La
raffinatezza architettonica non è quel che si direbbe un tratto
distintivo delle città boliviane: le abitazioni sono spesso
incomplete e la gran parte (se non la totalità) dei
palazzi,
delle
case,
dei
condomini e degli
isolati sono lasciati a mattoni vivi. Ne deriva un colpo d’occhio
completamente uniforme, che
ci si trovi nella città di La Paz, El Alto, Viacha e via dicendo.
Poche
tipologie di edifici sfuggono all’uniformità della
‘dittatura
del foratino’:
ospedali (dunque ambulatori/centri
di salute, unità di pronto soccorso locale), scuole e palazzi
governativi.
Scuole
e ospedali sono tra gli edifici più curati non solo nelle grandi
città ma soprattutto nelle piccole
cittadine e nelle lontane comunità
montane, anche
tra le più
distanti dalla capitale: sono gli unici stabili ad essere stati
progettati diversamente dal resto delle urbanizzazioni circostanti,
nonché ad essere stati curati anche nei dettagli. Facezie a cui
spesso il costruttore boliviano non bada.
A
El Alto, nella zona di urbanizzazione chiamata “Villa Adela”,
persistono (o sarebbe meglio utilizzare il termine “resistono”)
due strutture sanitarie statali: il laboratorio di analisi (con anche
un piccolo centro di salute) e il policlinico. Entrambi prendono il
nome dalla zona
in cui sono collocati. Villa Adela è quel che si potrebbe definire
“quartiere”, se si dovesse comparare El Alto alle città italiane
od europee, tuttavia il paragone risulterebbe maledettamente forzato,
oltreché improprio. Nella diseguaglianza generale, a metà tra
edifici mezzo costruiti e mezzo abitati, tra strade asfaltate che
cedono immediatamente il passo a vie completamente sterrate, alle
spalle della centrale “Plaza de la Cruz”, sorge un piccolo
“centro di salute” privato chiamato “Jesus obrero” (Gesù
operaio).
[“Feliz
sanidad”]
Centro di salute e livelli di assistenza.
La
traduzione dell’espressione castigliana “centro de salud”
letteralmente e teoricamente sarebbe “centro di salute” e vale
tanto per le strutture private quanto per quelle statali. Stiamo
parlando di quel
che in Italia potrebbe essere
un centro di prima assistenza (un
centro ambulatoriale, sia perdonata l’espressione impropria)
per
i
pazienti che vi si recano ma il “Jesus obrero” in particolare
possiede anche piccoli ambulatori interni per il ricovero di un
numero pur limitato di persone,
un pronto soccorso e un centro di cure palliative.
Cercare
di comprendere una realtà così distante come quella boliviana
impone un distacco piuttosto imponente da parte del lettore riguardo
la situazione della sanità italiana.
La
presidenza
di Evo Morales (la prima nello
specifico)
ha tentato di portare la sanità boliviana ad un livello che fosse il
più vicino al bisogno della popolazione cittadina, specie in
situazione di rapido ed esteso sviluppo delle realtà urbane attorno
a La Paz. Ad
esempio El
Alto ha superato la popolazione della prima capitale boliviana in
neanche trenta anni di vita
andando oltre il mezzo
milione
e
provocando conseguentemente un graduale spopolamento di La Paz.
Ma
potenza e atto divergono terribilmente, tanto
in ambito filosofico quanto legislativo-politico, e
nonostante lo sforzo governativo negli anni la questione dell’accesso
alle cure rimane una tra le grandi diseguaglianze della Bolivia.
Livelli
di assistenza e di intervento
«Il
sistema della sanità boliviana è articolato su livelli, dunque
esiste un primo, un secondo e un terzo livello»
per quel che riguarda la struttura sanitaria nonché l’intervento
nell’ambito del contesto sociale in cui è inserita. A parlare è
il Dottor Javier Muñoz, nato
a Bilbao,
responsabile del centro di cure palliative del centro “Jesus
obrero”, componente della Fundación Adsis e da tredici anni in
missione in Bolivia1.
Tutto il sistema sanitario boliviano si aggrega attorno all’acronimo
Sus (sanità universale e sicura).
«Il
primo livello
– descrive Muñoz –
è quello che potremmo considerare di base: in questi centri,
solitamente non molto grandi di dimensione, è possibile trovare un
medico pediatra e uno di medicina generale»,
nonché a personale preposto all’assistenza dei bambini.
Man
mano che si sale nella gradazione dell’intervento sanitario
boliviano si possono trovare: ambulatori specifici d’intervento per
i pazienti, sale d’attesa, piccole sale preposte per i degenti che
necessitano di un’operazione chirurgica non troppo invasiva.
Dopodiché si hanno veri e propri policlinici e cliniche
specializzate, nonché centri ad
hoc
– come ad esempio quelli
oncologici – che possono essere considerati di quarto livello.
«Sembra
tutto molto ordinato e razionale
– dice Muñoz – ma
in realtà non lo è»
e il medico non sembra dirlo dal suo punto di vista peculiare di
specialista nel centro di cure palliative in un centro di secondo
livello privato (che ormai si autogestisce, che è propaggine della
chiesa cattolica, dipendente solo dalla parrocchia omonima e dalla
Fundaciòn Sembrando
Esperanza), il punto è che i vari gradini
della scala
rispondono ad autorità diverse. Un esempio? «Il
primo e il terzo livello dipendono dal Ministero della salute dello
Stato plurinazionale di Bolivia mentre il secondo dipende
dall’autorità locale2.
Questo significa
– afferma Muñoz – che
se al governo c’è un partito politico e al governo locale un
altro, la situazione che
ne deriva è
decisamente caotica».
Rapportare quanto detto alla situazione politica che sta vivendo la
Bolivia, dal fraude
electoral
in poi, fa ben capire cosa intende il dottor Muñoz per “situazione
di caos”.
Privato,
certo, ma con delle
condizioni:
«Il
centro “Jesus obrero”, così come molte realtà analoghe, fa
parte di una rete chiamata “Rete pubblica di assistenza”:
forniamo assistenza gratuita per quel che riguarda i vaccini contro
il Covid-19, la tubercolosi e quelli relativi all’antirabbica dei
cani 3»,
dichiara Muñoz.
Già,
il Covid-19. Al lettore occidentale torneranno in mente i centri di
vaccinazione, la voce nasale del Primo Ministro Conte che annunciava
la chiusura totale di scuole e attività produttive e l’esecutivo
che lavorava alla luce del sole e non
«col favore delle tenebre».
In Bolivia solo dal 1 agosto 2023 le autorità di governo hanno
interrotto l’utilizzo obbligatorio della mascherina decretando la
fine dello stato di emergenza.
«L’intervento
nei confronti della cittadinanza nella
città di
El Alto, dal punto di vista del centro di cure palliative, è quello
di fornire un accompagnamento dignitoso del passaggio dalla vita alla
morte di malati terminali: moltissimi contraggono il cancro qui».
Contrariamente a quanto ipotizzato, forse troppo sbrigativamente da
parte di chi scrive, dopo aver visto l’enorme inquinamento sia
alteño
che paceño,
la maggiore incidenza di tumori nella popolazione non è all’apparato
respiratorio o cardiaco. Muñoz: «nella
popolazione femminile riscontriamo un’altissima incidenza di tumori
al collo dell’utero e alla cervice uterina, in quella maschile allo
stomaco e a tutto l’apparato digerente in generale».
Gli
ambulatori pubblici delle comunità montane
Cairoma,
2.494 anime, poco distante da Viloco,
è un centro abitato situato a poco più di 4600 metri d’altitudine.
Seppur distante svariate ore (sei, tre di autostrada e tre su uno
sterrato con continui strapiombi) di automobile dalla Capitale, è
parte di quello che in Italia tempo fa avremmo chiamato “provincia”
di La Paz, ma la legge locale preferisce il termine “municipio”.
Così, Cairoma fa parte di uno degli 87 municipi del territorio di La
Paz. La regione di Loyaza (di cui è parte anche Cairoma) è montana
e piuttosto estesa (3.360 chilometri quadri): la popolazione locale è
aymara così come lo è la prima lingua, solo in secondo luogo viene
parlato il castigliano; le strade sono tutte sterrate e non sono
agevoli per scambi e spostamenti frequenti da un centro abitato
all’altro.
Si
fa presto a dire “La Paz!”. Chi abita i luoghi di questi
territori ha poche scelte: andare a lavorare in miniera a Viloco,
lavorare i campi oppure andare via e dirigersi verso La Paz. Cairoma,
ai piedi dell’Illimani e della cordigliera, rappresenta una
piccola-grande attrazione per i centri limitrofi di Acha Pampa,
Huerta Grande, Machacamarca, Tucurpaya, Colpani, Torre Pampa, Yunga
Yunga.
Tuttavia in ogni comunità, in ogni centro abitato
piccolo o grande che sia, ci sono tre cose fondamentali per far sì
che la popolazione non scappi troppo in fretta: una “unidad
educativa”, ovvero l’equivalente di un Istituto Comprensivo; un
“centro de salud”, cioè un piccolo ambulatorio che può anche –
ma non sempre – avere piccole stanze per ricoveri; un campo di
calcio che spesso è utilizzato anche da campo di futsal e
pallacanestro, essendo state costruite anche le porte più piccole
con sopra il cesto da basket. Il tutto è decisamente versatile e
adattabile alla circostanza.
Al
“Centro de salud” di Cairoma veniamo accolti dalla directora
Patricia Guarachi Flores
e dall’operatrice
ausiliaria con più anzianità
di servizio Rosa Patricia Quispe Chambi.
La
direttrice è nata a Cairoma ma la vita l’ha portata a trasferirsi
in un’altra comunità: «Vengo
da Yunga Yunga4
e risiedo qui al centro per ventidue giorni al mese, con otto giorni
di riposo dal lavoro».
Per la verità le due comunità distano solamente cinque chilometri
ma, a causa delle strade, c’è da mettere in conto un viaggio da
compiersi rigorosamente con mezzo privato (macchina) e che può
durare anche un’ora (sola andata).
«In
teoria potremmo tornare a casa dopo le otto ore lavorative ma
praticamente dormiamo tutte e tutti qui», dice Guarachi Flores «la
famiglia è praticamente abbandonata» dice sconsolata mentre culla
suo figlio in carrozzina. Poi fa spallucce: «asì es el trabajo5»,
così è il lavoro,
«il salario è solo per le ore lavorate perché il contratto
prevederebbe il ritorno a casa, ma – come detto – la strada è
piuttosto lunga e allora rimaniamo qui. Certo: se ci dovessero essere
emergenze notturne, in quel caso prendiamo di più».
Ad
ogni modo, va considerata molta frammentazione contrattuale del
personale presente nei vari centri, come già accennava Muñoz del
centro “Jesus Obrero”: gli autisti dei mezzi (ambulanze e mezzi
di trasporto per campagne di prevenzione e vaccinali) vengono
contrattualizzati dal governo municipale autonomo locale, il
personale medico è diviso a metà tra chi è nominato dall’alcaldìa
e da altre istituzioni, allo stesso modo vale per gli infermieri.
Lo stipendio base per un’infermiera si aggira attorno ai 2.800
bolivianos
mensili,
ovvero poco più di 380€. Potrebbe sembrare una buona retribuzione
per gli standard a cui è abituata la Bolivia, ma la direttrice ci
informa che le
infermiere e gli infermieri non hanno diritto a rimborsi per la
distanza o a sgravi fiscali come accade per il personale medico.
«Medici,
dottori e chirurghi partono da una base di 6.000 bolivianos»,
poco più di 800€.
Ambulatori,
interventi, parti in casa
L’organizzazione
del lavoro è piuttosto complessa per delle unità di intervento come
quella in oggetto: all’interno del municipio di La Paz si distingue
la rete di intervento urbano6
e la rete di intervento rurale. Il centro di salute di Cairoma fa
parte della rete rurale di ambulatori e ha: «quattro
aree territoriali limitrofe d’intervento per emergenze,
vaccinazioni, parti e interventi di primo soccorso. Così come c’è
qui a Cairoma è presente a Viloco»,
afferma la direttrice. «Se
c’è un’emergenza, a seconda della vicinanza con il centro più
vicino, interveniamo e forniamo assistenza gratuita a quel paziente,
qualora – ovviamente – sia iscritto al registro pubblico di
cittadinanza».
Avere una residenza equivale a poter usufruire alla sanità pubblica.
«Ci
sono persone, però, che non risultano nel registro»
e preferiscono l’assistenza privata, «anche se dobbiamo comunque
fornire un’assistenza minima anche per loro»: le persone che
«pagano
un’assicurazione sanitaria o che sono iscritte ad una cassa
professionale hanno diritto ad altro tipo di intervento».
La realtà di La Paz, in cui è possibile venire curati da una
struttura privata, non è replicabile ai piedi della cordigliera: la
sola struttura che recepisce l’iniziativa privata in ambito
sanitario di tutta la provincia di Loyaza è a Viloco. C’è poi
anche chi non ha un documento:
«i bambini fino a un anno non hanno carta d’identità o non sono
registrati con un certificato di nascita, spesso a causa della
famiglia».
Nascere
a 4500 metri d’altezza
Sebbene
i centri abitati del territorio di Loyaza abbiano numeri piuttosto
contenuti, i bambini rappresentano una fetta molto grande della
popolazione locale. «Fino
ad oggi, al mese di agosto, ci sono stati nove parti dall’inizio
dell’anno nella cittadina di Cairoma: quattro nel centro di salute
e cinque a domicilio»,
ha dichiarato la direttrice. All’anno, in media, ci sono venti o
trenta parti l’anno.
L’intervento
sanitario, ad ogni modo, deve tener conto del retroterra culturale
della popolazione aymara: le vaccinazioni non sempre sono accettate
dalle popolazione (specie se si tratta di quelle legate al Covid-19),
i rimedi sono naturali e in generale c’è diffidenza verso
ospedalizzazioni e medicazioni. Se si tratta di parti e di nascite
che coinvolgono ragazze minori o da poco maggiorenni, la questione è
ancora più accentuata. «Molte
famiglie preferiscono non rivelare che la loro figlia è in stato
interessante: a volte siamo chiamati a intervenire per far partorire
la puerpera che non ha effettuato neanche un controllo preliminare».
Lo stigma sociale è piuttosto forte. «Si partorisce in casa in
molti casi» ha dichiarato l’ausiliare infermiera Rosa Patricia
Quispe Chambi: «non
è un male la nascita in casa, ma a Cairoma non ci sono ostetriche e
personale specializzato. D’altra parte, la donna che rimane incinta
non sempre ha interesse nel seguire un percorso di monitoraggio
della gravidanza:
il nostro intervento, spesso, è solo nella fase finale della
gravidanza nonché della nascita».
«Dobbiamo essere sempre pronte all’emergenza: se dovessero
presentarsi complicazioni, dobbiamo andare in città, a La Paz»,
dicono sorridenti Flores e Chambi ma la domanda sorge spontanea:
“sono cinque ore di macchina, come riuscite a gestire un’emergenza
con distanze così ampie e una strada così impervia?”.
Sorridono:
«corremos
como locos!»,
corriamo come pazzi.
Note
1
https://www.fundacionadsis.org/es/quienes-somos
2
Il termine che ha utilizzato Muñoz è stato “alcaldia”.
Letteralmente l’alcalde è una figura a metà tra il sindaco e il
presidente di regione. Esiste anche una “sub alcaldia”: anche in
questo caso, se rapportato all’Italia, potrebbe essere considerato
tra un vicario e un sottoposto dell’alcalde.
3
Sebbene possa sembrare un tema secondario, in realtà non lo è
affatto. A La Paz e soprattutto a El Alto è facilissimo trovare
gruppi di cani randagi inseguire macchine, moto, terrorizzare ignari
passanti, cercare cibo nei cumuli di immondizia ai lati della
strada, bere acqua dai canali di scolo delle fognature (specialmente
a El Alto). Molti hanno un padrone ma è proprio quest’ultimo a
disinteressarsi dell’animale. Sovente accade che un cane si trovi
nel bel mezzo delle trafficatissime strade della città rischiando
la vita. Non è affatto raro trovare carcasse di cani ai lati delle
autostrade (non illuminate) che portano a Copacabana o a Patacamaya.
Vien da sé che il tema dell’antirabbica non è secondario sia a
La Paz, sia a El Alto.
4
Letteralmente yunga significa
“foresta”. In aymara quando una parola si ripete sta a
significare un rafforzativo o una demarcazione in senso più forte
di quella parola. In questo caso possiamo presupporre che il
riferimento sia al fatto che la foresta sia più fitta del normale.
5
“Così è il lavoro”.
6
In tutto sono quindici reti rurali, Cairoma fa parte della
quattordicesima e comprende le aree di Cairoma, per l’appunto,
Malla, Luribai e Yaco. La rete urbana, d’altra parte, non
comprende altre città al di fuori di El Alto e La Paz.