuto – e seguito pedissequamente – l’evoluzione del percorso musicale, culturale e politico del cantante dei Cccp, Csi, Pgr; spirituale e autobiografica per chi si accosta solo ora ai suoi scritti. 

«Quando prego poi sto bene, comunque meglio. Se non prego è comunque peggio, ma ve l’ho già detto: sono stupido, debole, non aspettatevi granché ne rimarrete delusi». 

La soggettività, ad ogni modo, percorre le pagine e le considerazioni conseguenti nella lettura del libro: arrivati all’ultima pagina non ci saranno analisi simili tra i lettori di “Óra” ma solo opinioni contrastanti. Molti, tra coloro che hanno seguito i Cccp fin dall’inizio, reputano terrificante (senza mezzi termini) la svolta ultra cattolica e reazionaria di Ferretti. Non c’è motivo di dar loro torto: il frontman dell’unico gruppo italiano realmente punk, svolta dalla critica al capitale (produci, consuma, crepa) ad un triumvirato di sensazioni che niente hanno a che fare con la contestazione.
È mutata la Regola, come per gli ordini ecclesiastici. Similitudine non peregrina. 

«Il pontificato di Benedetto XVI è stato, nella mia vita, un momento di grazia quotidiana. Per una volta, adulto, mi sono sentito in perfetta sintonia. Ogni sua parola, ogni suo gesto, un nutrimento per la mia anima nei miei giorni di uomo. Avrei obbedito ad ogni suo cenno. La sua rinuncia al soglio pontificio è stata un dolore fisico, mi ha annebbiato la mente. Mi ha prostrato. Me ne sono fatto ragione senza comprensione. Una premonizione: l’Europa finisce con il suo ultimo Pontefice. Uno stallo, emerito, sospende il verdetto. Poi? La pena è certa.». 

Ferretti è del tutto un’altra persona: abbandonare ogni aprioristica considerazione sulla sua conversione è ‘cosa buona e giusta’; provare a incasellarlo, od incastrarlo in qualsivoglia costrizione che lui stesso non si sia dato, potrebbe trarci in inganno e far deragliare i binari della nostra analisi o ragionamento.
In sostanza: “[…] e non abbandonarci alla tentazione”. 

Tra le pagine di “Óra” , che scorrono via una dopo l’altra, così come la scrittura di Ferretti, senza troppe punteggiature o maiuscole, si è dentro un flusso di coscienza personale e spirituale: tanto nei suoi altri lavori editoriali, nonché nelle canzoni ( “Orfani e vedove” su tutte), condanna il suo passato in modo irrevocabile, senza appello per quello che ha condotto fino ad un certo momento della sua vita. 
Forse, anche ingiustamente: ogni cosa compiuta dall’essere umano definisce la propria identità e concretezza. Cancellarlo con un tratto di penna, o a suon di pubblicazioni, non sembra il mezzo più adatto.

Sostiene Ferretti che aveva abbracciato il suo tempo con ingenuità ripetendo slogan e che ora s’è dato al clericalismo puro e intransigente: 

«Continua l’altro compito stabilito: l’ascolto di 40 anni di dischi, ho ripreso CO.DEX il disco che marca il confine della mia vita adulta. Registrato a Berlino tra MCMXCIX e MM. Nuovo secolo nuovo millennio nuovo me. C’è stata la Mongolia / meraviglia d’un mondo d’età ruvida acerba. C’è stata la Jugoslavia / la guerra che compare materiale all’orizzonte. È in atto il mio ritorno a casa / la civiltà Città m’allergica.». 

Il libro in sé non fornisce nulla di nuovo nell’elemento d’analisi e di conoscenza della conversione di Ferretti: una pubblicazione impreziosita dalle perle dei racconti personali dell’autore, tuttavia il lettore si trova a ripercorrere anni di vita, di carriera, per mezzo delle preghiere e di momenti salienti della vita del cantante. Un’operazione editoriale, in fondo. 

“Ortoprassi versus ortodossia”
Non risparmiando critiche al clero, a sua detta troppo civilizzato, a cui manca spiritualismo e, quasi, dottrina nella prassi, Ferretti rivela quel che in realtà poteva essere percepito solo carsicamente. 
Negli anni della gioventù, quando cantava/militava nei Cccp, lo si riteneva il primo alfiere della difesa dell’ortodossia socialista sovietica. O meglio: anche chi si dovesse accostare ora al fenomeno del gruppo punk filosovietico emiliano, avrebbe l’idea di un individuo che, abbandonata l’illusione menzognera della vita occidentale, riesce ad abbracciare l’ideale socialista, inteso come costruzione della propria visione del mondo. Cioè, della propria ideologia. 

Man mano che si procede nel contatto con il nuovo corso del cantante dei Cccp/Csi/Pgr, si ha la sensazione dell’esatto contrario: la burocrazia sovietica e l’apparato erano i fattori che più avevano suscitato il fascino di Ferretti. Non già l’afflato dell’ideale o la sensazione della realtà che l’Urss stesse, in un modo o nell’altro, geopoliticamente interpretando: l’altro mondo possibile, agli occhi di Ferretti, era rappresentato dall’autorità e non dalla costruzione della società socialista. 

Il lettore accórto se ne avvede subito quando l’autore parla di Benedetto XVI, così come pure egli ha fatto in passato più volte: la sensazione è che a Ferretti manchi l’autorità cui soggiacere. 

Dopo avere attraversato varie fasi della propria vita, si è ritrovato nella ciclicità e nella periodicità del rito, con il mondo rurale che aveva abbandonato fin dall’infanzia e dalla pre-adolescenza, tornando ad avvicinarsi a quel vissuto che aveva scansato troppo rapidamente. Sebbene, anche in questo caso, riferimenti cristiani, religiosi e mariani non sono mai mancati nel corso della produzione dei Cccp: il ritornello/litanìa di “Aghia Sophia”, “Madre”, inserita in “Palestina” ne è un chiaro esempio.

«La preghiera apre uno spiraglio che concede al finito di percepire, accedere all’infinito. […] Da che ho ripreso a pregare, non tanto quanto dovrei non meno di quanto riesco – non fatevi illusioni: sono e resto un peccatore, miserevole e anche stupido – mi affido alle preghiere della mia infanzia, pregate da sempre». 

Ferretti è, dunque, spirituale, ma anche «cattolico, reazionario e stronzo», come ebbe a dire in un’intervista del 2013 a margine della presentazione di “Fedele alla linea”, proiettato in anteprima alla Cineteca di Bologna . 

Ferretti anche contestatore, ma del sé stesso pubblico che non è caduto nell’oblio come avrebbe voluto.

Pubblicato su Atlante editoriale: https://www.atlanteditoriale.com/it/letteratura/giovanni-lindo-ferretti-ora/

La fiducia nel sistema

L’articolo è un po’ lungo, ma così m’è venuto e ogni tentativo di snellirlo si riduceva, tutte le volte, allo svilimento di parti del discorso. Che ci crediate o meno, cari quattro lettori, questa è la versione più breve. 

Se vi va, però, qualche minuto perdetecelo. 

Di dibattiti attorno alla legge elettorale, o alle leggi elettorali, il sistema politico istituzionale ne ha attraversati moltissimi: ad ogni legislatura che nasce c’è sempre la questione della legge elettorale da sistemare, o da promulgare ex novo, al fine di cambiare quella vecchia, che evidentemente non va (più) bene, per rendere più governabile il paese.
Le motivazioni possono variare ma, a spanne, gravitano tutte più o meno attorno a quanto scritto sopra. C’è da chiarirsi su una questione, certamente ridondante alla ripetizione, ma che venne  ribadita nel 2014 in un’intervista da Fulco Lanchester, ordinario di Diritto Costituzionale preso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma: 

«I sistemi elettorali aiutano la stabilizzazione. Essi non possono, però, produrre stabilizzazioni assolute: chi ci racconta che con un sistema elettorale di un certo tipo si perviene immediatamente alla stabilità, è paragonabile al venditore di lozioni per la crescita dei capelli. E le parla un calvo».

Allo stesso modo anche quando si insediò il Governo Renzi nel 2013 la situazione venne descritta magistralmente da Massimo Bordin:

«Ad oggi [marzo 2013] questa è la situazione attuale: la legge che c’era, che faceva schifo a tutti, non c’è più perché una sentenza della Corte Costituzionale afferma come, in alcune parti, quella legge non è Costituzionale. Quindi, se adesso dovessimo andare a votare, voteremmo con una cosa che non si sa bene quale sia, perché è un qualcosa di ritagliato sulla sentenza della Corte. Allora “dobbiamo fare assolutamente la nuova legge elettorale” , e questo porta a dire che “la faremo entro un mese” anzi addirittura, mi pare, che oggi si sia detto si sarebbe realizzata entro la fine della settimana. Quindi siamo decisamente a posto! Se, malauguratamente, Renzi non dovesse riuscirci, il governo va minoranza su una questione non propriamente marginale; quindi si crea un clima da elezioni anticipate e, quindi, per fare in fretta una legge elettorale, che ci serve assolutamente, noi andiamo a votare senza la legge elettorale che ci serviva tanto».

Ciclicamente, il dibattito politico istituzionale ruota attorno a plurimi interessi di natura personale e/o partitica al fine di una ripetizione ab aeterno dello status quo, pur annunciando di voler cambiare ogni virgola, al netto delle intromissioni della Corte Costituzionale in questo o quel caso.

Uninominale, la battaglia del mondo liberale-radical

Una delle più longeve rivendicazioni dell’area che comprende le organizzazioni liberali e radicali, nonché della destra più conservatrice, è proprio quella dell’attuazione di una legge elettorale pienamente maggioritaria e con collegi uninominali (piccoli o grandi che siano).
Stiamo parlando di organizzazioni che compongono, ad oggi, la totalità del Parlamento italiano, nonché un buon 70% delle formazioni politiche che partecipano regolarmente alle elezioni di ogni ordine e grado.

Marco Cappato, esponente radicale e promotore della lista “Referendum è democrazia” (poi esclusa dalla corsa elettorale appena terminata), ha sempre sostenuto il modello elettorale seguente:

«[…]che nei sondaggi d’opinione è il più popolare [2014] e che i Radicali propongono da sempre: maggioritario secco ad un turno con collegi uninominali, sistema federalista e presidenzialista».

Non stupisce che il blocco liberal-radicale, variamente collocato (lista Cappato, +Europa, Radicali italiani, PR[NTT], iscritti individuali o doppie tessere), sia in linea con quanto espresso più volte da uno o più soggetti politici che compongono la coalizione di centrodestra: vale giusto la pena ricordare come il referendum sulla giustizia venne presentato dalla Lega e dal PR[NTT] e che, ad oggi, la sostenitrice più accanita del presidenzialismo è la neoeletta deputata Giorgia Meloni
Ma procediamo con ordine. 

First past the post’ 

Al momento della discussione in Parlamento e della successiva strutturazione della legge Rosato (detta  Rosatellum) tutt’ora in vigore, si invocava a gran voce il modello anglosassone per l’elezione di Camera e Senato. Il sistema anglosassone, denominato first past the post, rappresenta un sistema uninominale maggioritario secco, nonché una evidente strozzatura della rappresentanza, almeno a parere di chi scrive.


Breve excursus anglosassone

Il Regno Unito possiede un parlamento bicamerale (Camera dei Lord e Camera dei Comuni) e la ‘posta in palio’ è rappresentata dai 650 seggi nella Camera dei Comuni: dal momento che vige un sistema elettorale uninominale, ogni circoscrizione, delle 650 in oggetto, è diviso in collegi e ognuno elegge il proprio deputato (uno) da mandare alla Camera dei Comuni.

Tale meccanismo impone che il partito vincente debba ottenere 326 seggi per raggiungere la maggioranza in Parlamento e le circoscrizioni elettorali sono così divise: 523 in Inghilterra, 59 in Scozia, 40 in Galles, 18 in Irlanda del Nord; non esistono soglie di sbarramento, in ogni collegio i partiti presentano un solo candidato e viene eletto solo colui/colei che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti.

Già a partire dalle elezioni 2015 la ricercatrice Catlin Milazzo evidenziò le crepe e le aporìe del sistema elettorale britannico riguardo i seggi conquistati da UKIP (United Kingdom indipendent, il partito di Nigel Farage). Imperfezioni, c’è da dire, presenti a partire dalle elezioni del 2010 se poste in confronto con quelle del 2015 in cui il partito Conservatore di David Cameron, nonostante guadagnasse poco più dello 0,8%, si vide aumentare i seggi da 307 a 331 mentre i laburisti, sebbene avessero incrementato la propria percentuale di uno 0,4%, si videro diminuire le unità di rappresentanti da 258 a 232.

Uninominale all’italiana

Non entrerò nello specifico del sistema elettorale Rosatellum ma sarà sufficiente dire che si tratta  di un sistema elettorale misto che è maggioritario (con collegi uninominali) e proporzionale (con collegi plurinominali molto piccoli ma bloccati): qui ulteriori delucidazioni (l’articolo è del quotidiano «Il Riformista»).
I sostenitori della legge maggioritaria e del sistema uninominale utilizzano tale argomentazione a sostegno della propria tesi: il rapporto elettore-rappresentante tende ad assottigliarsi. Ovverosia: il Parlamentare eletto sarà espressione di quella territorialità perché appartenente proprio a quella circoscrizione in cui fa attività politica, ci è nato, svolge (o ha svolto) la sua attività professionale o altri fattori

Tutto dovrebbe andar come da manuale, o no? Proprio no

Tutti candidati 

L’attuale legge elettorale non prevede l’impossibilità di raddoppiare le candidature nei collegi plurinominali. Dunque, ad esempio (*) alla Camera dei Deputati, si sono create situazioni da leggi elettorali già viste (Calderoli – Porcellum) e giudicate antidemocratiche proprio da chi ha proposto l’attuale sistema, per cui, ad esempio: 
  1. Giorgia Meloni risulta eletta in cinque collegi diversi (Sicilia 1, Sicilia 2, Lombardia 1, Puglia e Lazio 1);
  2. Giuseppe Conte in Lombardia 1 in entrambi i plurinominali P01 e P02, Sicilia 1, Puglia, Campania 1; 
  3. Enrico Letta in Lombardia 1 e Veneto 2; 
  4. Antonio Tajani in Campania 1 in entrambi i plurinominali e in Campania 2.

Al Senato della Repubblica la questione non cambia

  1. Silvio Berlusconi è eletto nel plurinominale di Campania (P01), del Lazio (P02), del Piemonte (P02), della Lombardia (P02); 
  2. Carlo Calenda in Veneto (P02), Sicilia (P01), Lazio (P01); 
  3. Matteo Renzi in Lombardia (P02), Campania (P01), Toscana (P01).

Tutto questo da’ vita a circostanze piuttosto rocambolesche, per utilizzare un termine relativo alla cronaca calcistica, per cui anche ai collegi uninominali si preferisce puntare sul cosiddetto “candidato forte”, magari in un collegio in cui storicamente il partito è andato sempre bene: Pier Ferdinando Casini eletto per la seconda volta a Bologna con il Partito Democratico ne è un chiarissimo esempio.

Andando, tecnicamente, a destrutturare la tesi più forte del divario meno imponente tra rappresentante ed elettore. 

E di esempi, in questa legislatura con il numero dimezzato di rappresentanti a seguito del referendum promosso dal Movimento 5 Stelle, ce ne sono moltissimi, basta citarne solo un pugno: 

  1. il presidente della Lazio Lotito è stato eletto in Molise, sebbene egli sia laziale non solo di fede calcistica ma di appartenenza territoriale;
  2. Cesa, segretario dell’UDC anch’egli eletto alla Camera nel collegio uninominale del Molise, sebbene sia nato ad Arcinazzo Romano;
  3. Angelo Bonelli (Alleanza Verdi-Sinistra), nato a Roma vissuto tra Ostia e Casal Bernocchi (prima del recentissimo matrimonio che lo ha visto trasferirsi in Trentino), è stato eletto a Imola;
  4. Marta Fascina, la compagna (o non-sposa a seguito del non-matrimonio) di Berlusconi, eletta in Sicilia e nel 2018 in Campania, sebbene sia nata a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria);
  5. Riccardo Magi, Radicali italiani/+Europa, romano di nascita e in cui ha svolto la maggior parte della sua attività politica, è stato eletto a Torino;
  6. Sumahoro (Alleanza Verdi-Sinistra) è stato nel plurinominale della Lombardia a seguito dello scatto del seggio, sebbene fosse stato candidato all’uninominale di Modena, quando la sua attività sindacale è da sempre rivolta al bracciantato del Mezzogiorno d’Italia, con particolare riguardo alla campagna pugliese. 
O muthos deloi oti
È evidente che partiti e movimenti, tutti, hanno ben in mente la sola questione del proporre e imporre leggi che poi, evidentemente, non vengono rispettate. O meglio, si fa come al solito: si aggira, pur mantenendo una dignitosissima forma. Sempre più maldestra ad ogni elezione, per la verità. 
La storia (o muthos) racconta poi che chi ci rimette è lo stato della democrazia liberale italiana, sempre più martoriata data la convocazione delle elezioni in poco più di un mese dalla caduta del Governo Draghi; lo stesso governo capitanato dall’ex presidente della BCE; il governo Monti; il doppio settennato di Napolitano.
Che l’unico interesse della borghesia italiana è la sua palingenesi, costi quel che costi, ma senza catarsi quanto, piuttosto, con evidente manifestazione della propria protervia.
Che ora non vanno neanche più di moda le lamentazioni sull’astensione, dal momento che una maggiore astensione alle urne permette percentuali maggiori agli occhi della classe dirigente, così da esporre lo scalpo della cifra enorme raggiunta in questa o quella circostanza avversa. 
Che il potere non si ferma mai e ogni volta aumenta l’asticella del proprio agire collettivo: non è stata l’ultima chiamata al voto del meno peggio, a cui abbiamo pietosamente assistito da parte dei settori del partito democratico, ma solo l’ultima così per come la conosciamo e l’abbiamo conosciuta.
Che alla prossima tornata elettorale ci sarà un meno-peggio nella lotta per l’elezione diretta del Presidente del consiglio dei ministri.
Che bisogna abbandonare ogni illusione e iniziare ad agire, studiare, partecipare in un solo senso possibile: quello del rovesciamento dell’attuale sistema. (Ma questo continueremo a farlo in pochi e verremo continuamente tacciati di essere poveri illusi dalla maggioranza).
(*) Tutti i dati sono presi dal sito istituzionale Eligendo.
L’articolo è stato pubblicato anche su Atlante, leggermente modificato: https://www.atlanteditoriale.com/it/macrotracce/legge-elettorale-rappresentanza-collo-stretto-della-bottiglia/