Berlino, l’Union abbatte l’ultimo muro

Ieri C’eravamo tanto armati è finito sulla pagina culturale del quotidiano Avvenire, grazie ad un bell’articolo di Antonio Giuliano dedicato all’Union Berlin. Qui di seguito è riportato l’articolo in versione completa, disponibile anche sul sito del quotidiano.

Per la prima volta in testa al massimo campionato tedesco c’è la squadra che al tempo della Ddr sfidava il regime: perdenti e vessati ma sempre fieri

C’è una squadra sola al comando in Bundesliga e non è il Bayern Monaco. In un campionato in cui i bavaresi hanno messo in bacheca gli ultimi dieci titoli e vincono ininterrottamente dal 2012 è già una grande novità. Ma non è tutto, perché in vetta alla Serie A tedesca c’è per la prima volta una squadra entrata nella Storia con la “s” maiuscola pur non avendo mai vinto nulla se non una Coppa di Germania nel 1968. Parliamo dell’Union Berlino, il club che nei duri anni della Repubblica democratica tedesca (Ddr) osò manifestare apertamente il dissenso contro la Stasi, la polizia segreta del regime comunista. La storia dei biancorossi di Berlino Est affonda le radici nel 1906, anno di fondazione del Fussballclub Olympia 06 Oberschönweide (dalle divise bianco-blu). 
Ma l’epopea comincia all’indomani della Seconda guerra mondiale quando la capitale tedesca venne divisa in due dal Muro e anche il club subì una scissione importante. Gran parte della rosa fuggì nella parte Ovest, per dar vita all’Union 06 Berlin, il resto rimase nel sodalizio che dopo varie denominazioni nel 1966 assumerà il nome attuale. Sono gli anni da incubo della Ddr, quelli in cui la propaganda del regime si serviva anche dello sport. Vincere a ogni costo e con qualsiasi mezzo per dimostrare la superiorità del modello socialista spingerà la Germania Est al doping di Stato scoperchiato solo alla fine della Guerra Fredda. Laboratori segreti e tante vite distrutte fruttarono più di 500 medaglie olimpiche con atletica leggera e nuoto tra le discipline più “pompate”. 
Il calcio non fu immune e non poteva essere altrimenti. 
Arbitraggi pilotati, spie e giocatori ricattati facevano parte di quel sistema asfissiante descritto mirabilmente nel film del 2006 Le vite degli altri. Uno scenario surreale che riemerge con molti particolari anche nel recente C’eravamo tanto a(r)mati. Storie di calcio della Germania Est (Rogas, pagine 134, euro 12,70) di Fabio Belli e Marco Piccinelli, già autori per la stessa casa editrice dell’evocativo Calcio e martello. Storie e uomini del calcio socialista. Le sorti dell’Union si intrecciano con la spietata repressione del dissenso dal momento che la Stasi aveva deciso che a Berlino Est non ci potesse essere altra squadra all’infuori della Dinamo. 
Era questo il club prescelto da Erich Mielke, il direttore dell’apparato che controllava in maniera capillare la vita di tutti i cittadini. La Dinamo Berlino vinse dieci titoli di fila in Oberliga (la lega calcistica della Ddr) dal 1979 al 1988: la Stasi si incaricava di indirizzare gli arbitraggi, intimidire gli avversari e accaparrarsi i migliori talenti invitandoli “caldamente” a vestire la casacca bordeaux della Dinamo. Pur subendo torti e ingiustizie l’Union continuò a resistere, diventando la squadra della dissidenza. Lo stadio si trasformò in una zona franca per sfogare la propria ribellione al regime. 
La pagina di «Avvenire»
di ieri 23/09/2022

Dagli spalti piovevano cori espliciti: «Preferisco essere un perdente, che un maiale della Stasi!» o «Il Muro deve andarsene». 

Tifare Union significava mettere a repentaglio la propria vita perché come ha spiegato qualche anno fa la rivista berlinese Eulenspiegel: «Non ogni tifoso dell’Union era nemico dello Stato, ma ogni nemico dello Stato era tifoso dell’Union». Condannati a un destino calcistico marginale ma sempre fieri a tal punto da meritarsi il soprannome di Eisernen “gli uomini di ferro”, richiamo anche alle origini popolari della squadra che all’inizio schierava per lo più figli di operai. Dal suo ufficio Mielke monitorava il dissenso che partiva dalla Curva dell’Union e continuava a spianare la strada alla Dinamo.
Nel 1986 un agente della Stasi nei panni di arbitro assegnò quello che passerà tristemente alla storia come “il rigore della vergogna”: il penalty che al 94’ permise alla Dinamo di battere la squadra di casa della Lokomotive Lipsia e strappare l’ennesimo titolo con l’inganno.
I giocatori della Dinamo godevano di un trattamento privilegiato: percepivano uno stipendio cinque volte superiore rispetto alla media di un giocatore tedesco orientale e potevano risiedere in case considerate di lusso. Ma la Stasi non si fidava neppure dei suoi stessi tifosi: lo stadio della Dinamo aveva una capienza limitata e poiché si trovava molto vicino al Muro c’era un presidio fisso di militari a vigilare sulle diserzioni. 
 Nel 1979 la stella Lutz Eigendorf, il “Beckenbauer del-l’Est”, riuscì a scappare a Ovest ma pagò a caro prezzo la sua fuga quattro anni più tardi: perse la vita in un incidente stradale che poi si scoprì indotto dalla Stasi. Alla caduta del Muro cambiò tutto. Ciò che è rimasto immutato è l’attaccamento viscerale dei supporters dell’Union. Un legame letteralmente di “sangue” visto che una volta per salvare la società dal fallimento hanno lanciato l’iniziativa «Blut für Union», “sangue per l’Union”: i tifosi sono andati a versare il sangue a pagamento negli ospedali cittadini, destinando il ricavato alle casse della squadra. Nessuno rimase con le mani in mani nemmeno quando nel 2008 lo storico stadio “An der Alten Försterei” aveva un disperato bisogno di essere ristrutturato e la società non aveva fondi. Molti si tassarono, quelli che invece avevano esperienza nel campo edile si offrirono di lavorare gratis. Accorsero in più di 2 mila e misero insieme 140 mila ore di lavoro decisive per completare l’opera e permettere al club di risparmiare almeno 2 milioni di euro.
Oggi parliamo di uno dei primi stadi europei che è parzialmente di proprietà dei tifosi
A riprova dello spirito comunitario che anima l’Union anche l’incredibile iniziativa del 2014 in occasione dei Mondiali di calcio in Brasile. I tifosi organizzarono la «Wm-Wohnzimmer» (“il salotto dei mondiali”). Chi voleva poteva portarsi un divano da casa e vedersi la partita su un maxischermo insieme con gli altri. Per la finale i divanetti sparsi nel campo di gioco erano più di 800. E momenti di festa si ripetono spesso durante l’anno e a ogni Natale. Sono queste le gioie maggiori di un club che ha vissuto tante retrocessioni potendo vantare solo la Coppa del 1968. Pochi i momenti di gloria: come nel 2000 il miracolo della qualificazione alla Coppa Uefa quando ancora militava in Serie C. Adesso i rivali sono quelli dell’Hertha, la storica squadra di Berlino Ovest. Il derby con la Dinamo della Stasi non c’è più. Ma il passato non si dimentica. E così dopo anni di buio, spie e cimici nascoste persino nei borsoni dei giocatori, si godono un primato tanto bello quanto inatteso alla luce del sole. Ieri fischiavano la Stasi. Oggi senza correre rischi possono continuare a cantare in curva l’insopprimibile bisogno di libertà che il regime voleva estirpare.
Antonio Giuliano (pubblicato da «Avvenire» del 23/09/2022)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *