Articolo pubblicato per Controlacrisi
«Indipendentzia», «A Fora!» erano le espressioni più usate dai manifestanti di Capo Frasca nella giornata di ieri.
Le agenzie riportano i numeri, non ci sono scuse o letture doppie delle cifre: circa dodicimila manifestanti a portare la propria voce contro le basi militari.
La manifestazione, che era partita il 2 agosto dal comunicato stampa di a Manca pro s’Indipendentzia, Sardigna Natzione e dai comitati ‘Su Giassu’, ‘Su sentidu’ e ‘Gettiamo le basi’ aveva riscosso sin da subito un grande successo attorno all’aera indipendentista, raccogliendo subito le adesioni del Fronte indipendentista unidu, di ProgReS-Progetu Republica e delle altre organizzazione indipendentiste, sovraniste e sardiste.
L’appuntamento lo si era dato in una lingua di terra stretta ed impervia da raggiungere: il paese più vicino alla base di Capo Frasca è Sant’Antonio di Santadi, una frazioncina del comune di Arbus.
Le difficoltà si notano già all’arrivare: file di macchine si parcheggiano nei larghi spiazzi d’erba e sterpaglie che precedono il concentramento della ‘manifestada’: code lunghissime di automobili, pullman che, costretti a camminare a passo d’uomo per i troppi convenuti rispetto alla capienza di quella lingua così stretta di terra, mettono a durissima prova gli agenti della polizia locale, intenti a cercare di smistare la folla che accorreva da ogni angolo dell’Isola.
Le file di automobili e di pullman erano affiancate, nella piccola stradetta che portava al poligono, da altrettanto numerose file di persone ‘appiedate’ che, visto il caos del raggiungere ‘su gomma’ il luogo del concentramento, hanno preferito lasciare il proprio mezzo in uno degli spiazzi e proseguire a piedi.
(Foto di Alessio Niccolai)
Il concentramento era previsto per le 16:30, ma alle 16:45 i pullman arrivavano alle porte del piccolo Sant’Antonio di Santadi per scaricare centinaia di persone.
Poco prima della piccola frazione gli organizzatori avevano allestito un palchetto e – più avanti, di qualche metro – c’era l’ingresso alla base militare: uno ad uno i rappresentanti iniziano a salire sul palchetto e ad impugnare il microfono.
I primi a salire sono Pier Franco Devias (a Manca pro s’Indipendentzia) e Bustianu Cumpostu (Sardigna Natzione). Successivamente anche Luigi Piga (Fronte indipendentista unidu), Gianluca Collu (ProgReS), Gianfranco Sollai (gentes) e Michela Murgia (Sardegna Possibile).
In sostanza, mai come in questo caso si poteva dire: «c’erano proprio tutti».
E quei ‘tutti’, quei rappresentanti di organizzazioni, hanno marcato nettamente tutti i propri interventi: la cesura con lo Stato italiano era netta, e non hanno lasciato intendere minimamente aperte le porte alle collaborazioni con «i partiti che hanno detto ‘sì’ a questi scempi, faccia più brutale del colonialismo che stiamo vivendo».
Le voci dei manifestanti erano in perfetta linea con coloro che prendevano la parola dal palco: «a foras sas bases dae Sardigna» e ancora «la cosa che non capiscono i rappresentanti di partiti indipendentisti che ora siedono in Consiglio assieme ai partiti italiani è questa: non gli stanno dicendo nulla per andare contro le servitù militari, per lasciarci liberi nella nostra terra».
Le voci dei manifestanti sono tutte un vociare e un dibattere compulso, e quando si diceva «gli indipendentisti che siedono coi partiti italiani» era un chiarissimo ed evidente strale – seppur ‘lasciato intendere’ – al consigliere regionale Gavino Sale, leader di iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna.
Sale, alle ultime elezioni regionali, ha preferito allearsi con la coalizione di centrosinistra capitanata da Francesco Pigliaru, ora Presidente della Regione.
I consensi della sua organizzazione hanno subito un crollo verticale risultando la penultima lista della coalizione raccogliendo lo 0,86% dei consensi e l’entrata in consiglio grazie ai meccanismi della legge promossa ed approvata dalla giunta Cappellacci.
C’era, Gavino Sale, alla manifestada, ma non ha preso parola, viste anche le polemiche che si erano alzate nei giorni scorsi a causa del suo invito a venire a Capo Frasca al Presidente della Regione Pigliaru.
La marea di gente, per un’Isola che ha un milione e mezzo circa di abitanti spalmati in una superficie di 24 100 km², è un successo.
«E’ una nuova Pratobello!», si sente dire dai manifestanti.
(Foto di Marco Piccinelli)
Secondo Gianluca Collu, segretario di ProgReS, «siamo tutti uniti per dire, una volta per tutte, tre cose molto semplici: dismissione, bonifiche, riconversione. E’ vitale, è necessario dismettere i poligoni militari, non si sta parlando di dismettere semplicemente le basi o cos’altro, si sta parlando di poligoni militari e l’unico modo per iniziare è chiudere immediatamente uno di questi. Bisogna, poi, urgentemente, apportare le dovute bonifiche – a terra e a mare – e, infine, trovare il modo di riconvertire i territori».
«Riguardo la presenza – prosegue Collu – lo speravamo: ai tavoli organizzativi ho sempre detto che una manifestazione di questo tipo aveva un successo se fossero arrivate non 300 ma 3000 persone. Quindi, il nostro messaggio è arrivato: la manifestazione non è per gli indipendentisti, non è fatta dagli indipendentisti, è fatta per tutti i sardi».
Secondo Bustianu Cumpostu (Sardigna Natzione): «questa volta, come per il referendum sul nucleare, sembra che ogni cittadino sardo abbia capito di essere parte indispensabile di un individuo che si chiama Nazione Sarda e abbia capito, inoltre, che quell’individuo possa camminare e pensare autonomamente. Se c’è un piede che non funziona, l’individuo non è completo, ma oggi i Sardi si sono assunti questa responsabilità».
Alla manifestazione era presente anche Gavino Sale che, però, non ha parlato dal palchetto allestito.
A ‘Controlacrisi’ ha dichiarato: «c’è una crescita trasversale, oltre agli indipendentisti ci sono grossi settori della sinistra, dei moderati di centro. Anche il fatto che qui ci sia il Presidente del Consiglio Regionale e molti consiglieri è un segnale: nei giorni scorsi avevamo fatto una riunione di maggioranza e avevamo deciso che l’istituzione partecipasse alla manifestazione.
Si sta raggiungendo un parallelismo tra associazioni, partiti e l’istituzione, anche perché lo Stato Italiano tratterà con un Presidente, mica con un responsabile di movimento! Lo Stato italiano tratterà con il legittimo rappresentante eletto della nazione Sarda. Dov’è la vittoria di questa manifestazione? Che qui c’è il popolo, organizzato in associazioni, partiti, movimenti, e l’istituzione regionale Sarda, cioè, il governo della nazione sarda».
Secondo il consigliere di iRS l’obiettivo, ora, è «aprire un tavolo bilaterale tra Stato italiano e Nazione Sarda che non s’è mai aperto: il Presidente Pigliaru non ha firmato l’accordo e vuole aprire un tavolo, possibilmente controllato da un’agenzia internazionale riconosciuta ufficialmente da ambo le parti».
Secondo Luigi Piga (Fronte indipendentista unidu): «il tempo delle mediazioni è finito. Se lo Stato italiano avesse voluto mediare lo avrebbe già fatto da tempo e invece, come tutti possono vedere, veniamo bombardati da sessant’anni. Questo modello non è più sostenibile: non lo è mai stato e non lo deve essere più, nonostante – lo ribadiamo – gli interessi della NATO siano fortissimi».
«Per queste ragioni – prosegue Piga – non possiamo abbassare la guardia già a partire dal processo di Quirra, l’altra cartina da tornasole degli interessi bellici in Sardegna. Per la pace dei popoli, non solo per il nostro, sappiamo bene che stiamo toccando gli interessi massimi dello Stato».
(foto di Marco Piccinelli)
Il fatto politico veramente significativo della manifestazione di Capo Frasca, però, è che il dibattito sulle questioni dell’Isola è tenuto e diretto dai movimenti indipendentisti che non sono all’interno del Consiglio Regionale, anche a causa della legge elettorale di cui si scriveva prima.
Gianfranco Sollai (gentes) dal palchetto scandisce nitidamente: «Sapete perché siamo così tanti? Perché non siamo rappresentati in Consiglio!».
Il dibattito sulle servitù militari, «sull’occupazione militare dello Stato Italiano», è tenuta saldamente dalle organizzazioni politiche che, fino a poco tempo fa, venivano bollate come ‘minoritarie’ sui quotidiani Sardi e Italiani.
A manca pro s’indipendentzia, Sardigna Natzione, Fronte indipendentista unidu, Progres, sono le stesse organizzazioni che, durante il periodo elettorale, venivano tacciate di minoritarismo e settarismo perché non si erano alleate con le coalizioni di centrodestra o centrosinistra.
Impossibile non dimenticare la polemica, iniziata su twitter, tra il regista Paolo Virzì e Michela Murgia, candidata di Sardegna Possibile e appoggiata da Progres, gentes e Comunidades.
Il primo aveva twittato come la Murgia «sia intelligente e nobile. Se capisce che la sua lista non ha chance, potrebbe rinunciare pro Pigliaru».
Il botta e risposta era ormai partito e la candidata alla presidenza della regione Sardegna aveva semplicemente risposto che “Il futuro non si fa coi passi indietro”.
Lo stesso Sale, sempre nei confronti della candidata e scrittrice Murgia, aveva dichiarato: «Murgia a questo punto deve decidere chi deve far vincere. Io so chi vuole far vincere la Murgia: Cappellacci e il suo gruppo editoriale di riferimento. Lei ha rifiutato di vincere fin dal principio chiudendo le porte alle altre organizzazioni politiche indipendentiste».
E ancora: «Senza di noi il Partito Democratico perderebbe le elezioni! E, dico di più, a questo punto il confronto diventa molto, molto interessante. Presto le basi del Partito democratico, di Sinistra ecologia libertà, di Rifondazione, dei giovani che compongono le organizzazioni politiche che ho citato, inizieranno a fremere per la questione sovranista».
Insomma, il quadro politico indipendentista che si è andato a delineare si sta sempre di più diradando: all’esterno del consiglio regionale, coloro che sono sempre stati tacciati di minoritarismo, sono riusciti a portare in strada dodicimila persone.
E questo è un fatto incontrovertibile.
Si pone, dunque, la questione di come la fase stia cambiando e che la parte minoritaria dell’indipendenza sarda sieda all’interno delle istituzioni. D’altra parte tutti i rappresentanti di organizzazioni, associazioni, comitati, si sono ripromessi di continuare il tavolo della ‘manifestada’: prossimo appuntamento a Lanusei, per la costituzione parte civile al processo su Quirra.
Secondo Collu (ProgReS): «l’unica arma che rimane a noi che ci troviamo fuori dal consiglio regionale è coinvolgere quanti più Sardi possibile per fare pressione sul consiglio regionale: la classe politica indipendentista che sta governando non è in grado di prendere le decisioni che servono ora per cambiare il destino della Sardegna».