Politiche europee bipartisan. Intervista a Domenico Moro.

L’agosto, per l’esecutivo delle larghe intese capitanato da Enrico Letta, è stato più caldo delle già roventi temperature estive.
Il governo ha rischiato di frantumarsi in più di qualche occasione e il pretesto è stato quasi sempre fornito dalla data del 9 settembre,
giorno in cui la giunta per le elezioni in Senato dovrà pronunciarsi
circa l’attuazione della legge Severino sull’incandidabilità (approvata
sia da Pd che da Pdl).
Che il Pd sia diviso in merito non v’è alcun dubbio, tant’è che la stessa Rosy Bindi,
nel pieno del polverone alzatosi in casa democratica, aveva affermato
che se ci fosse stato qualcuno che non avrebbe votato per il sì alla
decadenza del Cavaliere, avrebbe senza dubbio fatto continuare a vivere
l’esecutivo ma non il Partito.
In un clima come questo, il governo sospende l’Imu e istituisce, a partire dal 2014, la Tassa sui Servizi (alias Service Tax).
La seconda, quindi, andrà a sostituire la prima per la quale il partito di Silvio Berlusconi sta già gridando alla vittoria: la promessa elettorale è stata mantenuta.
Poco
importa che se invece di Imu si chiami Service Tax, e che avrà un
impatto uguale se non maggiore della precedente Imposta municipale
unica.
Ciò che importa al Popolo della Libertà, ora, è ricominciare la campagna elettorale: si deve essere pronti a tutto.
E allora, via ai manifesti col bisimbolismo Pdl-Fi
che inneggiano alla vittori sull’Imu e alla promessa mantenuta; via
alla martellante pubblicità Berlusconiana che è arrivata anche su
Youtube, con migliaia di annunci in calce al video che l’utente inizierà
a caricare per poter vedere sul proprio pc.

Anche le correnti zoofilo-ornitologiche dei falchi e delle colombe del Pdl sembrano calmarsi ma, forse, solo momentaneamente.
A tutto questo prova a dare una spiegazione, a tracciare una linea, Domenico Moro, giornalista e autore del volume “Club Bilderberg”.

L’agosto, per il governo Letta, è stato molto caldo e
irrequieto: minacce di crisi e tensioni arrivavano dal Pdl. Ora che il
nodo-Berlusconi arriva al pettine tra pochi giorni, il Governo tecnico
potrebbe diventare “Governo balneare”, segnare la fine delle larghe
intese e il trionfo del berlusconismo o l’esatto contrario?

Innanzitutto, bisogna evidenziare come, nel momento in cui c’è stata
un’avvisaglia di crisi di governo, dopo la condanna di Berlusconi, si è
registrato un crollo della borsa e le azioni Mediaset sono crollate del
6,2%.
Berlusconi, in poche ore, ha perso circa 150 milioni.
Subito dopo, egli è diventato un po’ più ragionevole e ha smorzato le
polemiche che i cosiddetti falchi del Pdl avevano portato avanti.
Il
punto è che i mercati finanziari non vogliono che Letta cada, o meglio
preferiscono che, in questa fase, ci sia un governo delle larghe intese
che dia una certa stabilità.
E’ vero che, comunque, questo governo è
molto fragile e non adeguato a proseguire col programma che i mercati
finanziari e l’Europa intendono portare avanti.
Il problema principale, però, è che non è stata ancora riformata la legge elettorale:
per cui se si dovesse andare a nuove elezioni, si rischierebbe di
riprodurre una situazione di parità – o comunque di difficoltà – nel
governare in modo univoco e questo non fa piacere né ai mercati
finanziari, né al capitale europeo che, entrambi, vogliono un governo
forte, in base al principio della governabilità.
Quello che bisogna
risolvere, quindi, è essenzialmente il problema della legge elettorale
che rimane un nodo molto difficile, per le difficoltà che ci sono
all’interno del governo.

Del resto, lo stesso Berlusconi vede che i sondaggi non sono così
favorevoli e non è così disponibile ad andare alle elezioni in tempi
brevissimi.
Inoltre, ha ancora Forza Italia da ricostruire: ci vuole
tempo per trasformare il Pdl in una nuova Forza Italia; lo stesso Pdl,
poi, vive una spaccatura, più o meno ampia a seconda dei momenti, tra i
cosiddetti falchi e le cosiddette colombe.
In pratica: la caduta del governo non è così probabile a breve.
Lo stesso Berlusconi comincia a ritenere valida l’ipotesi di chiedere la grazia a Giorgio Napolitano
e, lo stesso Presidente della Repubblica potrebbe trovare qualche
formula che permetta a Berlusconi di continuare a ricoprire il suo ruolo
politico senza mettere in difficoltà il Pd che, ovviamente, si
troverebbe in grave imbarazzo a votare contro l’autorizzazione a
procedere nei confronti di Berlusconi.
Il pallino, quindi, di tutta
la faccenda è nelle mani di Napolitano che è il “dominus” – come lo è
sempre stato – della politica italiana e il vero garante delle politiche
europee.

Se il governo dovesse cadere, ci possono essere due soluzioni, oltre a quella di andare direttamente al voto: una
è quella di un governo Pd con l’appoggio di alcuni transfughi del
Movimento cinque stelle e del Pdl, e dei senatori a vita; la seconda è,
addirittura, quella di un governo tecnico.

In questi due casi si potrebbe pensare alla risoluzione, eventuale, del problema della legge elettorale.

Le faccio due domande su quello che ha appena detto. La prima
è in merito alle “correnti” dei cosiddetti falchi e colombe del Pdl: si
può dire che, in questo momento, le due fazioni si sono rasserenate
(come Berlusconi dopo il calo della Borsa), oppure sono, semplicemente,
in tregua e pronte a rifar sentire la propria voce all’interno del
partito, qualora ci fossero delle situazioni che lo dovessero
richiedere?

Io credo che ci sia una parte del Pdl che vuole tenere ancora in
piedi questo governo e un’altra che, invece, vuole farlo cadere: questo è
abbastanza evidente.
Probabilmente si tratta di due frazioni che
fanno riferimento ad interessi diversi: la parte che vuole sostenere il
governo Letta è più attenta agli interessi del capitale finanziario, a
quelli dell’Europa e a quelli di politiche di carattere bipartisan che,
comunque, il Pdl porta avanti assieme al Pd.
Il punto di fondo è che
Berlusconi si trova in una situazione complicata non solo per via delle
sue aziende, ma anche perché molto difficilmente, stante la legge
elettorale in vigore, potrebbe ottenere quella maggioranza che gli
consenta di governare e fare come vuole: anche lui è condizionato da una
situazione che mette in difficoltà l’intero sistema politico.
Quindi,
non si tratta solo degli interessi economici suoi, che pure esistono,
ma anche di un contesto politico di cui deve tener conto; oltre al fatto
che il Fiscal compact europeo, comunque, impone determinati vincoli ai
quali sia Pd che Pdl hanno aderito. E a cui anche Berlusconi è
allineato.

La seconda domanda è in merito all’ “imbarazzo del Pd di
votare contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Berlusconi”,
è possibile che Luciano Violante sia l’anima del partito mandato in
avanscoperta?

Violante ha sempre portato avanti posizioni concilianti nei confronti
della destra, basti ricordare le sue posizioni sulla Resistenza di
qualche anno fa: è l’anima del Pd, forse, più spinta verso il
bipolarismo e interessata, in qualche modo, a conservare l’avversario
Berlusconi/Pdl.
Proprio perché, tutto sommato, al Pd ha fatto comodo Forza Italia prima e il Pdl dopo:
concentrare tutte le sue polemiche su Berlusconi in modo tale da
portare avanti una politica regressiva sul piano economico-sociale.
E’
altresì evidente che il Partito Democratico non può assumere posizioni
troppo morbide nei confronti di Berlusconi, proprio perché entrerebbe in
contraddizione con la sua polemica ventennale con il leader del Pdl.
Da
una parte, quindi, ci sono tendenze e tensioni a conservare questo
governo e a permettere a Berlusconi di mantenere la sua agibilità
politica; d’altra parte è molto difficile, però, scoprirsi e
compromettersi apertamente per fare questo.

Questa situazione, quindi, si riflette anche sull’azione di
governo a livello di politica interna e su tutte le derubricazioni di
ipotesi di riforme del governo Letta-Alfano: la situazione in cui versa
l’esecutivo è in una fase di stallo?

La situazione è in stallo perché, in realtà, il governo non sta
facendo moltissimo, anche dal punto di vista delle politiche europee che
tuttavia sono sempre in continuità, con un orientamento, con una linea
guida che è quella già evidenziata dai governi precedenti, soprattutto
dal governo Monti.
Anche perché, non ci si deve dimenticare che
Enrico Letta, come Monti, è stato membro della Trilaterale e invitato
alla riunione del Club Bilderberg dell’anno scorso quando Mario Monti
era primo ministro: Letta, dunque, è uno dei politici italiani che più
garantisce il grande capitale transnazionale.
E’ chiaro che la
situazione che abbiamo descritto prima, di governo delle larghe intese
con una forte presenza del Pdl, rende più difficile l’azione di Letta.
In
realtà, però, i vincoli del Fiscal Compact e dell’introduzione del
pareggio di bilancio in Costituzione continuano a pesare sull’azione di
governo, determinandone le scelte: su questo né il Pd, né il Pdl fanno
alcunché di contrario.
Prendiamo, per esempio, la questione della
presunta abolizione dell’Imu. Dico “presunta” perché in realtà l’Imu è
stata sospesa per quest’anno – sostituita da altre fonti di entrate tra
le quali l’aumento delle accise che pesa in proporzione più sui poveri
che sui ricchi – e soprattutto il prossimo anno verrà ristabilita sotto
altre forme, cioè nella forma della cosiddetta Service Tax che, di
fatto, sarà una super-tassa che rischia di far impallidire l’Imu, sotto
il profilo della pressione fiscale.
Tra l’altro, una cosa che non si sa, è che la Service Tax non peserà soltanto – e questo è gravissimo -, sui proprietari delle case, ma anche sugli affittuari.
Inoltre,
i comuni sono autorizzati ad aumentare le aliquote della componente sui
servizi indivisibili (la cosiddetta Tasi) in misura massima tale da
determinare un gettito che è pari al maggior gettito che deriverebbe
dall’applicazione dell’aliquota massima Imu per l’abitazione principale,
ovvero il 6×1000.
Nella migliore delle ipotesi, quindi, ci
ritroveremo con una tassa della stessa entità dell’Imu, nel caso
peggiore con una tassa ancor più pesante.
Quello che è ancora più preoccupante, e su questo ancora meno si sente discutere in Italia, è che dal
2014 entrerà in vigore quella norma del Fiscal Compact che prevede la
riduzione del debito pubblico italiano della metà: da circa il 130% al
60%.

L’Italia, in vent’anni, dovrà tagliare qualcosa come
oltre mille miliardi, e ciò vuol dire che ogni anno dobbiamo eliminare
56-57 miliardi di debito, con un avanzo primario (senza spesa per
interessi sul debito) che dovrebbe arrivare addirittura a 146,6
miliardi, ovvero il 9% del Pil.
Si tratta di un onere insostenibile che assorbirebbe circa il 60% delle imposte dirette.
È
evidente che questa norma del Fiscal Compact peserà sull’azione di
qualunque governo, e potrà essere portata avanti solo con tagli
draconiani nei confronti delle voci più importanti della spesa pubblica:
la sanità, soprattutto.
Ma si interverrà, probabilmente, anche sull’assistenza in generale, sui servizi pubblici in generale e sulle pensioni.
È
stato anticipato da diverse fonti governative che la controriforma
Fornero, molto probabilmente, sarà bissata da ulteriori controriforme
che peggioreranno la situazione pensionistica.
Il tutto, poi, farà
peggiorare le condizioni dell’occupazione e dei lavoratori: è chiaro che
se si sposta in avanti l’età pensionabile, si rende più difficile il
ricambio tra chi va in pensione e chi vorrebbe entrare nel mondo del
lavoro.

Prima lei ha fatto riferimento alle politiche europee. Cosa è
cambiato, in quell’ambito, dal governo Berlusconi al governo Letta,
passando per i tredici mesi di Monti?

In realtà è cambiato poco.
Già lo stesso Berlusconi, nell’ultima
parte del suo governo, aveva accettato le linee guida dell’Europa. La
disoccupazione aveva cominciato, infatti, ad impennarsi già durante il
suo governo giungendo a livelli molto alti a seguito di politiche
economiche recessive contrarie alle politiche che si devono operare in
stato di crisi, quando, appunto, bisognerebbe portare avanti delle
politiche espansive e non politiche di riduzione draconiana del debito e
del deficit pubblico.

Quindi, sostanzialmente, nessuna differenza ma, anzi, una continuazione…

Una continuazione, certo.
Bisogna dire, però, che il governo Monti è stato più deciso nel portare avanti le politiche europee del governo Berlusconi.
Non
a caso, il governo Berlusconi all’epoca, era parecchio criticato dal
capitale finanziario europeo e dagli organi di stampa che ne sono
espressione (come il ‘Financial Times’ e ‘The Economist’).
Monti
e Letta, quindi, sono una garanzia maggiore per questo settore del
capitale (il grande capitale europeo, finanziario e transnazionale), di
quanto non sia lo stesso Berlusconi.
Ciò non vuol dire che Berlusconi
porti avanti, ovviamente, politiche popolari; significa, semplicemente,
che ci sono politici che sono più spregiudicati nel portare avanti le
politiche di austerità e altri che sono un po’ meno conseguenti.
Lo stesso ‘The Economist’ scriveva nell’ultimo numero di giugno: «L’Italia
rappresenta una anomalia in Europa. È il Pd di centro-sinistra il più
ansioso di applicare l’austerità fiscale imposta dalla Commissione
Europea e dalla Germania,mentre il Pdl di centro destra è felice di
ignorare il tetto al deficit…
»

Berlusconi, per conservare un certo consenso popolare, anche a
fronte delle sue vicende giudiziarie, cerca di apparire come una forza
frenante rispetto a determinate misure
. Infatti, rispetto all’Imu, Berlusconi ha, dal punto di vista della propaganda, segnato un punto a suo favore.
Come
abbiamo visto non si tratta, però, di abolizione dell’Imu: nel 2013
verrà sostituita da aumenti nelle accuse e da tagli alle politiche
sociali e nel 2014 questa tassa verrà reintrodotta sotto altre forme.
Il
punto politico è che, però, il Pd non perde occasione per presentarsi
come “partito del rigore”. A seguito della presunta abolizione dell’Imu,
il viceministro all’economia del Pd, Stefano Fassina,
ha subito affermato che bisognava aumentare l’Iva dal 21 al 22%, come
del resto era stato preventivato dal governo Monti. A quel punto, però, Renato Brunetta
del Pdl gli aveva subito risposto che, al contrario, non poteva essere
così. Diciamo, quindi, che si tratta di una situazione in cui il Pd
appare più allineato sulle posizioni europee, ma ciò non vuol dire che
anche il Pdl non si trovi su quelle determinate politiche.
In
generale, i due principali partiti e i due schieramenti di centrodestra
e centrosinistra, portano avanti una politica di carattere bipartisan,
senza grandi differenze
per quello che è l’impatto di
determinate politiche pubbliche sulle condizioni di vita della
stragrande maggioranza della popolazione italiana e dei lavoratori.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*