Ma che ce stai a fa?

Il 20 marzo ricorrevano i due anni dalla morte di Tina Costa. In quell’occasione mi ero lasciato andare in un ricordo tutto personale, dopo la seconda volta che aveva accettato di intervenire alla Biblioteca Collina della Pace di Finocchio.

Stamattina, non so per quale motivo o associazione libera della mia testa, mi risuonavano le sue parole nella testa, pronunciate da lei in un momento preliminare di una riunione con Fabrizio de Sanctis (allora e attuale presidente Anpi di Roma), la sezione del VI appena nata e ovviamente Tina Costa.

Non sto a dire quanto lei fosse legata al VI municipio e alle sue borgate: per lei eravamo “i compagni de Tor bella” e voleva bene a chi aveva deciso di fondare la sezione nella sua “ex ottava circoscrizione”, tanto più che io e Gianmarco eravamo ancora quasi “pischelli” che da poco avevano discusso la triennale. Poco importava che io fossi di Torre Maura e Gianmarco di Borghesiana: la sezione era, momentaneamente, a Tor bella. Dunque, eravamo i compagni de Tor bella. 

 
De Sanctis, con cui ho condiviso il percorso della Fds a cavallo tra l’essere minorenne e maggiorenne, ricopriva per la prima volta quell’incarico da me considerato importantissimo, nel mio personale immaginario politico-sociale. Entro nella stanza della sede romana e c’è Fabrizio seduto ad una sedia dietro la scrivania, Tina Costa è seduta dirimpetto l’elemento d’arredo colmo di fogli a cui vicino era stato appoggiato un computer molto datato con schermo a tubo catodico.

Proprio lui inizia a parlare: “Tina, lui è Marco, il compagno che…”, non fa in tempo a finire la frase e lei “Lo so, lo so chi è: è il compagno de Tor bella, della sezione dell’ex ottava che mo se chiama sesta”, annuendo cercando di dissimulare quel po’ di tremore che, involontariamente, produceva il suo corpo.

“Ah ecco, ti ricordi” – fa De Sanctis – “così evitiamo di ripresentarci: è un compagno, eh. Certo, mo è un po’ de tempo che sta co Rizzo…”, e tutto il suo viso si modella per assecondare alle pieghe delle labbra che si producono in un sorrisino sornione cercando approvazione in Tina Costa, tanto che lei, per tutta risposta, disse: “Ecco”, congiungendo le mani come in una preghiera, agitandole dal petto in fuori, dal basso verso l’alto, proseguendo: “ma che ce stai a fa co Rizzo, ma dimme te!”.
Un po’ come scrisse Carlo Emilio Gadda nel Pasticciaccio

“Raccolte a tulipano le cinque dita della mano destra, altalenò quel fiore nella ipotiposi digito-interrogativa tanto in uso presso gli Apuli”

Subito dopo, neanche una manciata di secondi, arrivano altre persone e comincia quel piccolo incontro.
A cadenza regolare nella mia coscienza, a distanza di tempo, tento di rispondere a quella domanda coniugandola all’imperfetto, ogni volta che si ripresenta. Un po’ come la mattina alle 8:00 con i peperoni della sera prima che si riaffacciano.

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