Zolle di terra su Alan Sorrenti

Poche premesse perché altrimenti questo post rischia di diventare un
polpettone dei miei da quindicimila battute e non è il caso. In questo caso le ‘poche premesse’ consisterebbero nell’evitare completamente di contestualizzare la circostanza politico-sociale degli anni ’60/’70 in Italia. Sul Partito comunista italiano e i rapporti con la sinistra extraparlamentare, sulla galassia comunista che esisteva (non sopravviveva: esisteva!) ed era espressione di un movimento molto più largo. Su tutto questo, transeamus.

Nel mondo dell’extraparlamentarismo c’era vita e c’era fermento: 

«Negli anni settanta i giovani non erano ancora stati massacrati dalla televisione immondizia, si credeva di poter cambiare le cose e ci si provava in tutti i modi. C’erano tante speranze, molti contenuti e avevamo delle prospettive; avevamo territorio fertile per potere inventare, azzardare, sperimentare. Trovo, purtroppo, che i giovani del duemila, nonostante abbiano tanto talento, molti più mezzi in confronto a trent’anni fa, hanno più difficoltà ad esprimersi e a trovare gli spazi». [1]

Il dedalo di riviste musicali d’avanguardia (oggi probabilmente verrebbero considerate ‘di nicchia’), dei relativi gruppi, nonché di festival musicali era davvero imponente e fittissimo agli occhi di chi, condannato anagraficamente, non ha avuto modo di conoscere quel panorama culturale, sociale, politico e musicale. 
 
Il “Festival del proletariato giovanile” organizzato dalla rivista «Re nudo» tra il 1971 e il 1976 (in realtà ci furono altre due edizioni per i due anni successivi fino al 1978 che si discostarono completamente dallo spirito iniziale) è un esempio lampante di quello a cui si fa riferimento: 

«Il periodico di Andrea e Marina Valcarenghi era dedicato alla cultura underground dell’epoca: musica, politica, fumetti, pratiche sociali alternative (chi non ricorda le prime “comuni”?), droghe e sesso. Re Nudo si fece promotore di una serie di raduni pop, i “Festival del proletariato giovanile”, lanciando lo slogan “facciamo che il tempo libero diventi tempo liberato”. […] Arrivarono in diecimila, nonostante le previsioni meteo non
incoraggianti. Si accamparono con tende e sacchi a pelo, tantissimi
senza neppure quello, ma con una gran voglia di stare insieme e
ascoltare musica. “Perché la musica è cultura, e la cultura deve essere
libera e non ci sarà censura, né recinto, né polizia che potrà impedire
tutto questo, cioè quello che è successo a Ballabio: diecimila ragazzi
sdraiati su un’erba senza muri, né recinti, né biglietti”, così
scriveva Carlo Silvestro su Ciao 2001 n. 42 del 20 ottobre 1971». [2]

Venne definita la Woodstock d’Italia
Nell’edizione del 1975 si tenne, oltre a quella di Parco Lambro (Milano), anche un’altra festa nazionale del proletariato giovanile: quattro giorni dal 18 al 21 settembre a Licola, nell’area metropolitana di Napoli. 
La kermesse  venne chiamata da tre sigle: Cps, Cub, Cpu. Rispettivamente: Comitati politici studenteschi, Comitati unitari di base, Comitati politici unitari, ovvero le sigle che componevano il movimento studentesco di allora e che erano vicini ad Avanguardia operaia, Lotta continua, Partito di unità proletaria per  il comunismo/il manifesto. 

«L’altra novità del periodo è il consumo collettivo della musica in grandi raduni collettivi che stanno a metà tra l’intrattenimento musicale e l’assemblea politica. non a caso in questo periodo spesso sono le stesse organizzazioni dell’estrema sinistra a organizzare questi grandi incontri: Licola, Parco Lambro, Villa Pamphili sono i “luoghi” dove si ritrova la maggior parte delle formazioni e dei protagonisti del movimento progressive». [3]

Il prog è il genere di quella fase storica. Almeno alle orecchie del me tredicenne a cui un compagno di scuola fece ascoltare “In a gadda da vida” nel cortile gigante del Liceo Kant di Roma. Sonorità lisergiche, intenzioni parimenti psichedeliche ma comunque tese tutte alla sperimentazione e al voler dimostrare la forza del movimento giovanile di quella fase. Contestazione, certo, soprattutto ricerca di nuove forme. In altre parole: altroché riottismo, rivoluzione. 
 
Giusto per non lasciare idealmente “vuota” la sezione di contestualizzazione del confronto ideologicamente e politicamente muscolare tra Pci ed extraparlamentari, va segnalata «l’Unità» dell’11 luglio 1976: la pagina 16 è interamente dedicata al festival della Federazione giovanile comunista italiana (Fgci) che si sarebbe tenuta a Ravenna. In apertura gli Inti Illimani, Lucio Dalla, Enzo Jannacci, Giovanna Marini ma anche I gatti di vicolo miracoli, Eugenio Finardi e un certo Francesco Guccini.

«[…] C’è chi ha detto che Ravenna vuole essere una risposta a Licola, a Parco Lambro, alle “feste del proletariato giovanile” organizzato da gruppi extraparlamentari. C’è anche chi ha parlato di sfida, di dispetto, Ravenna evidentemente vuole essere qualcosa di diverso: vuole essere l’inizio di una discussione, di un dibattito, di una riflessione sulle “feste” giovanili, su questo modo di stare insieme, di comunicare. Dice Gianni Borgna della Fgci: “Noi abbiamo sentito la necessità di fare questo primo festival nazionale dei giovani proprio perché in questi anni sono state moltissime le iniziative di questo tipo […]”. Detto questo è necessario chiarirsi un po’ le idee su cosa devono essere in concreto queste feste. Se c’è il dato nuovo generazionale rappresentato da iniziative che richiamano l’attenzione dei settori più avvertiti dell’opinione pubblica (non è un caso che le manifestazioni come quella di Parco Lambro siano finite sulle prima pagine di giornali e riviste), se tutto questo è sintomatico della crescita di un movimento bisogna pure, dicono i dirigenti della Fgci, che, da comunisti, diamo una risposta agli interrogativi che nascono […]». [4]

Che ci si creda o meno, Alan Sorrenti inizialmente fu un esponente del prog italiano e sperimentò moltissimo nei suoi primi due dischi: “Aria” e “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto”. Non solo: veniva invitato a molte rassegne alternative, per usar linguaggio contemporaneo, proprio perché rompeva con la tradizione del cantato fino a quel momento. 

 
Dal Corriere della Sera del 13 giugno 1974:

«”È inutile che protestiate – sbraitava al microfono Massimo Villa, presentatore del Quarto Pop Festival di Re nudo – perché non rispettiamo il programma stabilito, perché l’amplificazione non è perfetta, e così via. Sono gli aspetti di una organizzazione necessariamente empirica ma che è l’unica possibile se vogliamo rimanere affrancati dai padroni della musica”. […] Sempre ieri si sono esibiti i St. Just, i Biglietto per l’inferno e Alan Sorrenti che ha ottenuto un grande successo col suo inconsueto “cantar gorgheggiando”». [5]

Che c’entra Alan Sorrenti con le feste del proletariato giovanile?
La domanda potrebbe apparire provocatoria, così come l’eventuale cinica risposta: “potrebbe non saperlo neanche lui“. 

Come accennato prima, Sorrenti inizialmente aveva abbracciato la sperimentazione musicale diventando (suo malgrado? ex post forse sì) un cantante di nicchia e quasi d’avanguardia, per certi versi. Canzoni lunghissime, vocalismi e gorgheggi, tematiche oniriche e non. 
Lo invitarono al festival di Licola nel 1975 ma non andò bene per niente.

«Alan, che allora faceva progressive, eseguì un brano vocale sperimentale che durò sette minuti, il brano era anche interessante per le sue sperimentazioni, ma dopo circa due minuti iniziarono i primi fischi, dopo due minuti e mezzo le prime monetine sul palco, dopo quattro volarono le zolle di terra e dopo sei abbiamo dovuto interrompere il concerto e portare via Alan con il servizio d’ordine perché rischiava il linciaggio; il pubblico aveva inteso come provocazione quel brano così lungo e particolare». [6]

Lo stesso Sorrenti al «Mattino» ebbe modo di ricordare: 

« […] dopo i fischi presi al Festival della gioventù studentesca di Licola del
‘75 dove venni sommerso dalle lattine, sino a dover interrompere
l’esibizione. Per qualcuno ero troppo sperimentale, per altri troppo
politico: non ero un militante, ma un esploratore, volevo andare oltre
il prog di “Aria” e “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio
deserto”. […] Ai corifei di Lenin, Marx e Mao anche quello era sembrato un tradimento
della causa [Sorrenti nel terzo LP aveva inciso “Dicitencelle Vuje”]. Mi
piaceva lavorare sulle mie radici, sulla mia cultura. Ma anche guardare
al mondo: ero stato in Nepal, ero tornato dall’Africa con registrazioni
preziose per il mio prof. di etnomusicologia al Dams, Roberto Leydi, e
la voglia di aggiungere ritmo alle mie armonie vocali, ero pronto per
l’America, terra promessa di noi rockettari della periferia del
villaggio globale». [7]

Stoccata finale a parte, l’incontro con gli States consegnò una produzione completamente diversa: da lì nacque “Figli delle stelle”. 

«Da quel momento non mise più piede nei circuiti alternativi, andò in America e poi passò alla musica pop con “Figli delle Stelle”». [8]

Locandina del film autobiografico diretto da Carlo Vanzina

Tutta questa storia solo per scrivere della singolarità dell’evento in sé: Sorrenti al festival del proletariato giovanile, dagli extraparlamentari, mentre gorgheggia e viene portato via col servizio d’ordine.

Figlio delle stelle che forse, in quel caso, erano anche un po’ meteore.
O zolle di terra. 
[C’è ancora tempo per un riferimento di nicchia. In “Pane e Tulipani” di Silvio Soldini, 2000, il figlio lontano di Fernando Girasole si chiama Alan: «mia moglie all’epoca nutriva un debole per Alan Sorrenti».]

 
 
Note
[1]  Pasquale Miniero, basso e chitarra del Canzoniere del Lazio intervistato nel libro di Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.
[2] https://www.valsassinanews.com/2010/10/09/la-storiasettembre-1971-re-nudo-pop-festival-a-montalbano/
[3] Felice Liperi, Storia della canzone italiana, Rai Eri, 2016.
[4] Paolo Gambescia, Nove giorni insieme tra musica e politica, «l’Unità» 11 luglio 1976.
[5] M.L.F. Più folk che pop per i quindicimila di Parco Lambro, «Corriere della Sera», 1974.
[6] Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.
[7] Federico Vacalebre, Alan Sorrenti e i «Figli delle stelle»: «Quel disco fu uno choc per tanti», «il Mattino», 28 ottobre 2017.
[8] Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.

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