«La Ballata di un amore italiano non nasce libro – spiega l’autore – ma
testo teatrale per uno spettacolo che scrissi qualche tempo fa».
(Ballata di un amore italiano, Davide Longo, Feltrinelli, pp. 111, euro
12). Longo, infatti, prima di romanziere, nasce come sceneggiatore di
teatro e di programmi radiofonici. La sua ballata prende forma durante
la frequentazione della scuola di scrittura Holden di Torino. Doveva
essere portata in teatro, ma poi è diventata «radiodramma in cinque
puntate» con tanto di voce di Natalino Balasso. Ma poi, lavorando e
meditando più e più volte sul testo, tagliando e cucendo varie parti, ne
è uscito fuori un romanzo con l’ambizione di essere innovativo, perché
alterna prosa e versi. Un prosimetro? Non proprio. Semmai, un romanzo
che vuole intervallare delle parti in prosa a delle parti in rima in cui
Renata, protagonista della scena principale delle pagine, parla con se
stessa o forse parla anche con qualcuno ma che non sta ad ascoltare. Un
dialogo con se stessa, magari una confessione.
Tutto si apre con
delle prove, il sound check dell’orchestra che accompagnerà Checco,
l’altro protagonista, e Renata per tutta la durata delle centosei pagine
del libro. Le pagine scorrono in fretta, una dopo l’altra come le
canzoni suonate dall’orchestra (a volte denominata con una punta di
disprezzo «orchestrina»), brani che riportano i due protagonisti ai
tempi lontani della loro gioventù. Passano i secondi, i minuti delle
canzoni come i ricordi e allora via con la carrellata di «amarcord» che
fa tornare Checco in decappottabile e Renata lasciata sola durante le
nozze proprio dal novello sposo. Motivi di lavoro, perdonati, ma
riaffiorano tutti, senza alcun rimpianto o nessun tipo di rimorso. C’è
solo il ricordo di qualcosa che non c’è più. «Un altro giorno è andato/
la sua musica ha finito/ quanto tempo ormai passato, passerà», scriveva
il cantautore Francesco Guccini.
Longo percorre le canzoni di
un’Italia che ha conosciuto tempi migliori, come l’amore di Checco e
Renata che però a distanza di anni rimane solido perché hanno voglia di
riscoprirsi. Lui che litiga con la famiglia di lei, la abbandona durante
le nozze, ha ancora qualcosa da dire e, mentre la cantante
dell’orchestra si destreggia tra un sol diesis e un la minore, Checco e
Renata giocano a chi si ricordava più dettagli del primo giorno in cui
si sono incontrati o com’erano vestiti alla festa di chicchessìa e via
dicendo.
Giocano a fare i ragazzi, forse lo sono ancora sotto la loro
età anagrafica che si può solo percepire. Giocano a fare gli
innamorati. Il tutto intervallato con momenti di riflessione in versi,
momenti in cui l’autore taglia con l’accetta il tempo trascorso, la
notte che Renata ha trascorso da sola a Capri perché Checco doveva
tornare indietro. Alle canzoni, ai ricordi, al tempo trascorso, ai
numerosi alcolici, si aggiunge il ballo, altrimenti che «ballata»
sarebbe?
Ballando tornano indietro nel tempo, si rivedono giovani,
attirando gli sguardi degli altri mentre ondeggiano tra una nota e
l’altra. Ma a loro non importa.
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