Fùtbol o futbòl? Certo non «soccer»…

Quando Pino Cacucci pubblicò San Isidro futbòl era il 1991: trentatré anni fa. La prima edizione venne curata dall’editore Granata Press di Bologna, la cui esperienza (a cui rimandiamo a questo link per una lettura più approfondita) terminò nel 1996.
L’edizione che ho tra le mani costava 10.000 lire ed era la prima ripubblicata dalla Universale economica Feltrinelli cinque anni dopo la prima apparizione al pubblico.
Gli anni in cui venne pubblicato questo agevole romanzo (93 pagine) erano gli anni in cui il Messico era attraversato da una nuova consapevolezza: in una parte remota della sua geografia, stava formandosi una nuova esperienza di autodeterminazione rivoluzionaria. Di lì ad un battito di ciglia, il Chiapas sarebbe diventata una parola bisbigliata e conosciuta in gran parte del mondo, uscendo prepotentemente fuori della zona tra Messico e Guatemala in cui si trova; Ezln, l’esercito zapatista di liberazione nazionale, sarebbe stato un riferimento culturale per una parte di movimento altermondista e anticapitalista così come, allo stesso modo, l’enigmatica figura del Sub Comandante Marcos.

Il riferimento allo zapatismo, nel libello di Cacucci, è più che evidente: San Isidro si trovava in un punto imprecisato del Messico, in una remota regione di uno stato regionale (anzi, tre) e conteso fra le giurisdizioni di: Puebla, Veracruz, Oaxaca. Ma siccome San Isidro non era riportato neanche sulle mappe militari, il governo non si preoccupava di dirimere la questione dell’appartenenza del villaggio, nonostante gli abitanti desiderassero saperlo. E prima di loro desiderava conoscerlo l’alcalde Don Cayetano Altamirano, che alcalde non poteva essere dato che San Isidro non era un villaggio riconosciuto da nessuno dei tre stati. Insomma, la vicenda era decisamente complessa.

All’inizio del romanzo, si legge:

«Ventidue case di legno e lamiera non giustificavano alcuna menzione nelle mappe federali […] Il problema, semmai, era stabilire se San Isidro appartenesse allo stato di Veracruz, di Puebla o di Oaxaca, poiché era proprio a nord di Santa Maria Chilchotla che i tre confini si univano. Questo aveva occupato dodici riunioni fiume del Consiglio, quattro votazioni di cui una invalidata per ubriachezza scomposta di Fulgencio Murillo, e una delibera salomonica che assegnava l’appartenenza al primo dei tre stati che avesse asfaltato la strada fino a Cerro Mojarra».

Un simile incipit lo troviamo nel primo dei due volumi del Subcomandante Marcos intitolato: Dal Chiapas al mondo. Libri coevi a San Isidro futbòl dato che sono stati pubblicati nel 1996 dall’editore laziale Roberto Massari.
L’introduzione denominata «Guida turistica alla conoscenza dello Stato messicano del Chiapas, in due venti, una tempesta e una profezia» e contenuta nel primo dei due volumi, sembra descrivere e raccontare l’imprecisata e immaginaria ubicazione di San Isidro:

« […] Supponga di non notare il posto di blocco che il Servizio immigrazione del Ministero dell’interno ha messo in questo punto (che fa pensare che si esca da un paese e si entri in un altro). Supponga adesso di voltare a sinistra e di prendere decisamente l’indicazione per il Chiapas. Alcuni chilometri più avanti lei lascerà Oaxaca e troverà un grande cartello che dice: “Benvenuto nel Chiapas”. Lo ha trovato? Bene, supponga di sì».

San Isidro è chiaramente una propaggine sentimentale del cuore e dell’anima di Cacucci, così ben innervata nella cultura dell’America Latina, nonché del Messico in particolare.

Ma a San Isidro non esiste il fùtbol, con l’accento sulla u come prescrive la lingua, lascito del colonialismo spagnolo. A San Isidro c’è il futbòl:

« […] occorre spiegare che sei mesi prima [nella comunità] era stata decisa con grande entusiasmo la costituzione di una squadra di calcio, che ormai tutti pur con varie sfumature di pronuncia chiamavano equipo de futbòl».

Con l’accento sulla o, contrariamente a quello che la norma prescrive.

Ma la storia di Cacucci (e di questa parte di mondo) ha così poco a che fare con le norme e con le leggi in generale. Capita che nella fitta foresta, più o meno adiacente al luogo in cui è ubicato San Isidro, sia precipitato un aereo, uno di quelli piccoli che trasportava un modesto carico e pochi elementi dell’equipaggio. Cosa trasportava l’aereo? Sacchi pieni di cristalli di polvere bianca. Droga, ovviamente, ma che viene scambiata per fertilizzante: a San Isidro quel tipo di dipendenza non era conosciuta, perlomeno fino a quel momento.

La scoperta della polvere bianca dà spunto a Cacucci di sviluppare una storia che, benché smilza nelle pagine, fa correre veloce la lettura come Quintino Polvora sul campo di calcio nella partita contro gli acerrimi nemici del rancho La Pizpireta. È in quella circostanza che il matador Quintino (specifico e peculiare ruolo del calcio giocato nelle parti della Sierra) scoprirà lo speciale fertilizzante: era stato usato, estorcendone un sacco con la forza allo scopritore del carico, per segnare le linee del campo. “In fondo è bianco come la calce”, avranno certamente pensato gli incaricati alla delimitazione del campo.

Da quel momento in poi il lettore non riuscirà a staccare le dita dal libro: dovrà continuare a conoscere nel dettaglio la storia del misterioso carico di fertilizzante, ad immergersi nelle vicende di San Isidro (in cui il futbòl era una cosa seria, anzi, serissima), a lasciarsi trasportare da nomi e luoghi esotici, dal linguaggio iperbolico volutamente ricercato dall’autore per generare un immaginario davvero assurdo.
Fiabescamente assurdo, quindi a tratti futuribile.

Perché se il soccer è quello dei gringos del Nord America, il fùtbol è certamente quello del Sud America. E il futbòl, beh, quello non esiste. Ma ci piacerebbe tanto che esistesse davvero.

La “cancha” di Coroico (Bolivia) si trova a 2000 metri sul livello del mare. Ma non è il più alto campo da calcio che esiste nel paese. In Bolivia si gioca fino a oltre 4000 metri d’altitudine nelle città di El Alto e di Potosì. Fonte foto: pagina Facebook “Camino al mundial 2026”.

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