Il Partito Repubblicano Italiano dopo il suo quarantasettesimo congresso

Originariamente questo post venne pubblicato su Sinistraineuropa.it, ma ora il link di reindirizzamento non funziona più. Lo ripubblico ora [20/09/2022], andando ad ampliare la sezione del “Deposito bagagli”.
Nella versione originale c’erano foto di quell’assemblea e un crogiolo di ipertestuali di cui ora ne funzionano solamente due, ma tant’è. 
L’otto marzo si è chiuso il Quarantasettesimo congresso nazionale del Partito Repubblicano Italiano.
Il Pri, quel partito con quel simbolo mai mutato e mai cambiato nel corso del tempo, così come la falce e martello per i comunisti.
I Repubblicani hanno attraversato lunghi periodi e fasi non molto serene della politica italiana e il congresso dell’edera, quarantasettesimo, ha visto un partito non in buona salute, per la verità: la prima diaspora repubblicana, dopotutto, s’è consumata anni fa quando, dopo l’esperienza elettorale del ‘Patto-Segni’, l’area di Gawronski e Verdini avrebbe approdato a Forza Italia, la componente della ‘sinistra’ del partito avrebbe fondato ‘Sinistra Repubblicana’ e – successivamente – entrata nei Ds, Maccanico avrebbe fatto nascere l’Unione democratica ed Enzo Bianco (attuale sindaco di Catania) ‘i Democratici’.
La seconda diaspora, in ogni caso, si verificherà anni dopo quando il Pri si alleerà con la coalizione di centrodestra, dopo un’intera legislatura nel centrosinistra: in quell’occasione si sarebbe verificata la nascita del Movimento Repubblicani Europei, postosi in alleanza col centrosinistra, ma rientrando nel partito nel corso del 46° congresso (nel 2011, dopo due tornate elettorali in alleanza con Ulivo prima e Pd poi).

Assise congressuale in cui lo stesso Nucara, segretario del Partito, ebbe a dire che «con l’unificazione tra Pri e Movimento repubblicani europei riprendiamo un cammino comune».

Verrebbe quasi da dire, tuttavia, che la storia dei repubblicani si perde ‘nella notte dei tempi’ della politica del Paese: le vicende dell’edera si intrecciano con quella delle brigate Giustizia e Libertà, quindi del Partito D’Azione, della cultura liberal-socialista che l’Italia – in buona sostanza – non ha mai visto realmente.

Si intreccia, in ogni caso, anche con la storia del Partito Comunista Italiano: Togliatti, ‘il migliore’, lo definì «piccolo partito di massa» e, recentemente, Tommaso Giancarli, in un bel post sul suo blog per il sito di Panorama, lo ricordava sommessamente, con un notevole rimpianto: 

«di fronte all’affermazione ormai definitiva di formazioni di massa quanto a numeri elettorali ma magrissime o evanescenti sul piano della struttura e della reale partecipazione, guardo all’Edera con qualche rimpianto; ma soprattutto credo che fosse sensata quell’ambizione, che, prima di ogni logica di parte, tradiva soprattutto una sconfinata fiducia nell’umanità, tutta, e nella sua capacità di governarsi, acculturarsi, migliorarsi. Tutta roba ottocentesca e un po’ da libro Cuore, forse, ma non è che le iniezioni di cinismo che ci pratichiamo da decenni stiano guarendo le nostre malattie». 

Il post di Giancarli prendeva le mosse dai dati elettorali delle elezioni del 2013, quelli della non-vittoria di Bersani, quelli dell’entrata in Parlamento del Movimento 5 Stelle, quelli della scatola di tonno: il Pri, così come il Partito Liberale Italiano, corre in solitaria e presentando la propria lista in non molte regioni e i dati elettorali non erano proprio esaltanti: il candidato Presidente del Consiglio dei Ministri era il responsabile organizzativo del partito (Franco Torchia) e l’edera raggiungeva seimilanovecento voti scarsi, pari allo 0,02% dei consensi.
Mosso da uno spirito storicista (ancorché vagamente amante delle nicchie) e di estrema curiosità di ascoltare il dibattito del Partito, decido di andare al ‘Church Palace’, luogo in cui si svolgeva il quarantasettesimo congresso del Pri, e, a margine della seconda giornata di lavori, ho potuto intervistare il coordinatore nazionale Saverio Collura, repubblicano di vita e reggino di nascita
La sala non faceva presagire grandi folle, né lo stesso Nucara, nel corso della terza giornata dei lavori, aveva pronunciato parole che sarebbero andate a sconfessare il numero di presenti: 

«In effetti siamo molto pochi, ma non è che nel passato i repubblicani fossero tanti: il primo congresso a cui ho partecipato è stato nel ’65, quello che avrebbe eletto segretario Ugo La Malfa.. Beh, forse eravamo la metà di quelli presenti in questa sala, e io non ero nemmeno delegato!»

così come, nella stessa giornata, Giovanni Postorino, delegato e già rappresentante della Federazione Giovanile, si esprimeva così: 

«di folle non ne ho mai viste, eccezion fatta per una Conferenza programmatica prima del congresso di Bari (2001 nda) in cui un ragazzo mi aveva fermato dicendomi “stai entrando in un momento complicato per il partito ché non si sa se supererà l’estate”, ed era maggio». 

Dal «piccolo partito di massa» togliattiano all’adesione all’Alde (Alleanza dei liberal democratici europei): «l’Alde è il normale approdo dell’azione politica del partito, non si dimentichi – mi dice Collura – che Mazzini parlava di Giovine Europa, quindi l’Alde è un passaggio ineludibile giacché in Italia è mancata la cultura europea-riformista e il Pri ne è un’espressione significativa: siamo in linea con il ‘piccolo partito di massa’ di togliattiana memoria».
Quindi la ricostruzione del ‘campo’ lib-dem: «L’Italia ha bisogno come il pane della cultura liberal democratica: la crisi è frutto della bassa politica, noi infatti nel nostro slogan diciamo di voler costruire ‘l’altra politica’ e ‘l’alta politica’; il problema centrale, oggi, è che l’Italia ha bisogno di buona politica, siamo per l’alternativa» giacché «l’elettorato non deve percepirci come ‘il partito benpensante o di élite’ ma come ‘il partito dell’alternativa a questa situazione’, che sia radicale dal momento che vent’anni se li sono divisi dieci tra centrodestra e centrosinistra, è impensabile che siano quelle forze a traghettarci fuori dalla crisi».

La legge elettorale? 
«Un’autoconservazione dei due poli che hanno prodotto la catastrofe del Paese, la riforma del Senato il caravan serraglio della politica italiana», riforme che «devono essere abbattute» perché ne servono ben altre: «riformare la burocrazia, ad esempio, a volte prima di vedere attuata una legge dello Stato passano anni, pensi che c’è una legge del Governo Berlusconi che deve ancora entrare in vigore perché i decreti attuativi e i regolamenti ancora non sono pronti, il 30% dei provvedimenti di Monti idem».
Certo, è pur vero che c’è stato un abuso della decretazione di legge, per usare un eufemismo ma «il problema sono i decreti attuativi e i regolamenti: la legge non è autoapplicativa come avviene in Francia». 
Sulla Grecia, su Tsipras, sul cosiddetto braccio di ferro tra Varoufakis e Troika, invece, Collura non la manda a dire, avendo sostenuto Guy Verhofstadt alle elezioni europee assieme a Scelta Civica e a tutta la galassia lib-dem italiana: «La Grecia ha fatto gli stessi errori che ha commesso l’Italia: la ricchezza prima la si produce e poi la si distribuisce, l’errore di Tsipras è quello di aver pensato che potesse sfuggire, tanto che si è reso conto di dover trattare con l’UE»
«Tenga presente che del quantitative easing – prosegue Collura – alla Grecia non andrà neanche un euro perché esso è in relazione ad impegni complessivi che ogni Paese deve sottoscrivere: la Grecia, poi, ha avuto una somma notevolissima dalla BCE, in relazione al suo Pil e al suo debito, anche perché tutto il debito del paese ellenico equivale a quanto il nostro Paese deve rimborsare in un anno come debito in scadenza, ma la natura del problema è la stessa: non sono i burocrati di Bruxelles che ce lo impongono ma i mercati!».

«Se noi italiani diciamo che non vogliamo rispettare i parametri di Maastricht nessuno ci fa nulla, ma un minuto dopo succede che l’Italia ogni anno deve rinnovare 200miliardi di euro in scadenza: se il Paese non ce l’ha li chiede in prestito; tenga presente che avendo un bilancio in deficit ogni anno, abbiamo bisogno dei prestiti ma se non siamo credibili sui mercati, nessuno ci dà i soldi per ripianarli e se nessuno ce li dà, non siamo in grado di pagare gli stipendi…E’ un falso problema additare Bruxelles come la sede di tutti i mali, sono i mercati che impongono la situazione», ma non c’è un problema del modello di società che ne è scaturita, Collura sorride e le rughe che gli solcano il volto seguono la forma delle labbra che articola parole: «voi marxisti – sorride nda – dovete cominciare a capire che l’Unione Sovietica è caduta sui problemi delle compatibilità finanziarie». 
Terminata la chiacchierata (più che intervista) con Collura, la cui pronuncia del cognome evoca immediatamente le radici della Calabria greca, torno alla macchina e mi immetto nel Raccordo anulare fino all’uscita di casa.
Mentre percorro i chilometri che mi separano dal ‘Church palace’ a casa, ripenso ad una chiacchierata di un po’ di tempo fa con un vecchio compagno, ad una riunione non molto operativa né tantomeno stimolante dal punto di vista del dibattito: i suoi parenti, mi raccontava, erano divisi tra Pri e Pci «di una cosa, a casa mia, s’era certi: la sezione dei repubblicani e quella dei comunisti erano sempre aperte una a fianco all’altra: edera e falce e martello insieme. I repubblicani non erano marxisti come me e te, come noi, nient’affatto, ma erano di quella cultura liberale, socialista, antifascista che a ‘sto Paese è sempre mancata.. solo che poi, è venuta a mancare anche a loro… Ogni tanto, quando indosso la giacca, mi rimetto all’occhiello l’edera di mio zio, tanto per…».

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