Paghi, torni alla postazione da vedetta lombarda.
Sono le 8:00: nessun camion all’orizzonte, neanche un furgoncino di quelli piccoli, non sta passando nessuno. Uno dopo l’altro, come coroncine di un rosario sgranate da polpastrelli esperti, escono dal portone del condominio tutti gli inquilini: chi si recherà in ufficio, chi sta accompagnando i figli a scuola, chi sta andando a fare compere per la giornata.
Tu lì, fermo, impalato.
Sono le 9:00, per fortuna oggi a scuola attacchi tardi e non hai i colloqui mattutini con i genitori: nessun camion passerà.
Chiami il centralino specificando la problematica:
“Salvebuongiornoguardisénta, oggi avrei prenotato un ritiro di x/y/z cose ma non è arrivato nessuno e sono le 9:00, dovrei andare a lavorare“, la risposta ti gela doppiamente: “Può recarsi tranquillamente al lavoro: gli operatori agiranno in autonomia e non deve firmare alcunché“. Lo avessero scritto anche sulla prenotazione, ho pensato fra me e me, sarebbe stato carino: non mi sarei svegliato di nuovo alle 6:10. Poi, però, l’operatrice dice anche un’altra cosa: “Il giro per i ritiri dei rifiuti ingombranti, comunque, parte alle 8:00″.
Prendo la macchina e vado alla metro. Svolgo le mie lezioni, interrogo chi devo (per fortuna senza morti e feriti ma con addirittura dei volontari). Nel frattempo ti sei accorto che, a causa del trambusto mattutino con conseguente “eh no non se pijamo mica tutta sSa robba noi, eh”, hai dimenticato la tua fedele bottiglia d’acqua a casa anziché metterla nello zaino.
Si protraggono fino a tardi: finiamo attorno alle 18:00. Un incontro nello specifico tiene il banco del pomeriggio andando avanti dalle 16:50, circa, alle 17:59 (senza che nessuno lo avesse realmente voluto) se non per un paio di presenti che hanno iniziato a snocciolare questioni del tutto non inerenti alle tematiche all’ordine del giorno della discussione. Chissà perché, poi, hanno pensato bene di iniziare a parlare d’altro.
Magno cum disappunto, passate le 18:00 (pregasi notare l’ablativo assoluto), inizi la cavalcata verso la metro. Non si sa perché: istintivamente ognuno di noi attiva un meccanismo nel cervello secondo cui più sarà veloce nel raggiungere la stazione, prima arriverà la metro. Una sorta di principio fisico per cui all’aumentare della velocità podistica, si avvicina maggiormente il corpo C mosso da velocità costante. O un qualcosa del genere. Ovviamente è un teorema fallace: treno per Rebibbia in arrivo tra 13 minuti. Quando il tempo di percorrenza è superiore agli 8 minuti, la soave voce della linea B della metropolitana di Roma non viene neanche attivata.
In un attimo pensi a quando arriverai alla tua fermata, a quando prenderai la macchina, al traffico che dovrai sorbirti: nel frattempo uno spostato in evidente stato psicotico alterato ti chiede se questa sia la metro per Marconi quando sta passando un treno per Jonio. Nel frattempo due gemelli piangono nel passeggino davanti a te: la mamma si dispera cercando di coccolarli entrambi e riempiendoli di baci. Uno sciame di persone attraversa la banchina per andare a prendere la metro A: transito obbligatorio, ci sono i lavori da quando la stazione Termini è stata costruita, praticamente, fanno parte dell’architettura stessa.
Un altro pensiero trafigge le sinapsi: “Dovrei fare il pieno alla macchina, in effetti”. Non lo farai: controlli il portafoglio e ci sono solo 20€. Aggiungere alle cose da fare: spesa, doccia, buttare l’immondizia, mettere i voti della mattina, prelevare allo sportello automatico della banca e fare il pieno. Tutto oggi? Forse no.
A casa ci arrivi alle 19:05: tornando a casa hai evitato l’incidente con altre macchine almeno sei volte, tante quante alle 7:00 di mattina.
Inserisci la chiave, apri la porta, posi lo zaino.
Vorresti riposare, ma devi preparare le lezioni per domani.
Lezioni che si affastelleranno nella testa di studentesse e studenti per cui tu sei solo un supplente, uno fra tanti. E invece a te mancheranno tutti quegli occhi, perché ci sono ancora le mascherine. Da novembre hai imparato a conoscere tutti i loro occhi e i loro sguardi: sai quando ridono, quando sono arrabbiati, quando non vogliono vederti, quando stanno pregando perché non interroghi, quando “prof, ma quanti anni ha?” oppure “prof, ma è fidanzato?”.
Però poi, a una certa, finisce il contratto e finiscono gli sguardi.
Lo sbattimento che fai anche per loro oltre che per dovere d’essere arrivato a casa alle 19:00 finisce d’imperio: arrivederci e grazie.
Sono le 20:17, tra neanche 21 giorni (sabati e domeniche comprese) la scuola finirà, tu non vedrai più i loro occhi, combatterai con gli scrutini, annegherai nel disappunto della valutazione calata dall’alto e su cui tu non puoi far più di tanto.
La normalità, come dicevamo quando c’era il lockdown.