Sembra uno scherzo e invece non lo è. L’articolo che ho pubblicato martedì 1 febbraio sulla storia delle “fettuccine” di Alfredo di Lelio, è stato pubblicato il 15 marzo sul quotidiano bilingue «La voce di New York».
E la cosa bella è che è tutto vero!
L’articolo è disponibile a questo link: https://lavocedinewyork.com/food/2023/03/15/388518/
Non è così: le fettuccine Alfredo erano e sono tipicamente italiane. Anzi, romane: nate dall’intuizione del ristoratore Alfredo Di Lelio nel 1908. Al 104 di Via della Scrofa a Roma, il nostro aveva aperto una piccolissima trattoria. Due ingredienti, doppio burro e parmigiano, e una mantecatura a dovere, le fettuccine divennero il piatto forte del locale. Vuole la storia che Di Lelio le propose per la prima volta alla moglie che soffriva d’inappetenza a seguito della nascita del figlio (Armando, ma per tutti Alfredo II). Ines, la moglie del ristoratore, ne rimase estasiata e suggerì al baffuto marito di inserirle nel menù.
Da quel momento il nome di Alfredo venne associato alle fettuccine, tanto che durante la seconda guerra mondiale persino il quotidiano di Milano («Corriere della Sera») dava conto ai propri lettori della riapertura al pubblico del locale:
«Il re delle fettuccine, Alfredo alla Scrofa, Roma, annunzia alla sua eletta clientela milanese che oggi 5 sett. [1937] riapre il suo ristorante con le sempre maestose fettuccine al doppio burro e i suoi insuperabili filetti di tacchino all’Alfredo».
In ventinove anni, da quel 1908 in cui tutto iniziò, la fama della trattoria al 104 di Via della Scrofa era già andata ben oltre la Capitale, evidentemente. Nello stesso periodo, più precisamente durante l’occupazione nazista d’Italia e della città di Roma, il locale subì una chiusura di tre mesi «per infrazioni annonarie», come riporta il quotidiano fascista «Giornale d’Italia» del 25 marzo 1944:
«È stata disposta la chiusura per mesi tre dei sottonotati esercizi di trattoria, sorpresi a somministrare pietanze prelibate, in contrasto con le vigenti norme di disciplina annonaria. […] Ristorante Alfredo, in Via della Scrofa, gestito da Mozzetti Giuseppe».
Un’altra testimonianza di quel periodo l’ha fornita Filippo Ceccarelli nel 2019 pubblicando sul quotidiano «La Repubblica» uno stralcio del “Ghiottone Errante” di Paolo Monelli (1935):
« “Compare il trattore, baffi e pancetta da domatore, impugnando posate d’oro; e si avvicina al piatto delle fettuccine. La musica tace, dopo un rullìo ammonitore che ha fatto ammutolire anche i clienti in giro. Il trattore sente intorno a sé un’aureola di sguardi. Alza la forchetta e cucchiaio in cielo, come per propiziarselo; poi li tuffa nelle paste, le sommuove con un moto rapido, matematico, il capo inclinato, il respiro trattenuto, il mignolo sospeso. Due camerieri, impalati, assistono sul soglio. Pesa intorno il silenzio. Finché la musica scoppia in allegro brio, il trattore ripartisce le porzioni, poi va a riporre le posate d’oro e scompare”. Riaccese le luci, Alfredo ricompariva tra gli applausi. Gli americani letteralmente impazzivano».
Posate d’oro che, stando a quanto raccontava lo stesso Di Lelio, gli erano state regalate da Douglas Fairbanks e Mary Pickford in quegli anni.
Deliziosa la testimonianza che Paul Hofmann affida al «New York Times» il 1 novembre 1981, raccontando l’epifania di un suo amico con le “fettuccine Alfredo” in una Roma di metà anni ‘40 e in un’Italia uscita devastata dalla seconda guerra mondiale:
«Ricordo di aver portato un amico britannico da “Alfredo” a metà degli anni ’40, quando a Londra il cibo era ancora scarso e scialbo e tutti in Europa sembravano piuttosto magri. [Egli] Si tuffò con stupore nelle fettuccine e dopo le prime cucchiaiate mi chiese con un’espressione sconcertata: “Senti, vecchio mio, chi ha davvero vinto la guerra?”.Le tagliatelle gialle grondanti di burro erano diventate un simbolo invidiato del “miracolo italiano” della rapida ripresa postbellica. Allora non eravamo a conoscenza del colesterolo».
«A complicare la confusione, ci sono almeno altri due Alfredo a Roma. Le buone fettuccine Alfredo, o fettuccine alla romana, che ormai sono più o meno la stessa cosa, si possono mangiare ogni giorno in almeno 50 ristoranti della città».
Tutt’ora, in effetti, esistono due “Alfredo” a Roma: uno al 30 di Piazza Augusto Imperatore e l’altro al 104 di Via della Scrofa. Entrambi, ovviamente, rivendicano la paternità del piatto e le posate dorate: chi per lignaggio e fama, chi per conoscenza culinaria.