Emma Bonino, [il greco] e il latino.

Negli ultimi giorni di campagna elettorale Emma Bonino, capo politico della lista radicale/democristiana (*) «+Europa», diceva così, invitata ad un convegno, riguardo il sistema scolastico italiano e l’insegnamento del latino: «La scuola deve preparare più e meglio al lavoro: va bene il boom del liceo classico, ma nei Paesi vicini alla piena occupazione come la Germania cercano più ingegneri e operai specializzati che non dei latinisti».
Come a dire, va bene che vi mettete a studiare lingue morte, però capite bene che un latinista, un grecista o studiosi di queste altre materie umanistiche un po’ inutili saranno disoccupati a vita: si deve preparare al lavoro mica alle filosofie. L’esempio che porta è quello della Germania, in cui si «cercano più ingegneri e operai specializzati più che latinisti». Anche se, a dire il vero, i più grandi grecisti (una lingua ancora più morta del latino, se vogliamo ragionare in termini boniniani) sono proprio tedeschi. Ma, vabbè, lasciamo perdere.
L’affermazione è infelice, senza dubbio, ma è sfortunatamente reale nel sentire comune: a fine marzo mi laureerò in Bibliografia (corso di laurea magistrale in Scienze della Storia e del Documento); mi sto preparando per gli esami integrativi dei 24 cfu per l’insegnamento (anche del latino) nei licei e negli istituti superiori e la maggior parte delle di chi mi sta attorno mi ha silenziosamente suggerito che con quel pezzo di carta non ci faccio assolutamente nulla. Insomma, tante incertezze e poca vita.
Latino e Greco
Ho frequentato i (due) licei classici di Centocelle, il Kant e il Benedetto da Norcia. Tra 13 e 15 anni non è che si abbia molta voglia di pensare e riflettere, si agisce d’impulso e d’istinto e 10 volte su 10 si sbaglia. Esattamente come ho fatto io, non azzeccandone mai una, pensando sempre d’aver ragione e avendo, ovviamente, sempre torto. Ho fatto due volte la quinta ginnasio e alla luce di un avvio nient’affatto birllante posso dire con fermezza che il latino mi ha insegnato non una ma diverse cose, così come allo stesso modo il greco.
Greco e latino mi hanno insegnato a studiare, come diceva Gramsci.
Mi hanno insegnato la necessità del mettersi in discussione e di evitare di pensare che un pur rampante adolescente abbia sempre ragione: il greco e il latino mostrano un proprio punto di vista che non è il tuo. Devi accettarlo e comprenderlo fino in fondo, altrimenti finisce che ti seccano e rifai la quinta ginnasio. 
Mi hanno insegnato a pensare in una lingua e in una mentalità diversa dalla mia.
Mi hanno insegnato, poi, l’esistenza di regole – linguistiche e non – che vanno rispettate, così come il rispetto nei confronti dell’altro. Mi hanno insegnato a mantenere la concentrazione e la calma. Latino e greco mi hanno fatto amare le nicchie, i piccoli particolari, le cose che ad occhio nudo non si notano. Mi hanno fatto sognare ad occhi aperti l’Anabasi di Senofonte e aiutato a capire chi fossi veramente.
Cose stupide nell’Italia del 2018 che sta sempre più acclimatandosi all’individualismo legato ad un sistema economico capitalista e malato che premia chi più sfrutta e chi più affossa il vicino in qualsiasi modo.
Uno qualunque e l’insegnamento del latino
Antonio Gramsci, in diversi passi dei Quaderni del Carcere scriveva a proposito dell’insegnamento delle lingue cosiddette “morte” come il latino e il greco.
«Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale.
[…] Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita.
[…] Nella scuola moderna mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata di un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola “formativa” immediatamente disinteressata. La cosa più paradossale è che questo tipo di scuola appare e viene predicata come “democratica”, mentre invece essa è proprio destinata a perpetuare le differenze sociali. Il carattere sociale della scuola è dato dal fatto che ogni strato sociale ha un proprio tipo di scuola destinato a perpetuare in quello strato una determinata funzione tradizionale».
(*) La lista è riuscita a presentarsi in tutti i collegi d’Italia grazie all’aiuto del fu partito Centro Democratico, il cui segretario/portavoce è/era Tabacci, eletto nel 2013 perché in alleanza col Partito Democratico.

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