Tornare a scuola dopo le vacanze di Pasqua significa che l’anno scolastico è in pieno declivio. Tutti si sono lasciati alle spalle i mesi più duri di gennaio, febbraio e marzo: aprile e maggio indicano che giugno è alle porte. Rien ne va plus.
I più severi diranno che non si tratta di un momento facile: siamo ai proverbiali sgoccioli e gli studenti dovrebbero iniziare a sentire la pressione, il fiato sul collo dei consigli di classe di aprile, dei colloqui pomeridiani con i genitori. Dovrebbero, per l’appunto.
Al tecnico sono perlopiù dediti a indossare magliette a maniche corte dalla discutibile colorazione: è cambiata la stagione e, sebbene abbia ripreso a piovere, non appena la temperatura inizi ad aumentare si diminuiscono gli strati di vestiario e si è pronti per la passerella d’istituto, meglio nota come ricreazione.
Ma in questo periodo c’è anche un altro avvenimento che inizia a palesarsi negli istituti scolastici di ogni ordine e grado: l’avvento dei rappresentanti editoriali.
Sempre più simili ad agenti immobiliari, varcano la porta dell’istituto con una valigia a rotelle come se stessero andando a prendere il treno dalla stazione di Milano Centrale, ma alle loro spalle c’è solo la remota fermata “La Rustica U.I.R.”.
Si dirigono sorridenti al gabbiotto dei bidel…personale Ata chiedendo dove sia ubicata la sala insegnanti: vi si dirigono con passo deciso e prendono possesso dell’unica grande scrivania presente in ogni sala docenti da Luino a Mazara del Vallo (occupata in gran parte da computer fissi, raccoglitori ad anelli con le circolari, fogli con le firme del giorno e stampe di varie comunicazioni sindacali). Posizionano i libri, ancora nel cellofan, come al mercato avrebbero fatto con le cassette dei carciofi: ci sono edizioni più nuove ogni anno che sono migliori di quelle dell’anno scorso e di quelle dell’anno in corso. Gli autori dei libri che propongono sono gli stessi di quelli dell’anno precedente, le parole utilizzate all’interno anche, l’interlinea – perfino – rimane invariata ma «quest’edizione è stata rivisitata e migliorata».
Lo è tutti gli anni e guai a chiedere in cosa lo sia stata: il rappresentante potrebbe prenderti per sfinimento. La loro arma più tremenda è un bloc notes in cui hanno scritto i cognomi degli insegnanti di quella scuola: che siano tre o trecento, loro li conoscono tutti sia di nome sia, talvolta, di persona.
Al cambio dell’ora si verificano delle scene simili a quelle del Secondo tragico Fantozzi in cui Calboni trascina la signorina Silvani e Fantozzi (per l’appunto) a Courmayeur iniziando a salutare tutti pur non conoscendo nessuno: i rappresentanti delle case editrici più grandi sono l’alias vivente di Calboni.
Tutto questo ad eccezione dei supplenti: i signori nessuno dell’anno scolastico, coloro che anche la burocrazia, spesso, ignora.
Una salvezza, pensi ingenuamente.
Sono le 10:50: è ricreazione. Suona la campanella e tu, mestamente, torni in sala insegnanti, ignaro del fatto che subito dopo la prima ora siano entrati sgattaiolando i rappresentanti e si siano piazzati al centro della scrivania presente nella stanza. Vedi un uomo in giacca e cravatta che sta intrattenendosi con una collega: non hai mai visto quel volto, sarà sicuramente un rappresentante. Vuoi evitarlo per una ragione: vuole convincerti ad adottare nuovi testi per il prossimo anno scolastico. Ma tu l’anno prossimo non ci sarai.
Lui, l’agente immobiliare dell’editoria scolastica, ti incalzerà: «ma lei ha potere decisionale anche sulle adozioni del prossimo anno scolastico, professore! Le consiglio, a tal riguardo…», mentre dice così, di solito, prende dal tavolo un volume dai colori sgargianti e attacca bottone fino a prenderti per lo svenimento, fino a farti strappare un «grazie per questa proposta, ci penserò su».
Fili via dal corridoio in direzione del bar che, finalmente, ha riaperto (una delle gioie dell’anno scolastico).
Prendi tempo con un caffè e chiacchierando del più e del meno con la collega di francese: è ancora lì, lo vedi con la coda dell’occhio, ma per fortuna è sufficientemente distante dalla porta d’ingresso della sala insegnanti.
Decidi di bere l’ultima goccia del caffè ed entrare nella sala insegnanti a testa bassa, brandendo già la chiave dell’armadietto forzato in più parti dal bidel…personale Ata che te lo ha aperto con un arnese metallico l’unico giorno in cui ti sei dimenticato la chiave (generalmente c’è una sola chiave e se un giorno la dimentichi hai la sola chance del piede di porco).
Dai le spalle all’ingresso e guardi la serratura di fronte a te, inserisci la chiave e mentre apri l’armadietto senti dei passi dietro di te, passi di scarpe col tacco, passi di camicia inamidata con le iniziali cucite e cravatte salmonate che manco Gianfranco Fini quando era ministro.
È finita: ti ha trovato.
«Scusi, lei è un professore?»