Indipendentismo sardo, questo sconosciuto [Contrappunti – 2014]

Gli ultimi mesi hanno decretato l’affermazione e la crescita del
movimento indipendentista sardo. Lo hanno dimostrato le elezioni
regionali del febbraio 2014, ma anche la maggior attenzione allo
specifico dibattito e le manifestazioni sul territorio. L’ultima e la
più imponente si è tenuta il 13 settembre a Capo Frasca, nei pressi di
un gigantesco poligono che segna il confine tra la provincia di Oristano
e Cagliari. Dodicimila persone per chiedere “dismissione, bonifiche,
riconversione” e, ovviamente, indipendenza. Per comprendere meglio le
rivendicazioni sarde e gli avvenimenti di Capo Frasca, abbiamo voluto
intervistare Marco Piccinelli, cronista romano di Controlacrisi.org che
da tempo si occupa della questione isolana.

 

  • Si parla poco della questione. La politica e il giornalismo italiani quanto sono distanti dalla causa sarda?

La questione, se ci si dovesse fermare a guardare la stampa
nazionale, sarebbe praticamente inesistente (gli indipendentisti
direbbero ‘la stampa italiana’): si pensa alla questione
dell’autodeterminazione come a qualcosa di marginale, quasi
folcloristico o molto settario. Ma queste due cose, purtroppo o per
fortuna, non lo sono più, almeno riferite all’indipendentismo della
Sardegna o Sudtirolese. La questione non è più folcloristica perché ha
avuto una spinta molto forte, e decisamente innovativa, col nuovo
millennio: le organizzazioni storiche, come il Partito Sardo d’Azione
(Psd’az), Sardigna Natzione – Indipendentzia (SNI), agli inizi del 2000
hanno assistito ad un vero e proprio terremoto quando s’è venuta a
creare (da una costola di SNI) una nuova organizzazione, cioè iRS –
indipendèntzia Repubrica de Sardigna. Il merito che ha avuto iRS –
tralasciando le sue vicende che l’hanno portata ad essere, oggi,
all’interno del consiglio regionale ma depotenziata praticamente del
tutto, – è stato quello di aver sdoganato il tema dell’indipendenza. Non
è più un tabù, nell’isola: la questione indipendentista è
davvero ‘sulla bocca di tutti’. Anche Mauro Pili, ex presidente della
Regione Sardegna di Forza Italia, ha abbracciato una lotta fortemente
identitaria ponendosi alla testa del movimento ‘Unidos’, da lui creato.
Ecco, i giornali (e la politica) – per come la vedo io – rimangono
distanti dalla tematica indipendentista perché ritengono la questione
ancora fortemente etno-folcloristica. All’indomani delle elezioni
regionali del febbraio 2014 abbiamo notato un cambiamento: a causa di
una legge elettorale fortemente bipolarista, con una soglia di
sbarramento e un premio di maggioranza assurdi, gli indipendentisti di
ProgReS hanno visto il numero ‘0’ a fianco alla parola ‘seggi’ dopo che
la loro candidata presidente, Michela Murgia, aveva sfiorato l’11% dei
voti. Questo stesso meccanismo è applicabile anche per iRS che ha raccolto
lo 0,82% dei voti, entrando in Consiglio Regionale per effetto del
premio di maggioranza sancito dalla legge elettorale, mentre il Fronte
Indipendentista Unidu, col suo 1%, è rimasto fuori dai giochi. Ecco
perché l’indipendenza non è più un tema legato ad una settorialità o ad
una marginalità tutta isolana: se non ci fosse stata la legge elettorale
in questione – che il blogger Emanuele Rigitano ha ben definito
‘Sardum’ richiamando l’Italicum – il consiglio regionale, e la Sardegna
tutta, sarebbero stati attraversati da un vento indipendentista molto
consistente. Il fatto che la politica italiana non prenda in
considerazione le istanze dell’isola, o che continui a procrastinare i
suoi doveri nei confronti della Sardegna non fa altro che acutizzare le
spinte indipendentiste.

 

  • Cosa significa indipendentismo sardo per chi, non essendo del luogo, riesce a guardare la situazione con occhio critico?

La questione indipendentista della Sardegna, perlomeno per me che
sono ‘del continente’, è sintetizzabile nell’espressione:
‘riaffermazione della propria sovranità’. Ma ‘sovranità’ non è il fine
ultimo della questione indipendentista. Come ha notato Carlo Pala,
politologo dell’Università di Sassari, il termine ‘sovranismo’ non
esiste: «quel termine indica, semplicemente, una tappa della tappa.
Se mi definisco sovranista potrei confondermi con il mare magnum di
persone, che sono affezionate alla propria identit
à, ma che non hanno unidea
e una caratterizzazione politica chiara. Ecco perché quel termine è da
rifuggire, almeno in un dialogo scientifico, ma anche in un dialogo più
colloquiale. Anche perché gli stessi indipendentisti tengono da parte
quel termine, almeno in Sardegna: lo vedono come una stratagemma
affinché le coalizioni più grandi, che vanno formandosi per le
regionali, possano vivere anche loro di essere sovranisti. Fino a poco
tempo fa era impossibile che dei partiti italiani i spostassero verso
tematiche che sono fortemente identitarie»
. Ecco perché la
‘sovranità’ è un qualcosa che gli indipendentisti sardi sono determinati
a raggiungere, ma non come fine ultimo culturale e politico della loro
attività.

 

  • I sardi chiedono “dismissione, bonifiche, riconversione”. Spiegaci di cosa si tratta.

I sardi chiedono, per riprendere le rivendicazioni della manifestazione del 13 settembre a Capo Frasca, il «blocco
immediato di tutte le esercitazioni militari e la chiusura di tutte le
servitù, basi e poligoni militari con la bonifica e la riconversione
delle aree interessate».
Si possono ritenere giustissime o assolutamente non valide le
spinte sarde verso l’indipendenza ma, secondo me, è impossibile non
essere solidali con le rivendicazioni del popolo sardo riguardo la
chiusura dei poligoni e delle basi militari nell’isola. Lo Stato
italiano, essendo parte della Nato, possiede nell’isola una serie di
basi e di poligoni militari destinati a vari eserciti. La questione è
sorta nel 1965 quando la Nato ha impiantato a Quirra la sua piattaforma
di addestramento, il PISQ: poligono sperimentale interforze.
Successivamente si sono aggiunte le basi di  Capo Teulada, Capo Frasca,
la base di Decimomannu e via dicendo. Il poligono del Salto di Quirra,
analizzando i dati della Regione Sardegna, occupa 12.700 ettari di
territorio, quello di Teulada 7.200 (per estensione, sono i primi due
nella classifica italiana), mentre la base di Capo Frasca occupa oltre
1.400 ettari. Poi ci sono ulteriori basi, tra cui quella degli Stati
Uniti a Santo Stefano. A Quirra, ad esempio, c’è una straordinaria
incidenza di patologie e forme tumorali tra la popolazione. Falco
Accame, ex generale e presidente dell’associazione vittime dei militari,
aveva dichiarato a L’Espresso fatti molto pesanti. Per la procura di
Lanusei, che sta indagando sul caso, per Quirra si parla di «torio
disperso nell’ambiente e sul terreno dal 1986 al 2000, nei 1187 missili
lanciati». Torio presente, in particolare, in un missile che veniva
usato in quel territorio ma che è stato ritirato per iniziativa del
Ministro della Difesa Francese, dopo averne segnalato la tossicità.

 

  • Che aria si respira in Sardegna dopo la manifestazione di Capo Frasca? Sono previste nuove mobilitazioni?

Dopo la presenza di dodicimila persone a Capo Frasca, il dibattito
nell’area indipendentista è più che mai fervido e consapevole. Quello
che mi ha fatto riflettere, specialmente quando ero presente sul posto, è
stata la capacità di aggregazione che ha avuto il movimento
indipendentista tacciato di settarismo e minoritarismo durante la
campagna elettorale. Le organizzazioni che avevano imbastito,
inizialmente, l’iniziativa erano state: a Manca pro s’Indipendentzia,
Sinistra Natzione – Indipendentzia e tre comitati (Su Giassu, Su
Sentidu, Gettiamo le basi). Così come riportato dal comunicato stampa da
essi diramato il 2 agosto. Nessuno di questi organizzatori, secondo me,
avrebbe mai calcolato il fatto che di lì a un mese si sarebbero
intercorsi fattori che avrebbero portato  migliaia di sardi a Capo
Frasca. Parliamo del boom mediatico verificatosi qualche settimana prima
della manifestazione, ma anche dell’ingente campagna contro le servitù
militari nell’isola condotta L’Unione Sarda. Dopo la manifestazione di
Capo Frasca, gli indipendentisti hanno deciso di non abbandonare quel
terreno di lotta che li ha resi per la prima volta coesi. Proprio oggi,
26 settembre, il Fronte indipendentista Unidu, ProgReS, a Manca pro
s’Indipendentzia, Scida, Sardigna Natzione, i comitati Su Giassu, su
Sentidu e Gettiamo Le Basi stanno tenendo una conferenza stampa per fare
in modo che il lavoro messosi in moto non vada disperso. Subito dopo le
elezioni regionali, avevo scritto due cose: la prima è che il voto
indipendentista rappresentava un fiume carsico che, a causa del fattore
‘legge elettorale’, stentava a venire a galla nonostante gli ottimi
risultati di cui parlavo prima; la seconda era che l’indipendentismo (o
le sue sghembe traduzioni ‘sovraniste’) rappresentava un non-luogo di
rappresentanza politica (in Regione gli indipendentisti sono presenti,
ci sono anche sovranisti e sardisti del Psd’Az, ma sono dispersi tra le
due coalizioni). A partire da Capo Frasca, dunque, dalla conferenza
stampa di oggi, secondo me, potranno aprirsi nuovi scenari. Magari il
movimento indipendentista non maturo ‘al 100%’, ma è comunque in grado
di dare uno slancio alla propria azione politica, lasciandosi finalmente
alle spalle le derive folcloristiche.

 

Quest’intervista è una delle poche che mi siano state fatte. La prima in assoluto, con certezza: realizzata da Adalgisa Marrocco, amica ora all’Huffington Post da più di un lustro, è stata pubblicata all’indomani della ‘manifestada’ di Capo Frasca il 26 settembre 2014. 

Dopo la manifestazione di Capo Frasca, le rivendicazioni per
l’indipendenza sarda assumono inaudito rilievo. Un’intervista a Marco
Piccinelli, cronista che da tempo si occupa della questione isolana

https://www.contrappunti.info/novita/indipendentismo-sardo-questo-sconosciuto/

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