Qualche giorno fa, precisamente il primo aprile, mentre i maggiori quotidiani d’informazione nazionale e territoriale investivano il proprio tempo in spassosissimi post acchiappa-like riguardo notizie finte (per poi classificarle come “pesce d’aprile”), insieme ad altri due compagni della redazione della «Rinascita delle Torri» ci siamo dati da fare e abbiamo spremuto le meningi per la scrittura collettiva di un articolo. Vero, ovviamente, che scaturiva da un fatto reale e tragico. Non che sia, di per sé, una notizia: l’intellettuale collettivo è parte integrante del lavoro di redazione. Tuttavia in questa fase ancora più delicata per le città in genere e per la periferia di Roma in particolare, abbiamo ritenuto opportuno far passare un giorno dall’episodio degli spari a via dell’archeologia e riflettere a mente fredda.
L’articolo si può rileggere integralmente qui: https://www.larinascitadelletorri.it/2021/04/01/gli-spari-sopra/.
Tra le altre cose che sostenevamo, criticamente, oltre all’inanità delle amministrazioni capitoline e municipali, c’era la pratica dei pacchi alimentari, ormai donati da chicchessìa, da qualsivoglia associazione sia essa culturale o organizzazione di volontariato, nei confronti di chi è stato messo a dura prova dalla fase che stiamo vivendo.
La fenomenologia del pacco, non già come lemma inteso per indicare partenopeicamente la zona del basso ventre maschile, rappresenta uno dei mali dell’attivismo politico-sociale del nostro tempo e delle zone colme di disagio come quella in cui vive chi scrive su questo blog. Sicuramente qualcuno che leggerà queste righe, quelle tre persone rimaste, storcerà la bocca e dirà “ma a questo non sta bene neanche che si faccia solidarietà coi pacchi dando da mangiare a chi non ce l’ha?”.
Il punto, come al solito, non è quello: sono felicissimo se la “macchina della solidarietà”, come si dice con un espressione cara alla pubblicistica, si metta in funzione.
Tuttavia, c’è un altro lato da analizzare.
«Molte associazioni, realtà culturali, politiche e associative
territoriali, così come a cascata quelle rappresentate al consiglio
municipale e in Assemblea capitolina, preferiscono vedere il bello nei
quartieri dove di positivo c’è davvero poco, cercare la pepita d’oro in
un fiume colmo di fango, il raro quadrifoglio in un mare di zizzania.
Questo ragionamento circa la “bellezza” dei luoghi di frontiera può
durare un anno, tempo di una fascinazione giovanil-adolescenziale, non
costituire il portato di una politica della periferia. Per anni,
specialmente nell’ultimo decennio, la politica che non assume più
neanche mezza responsabilità, ha demandato un lavoro sociale e culturale
a chi cerca “il bello” a Torre Maura, Tor bella monaca, Torre Angela,
Borghesiana e via dicendo. Ma niente è bello quando lo Stato langue e,
se esiste – come esiste realmente – una massiccia presenza di
criminalità organizzata nel territorio e le sue ramificazioni locali
tentano di costruire uno stato nello stato, come più volte
asserito negli anni dalla stampa antimafia che si occupava del tema. Il
“welfare criminale” che, in un certo qual modo, tenta di sostituire
quello degli enti locali. Quante risorse pubbliche e opportunità di
riscatto sociale non arrivano più da anni in periferia? Un altro lato
del prisma da illuminare. Si fa presto a dire “ordine pubblico”. Come
non vedere che là dove ci sono stati tagli allo stato sociale e
conseguente assenza delle istituzioni pubbliche, “soggetti altri” si
intrufolano e occupano spazi e funzioni necessarie? Questo è il dato da centrare, da mettere a fuoco.
Arrivano anche da quei settori associativi di pulcritudine periferica, e
che precedentemente citavamo, proposte circa “il lavoro” e “i
finanziamenti”. Ma anche gli orologi rotti, almeno due volte al giorno,
segnano l’ora esatta».
Anche perché a seguito di ogni fatto di violenza in periferia:
«Ricomincia il “circo equestre” dei commenti dei
mass media, i quali sprecano parole e slogan triti e ritriti sulla
periferia Romana, sulla sua intrinseca violenza. Ma che, in fondo, non
sanno neanche arrivarci al Grande raccordo anulare e uscire alla 17 o
alla 18. Anche in questo caso, la stampa, anziché capire, giudica e
colpisce con sentenze e luoghi comuni per convincere l’opinione pubblica
che il destino della periferia è già segnato. E per questa ragione,
alla fine, la Roma oltre il GRA non merita nulla;
se non compassione, una lacrimuccia accompagnata da una sordida
carezza. E pacchi alimentari. Quelli non devono mai mancare: producono
“mi piace”, visualizzazioni e glorificano le anime belle della politica
romana e locale. Non si dice che la questione è a monte: che non c’è più
lavoro, che in pochi si sono presi tutto e molti non hanno più nulla».
E allora perché scrivere questo post? Semplicemente per ribadire questo fatto, dopo che il presidente dell’associazione 21 Luglio, insieme ad altre realtà etnografiche-antropologiche e legate all’Università di Roma “tor Vergata”, ha rivendicato il fatto che la realtà dell’ex Fienile (un tempo libero spazio sociale) abbia iniziato a distribuire pacchi di generi alimentari.
Perché alla periferia i pacchi non devono mai mancare.
Per carità nessuno dica che in questa pandemia pochissimi ricchi si sono arricchiti ancor di più e i proletari (*) si sono ancor di più impoveriti dopo aver, in ordine sparso, perso il lavoro, entrati nel gorgo della cassa integrazione e via dicendo.
Per carità nessuno lo dica, “signora mia“.
(*) Chi vive del proprio lavoro è un proletario. Punto.