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Foto © Helikonia Concerti | Facebook | Roberta Gioberti |
Zenìa: folk immaginario, per un Paese immaginario. Paese sia con la p maiuscola che minuscola: l’accezione potrebbe riguardare entrambi i significati della parola, sia quello più vicino a Stato che quello più letterale di piccolo agglomerato urbano. Soffermarsi sul paese e folk immaginario è un’esigenza di chi scrive per far capire e comprendere meglio la proposta di quel che è stato messo in scena dai cinque musicisti l’8 marzo al Teatro Studio Borgna dell’Auditorium (Nora Tigges – canto, testi; Massimiliano Felice – organetto e chitarra; Davide Roberto – percussioni e canto; Massimiliano Bultrini – chitarra; Caterina Palazzi – contrabbasso. Ospiti: Nicola Alesini – sax; Matteo Giuliani – chitarra; Fabiana Carosi, Camilla Dell’Agnola, Federica Migliotti, Susanna Ruffini – voci. Federica Migliotti – supervisione drammaturgica e teatrale).
Quando si pensa ad un paese immaginario, di solito, si fa riferimento all’immagine olografica del paese in cui i vicoli sono stretti, le macchine non ci passano, ci sono gli anziani che popolano le stradine – in eguale proporzione rispetto ai giovani – che si affollano nella piazza centrale. Una rappresentazione che, spesso, non è tendente alla realtà dei fatti: complessa, piena di fattori molteplici riguardanti le situazioni più varie che possono intercorrere e rompere l’ameno fluire dell’agglomerato semi-urbano, tendente al rurale, di una qualsivoglia provincia.
Il punto è che
Zenìa non c’è: non esiste. Non è mai esistito alcun paese che porti questo nome, né tanto meno ne è mai esistito uno che avesse una vera e propria lingua. Massimiliano Felice e Nora Tigges, dalla cui intuizione è nata Zenìa, hanno portato in scena una vera e propria avanguardia: inventare l’ignoto facendolo diventare un esercizio collettivo tra chi lo ha prodotto e chi lo sta ascoltando. Se il paese che tende la mano allo straniero non c’è; se non esiste un luogo che possa ancora continuare ad essere chiamato “comunità”, è giunto il momento di inventarlo.
E tanto vale strutturarne anche il linguaggio.
Tigges e Roberto, infatti, a parte gli intermezzi narrati tra una canzone e l’altra, cantano in una lingua che l’ascoltatore non conosce affatto ma con cui, col passare dei minuti e dell’esibizione, imparano a familiarizzare. E alla fine dello spettacolo anche la lingua di Zenìa, una grammatica in costante evoluzione e scoperta tanto per chi l’ha fatta nascere quanto soprattutto per chi ascolta, assume dei tratti di familiarità. Come se le parole utilizzate da Nora Tigges e Davide Roberto fossero state intimamente introiettate e fossero andate a ripescare un qualcosa di seppellito da anni legata all’infanzia di ognuno. In buona sostanza: come se avessimo sempre detto medaima per dire “insieme”.
C’è da dire che – per utilizzare le parole dei musicisti che hanno portato in scena usi e costumi, musica e passioni di un paese che non c’è -: «ogni vero viaggio, anche se immaginario, porta a conoscere l’ignoto ma anche e soprattutto a scoprire qualcosa di noi stessi». E il viaggio di Zenìa si muove tra baltrad e folk italiano, jazz e lontane eco africane: il Mediterraneo è abbracciato e toccato dalle sponde del mare che bagna le coste del paese immaginario, così come quelle che hanno prodotto tutto quel che è stato portato in scena. Un folk che è, per l’appunto, ignoto: si muove sinuosamente tra vari stili senza definizione di se stesso. Un unicum che si afferma ad ogni nota prodotta e che scalpita per essere presente.
Zenìa si raggiunge dal mare, nascosta dietro gli scogli, in una piccola baia riparata dal vento: piccole case colorate, montagne sullo sfondo e il porticciolo che ti accoglie nella luce rossa del tramonto. Da terra arrivano suoni: voci, strumenti, stoviglie… una taverna! La taverna di Zenìa. Una porta aperta ti invita ad entrare. La lingua di Zenìa è un mistero per il forestiero, eppure nei suoni e nei canti c’è qualcosa che riconosci…
Immaginare un paese. Posarlo sulla terra, stretto fra le montagne e il mare, modellare i suoni della sua lingua, inventare usi e costumi e poi raccontarne storie, leggende, personaggi, memorie con musica e parole.
Questa è Zenìa! Un paese dove ogni giorno si tende un filo di speranza per disorientare la malasorte offrendo cibo e riparo a chi arriva, dove uomini e donne condividono la paura, il coraggio e l’amore per la bellezza.
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Foto © Helikonia Concerti | Facebook | Roberta Gioberti |
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Foto © Helikonia Concerti | Facebook | Roberta Gioberti |
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I servizi fotografici relativi al concerto sono visibili a questi due link: 1) https://www.facebook.com/media/set/?vanity=helikoniaconcerti&set=a.10159903720189976 2) https://www.facebook.com/alberto.marchetti63/posts/10223807220426087
L’album ascoltabile su Spotify: