La questione catalana ci ha dimostrato che la democrazia è “sana”, “nobile”, “positiva” solamente quando si contrappongono i due o tre (come nel caso italiano) tronconi della politica istituzionale i quali rappresentano le stesse facce di un’identica medaglia.
La questione catalana ci ha insegnato come il popolo della Catalunya non voleva altro che esercitare un proprio diritto democratico, proprio delle democrazie liberali, ma il cui tentativo è stato fermato tanto con metodi istituzionali, tanto con metodi repressivi. In barba alle varie “Carte di Helsinki” e affini, firmate dai paesi europei.
La questione catalana ci ha poi mostrato (ma in primis a me personalmente) che se si interpreta la faccenda con corposi documenti affermando che la classe operaia non è alla testa del movimento e, dunque, che la rivendicazione indipendentista rappresentrebbe solo ed esclusivamente gli interessi contrapposti di due borghesie (come ha sostenuto ad esempio il PCPE), significa non capire un fico secco di come l’indipendenza abbia rappresentato, e rappresenti tutt’ora, un movimento di massa. Negarlo significa voler continuare ad avere un seguito esiguo e un miserrimo riscontro elettorale.
Oggi in Catalogna, domani in Sardegna, Sicilia, Corsica, Kurdistan etc etc (la lista è lunga).